VOLLEY Sara Anzanello, il coraggio dell’addio

Sara Anzanello, il coraggio dell’addio*

Ci vuole coraggio per affrontare quello che ha dovuto affrontare Sara. E ci vuole coraggio per confessare la paura naturale con cui ogni essere umano nelle sue condizioni si trova a dover fare i conti. Non si può immaginare quanto coraggio occorra per far fronte, per restare lucidi a pensare, e ad aver voglia di condividere, di continuare a far parte di un qualcosa che si avverte o si teme di essere in procinto di perdere.
Ecco perché le parole con cui Sara ha deciso di abbracciare il mondo, purtroppo per un’ ultima volta, hanno commosso all’inverosimile. Il suo grido per svegliare gli altri, chi dà tutto per scontato, chi è ormai abituato all’odio piuttosto che all’amore, all’assaporare con semplicità ciò che la vita offre ai più fortunati. C’è chi si rinchiude in se stesso e chi fino all’ultimo cerca gli altri, la condivisione, l’affetto. Da ricevere ma soprattutto da dare. Lottava contro il male ma riusciva a pensare a ricordare agli altri tutto ciò che lei amava. A ringraziare chi le è stato vicino.

Sara Anzanello aveva paura, ma ha lottato fino alla fine, come era abituata a fare in campo, fin da quando era ragazza. Aveva paura perché il male che l’ha colpita l’aveva lasciata senza certezze: «Tante persone stanno combattendo la mia battaglia, in tante l’hanno già vinta, altre no». Sara Anzanello amava semplicemente e disperatamente vivere. Invece se n’è andata ieri a soli 38 anni, dopo aver trascorso gli ultimi cinque a rimodulare disperatamente la sua vita, stravolta da quello che definì «un frontale con un camion».
Un’epatite fulminante che l’aggredì in Azerbaigian, dove era andata a giocare lasciando quel campionato italiano che l’aveva vista spendere le sue stagioni migliori a Novara, dove era stata per dieci anni, e poi a Villa Cortese. Il 14 marzo del 2013, al Niguarda di Milano, si sottopose al trapianto di fegato. Dopo l’operazione divenne testimonial di numerose campagne a favore della donazione degli organi. Un difficile periodo di ripresa, quindi gli ultimi spiccioli di pallavolo come aiuto team manager del Club Italia e poi nel ruolo di opposto, per lei nuovo, in B1 con l’Agil Novara. Per divertirsi di nuovo con il suo amatissimo volley.
In questi cinque anni aveva spesso affidato alla sua pagina Facebook pensieri e riflessioni, per se stessa e per cercare di condividere il suo stato d’animo, ciò che aveva imparato dalla sua drammatica esperienza. «In questi 5 anni, piano piano, ho riscoperto la natura – aveva scritto a marzo, nella ricorrenza del trapianto, suscitando commozione ed empatia – la gioia di un manto bianco in montagna, una camminata tra i boschi, la mia famiglia. Ogni tanto piangi, perché gli ostacoli ci sono e alle volte sembrano enormi, ma non mollare mai, finché c’è vita. Il nostro tempo su questa terra finirà e vale la pena approfittarne nel miglior modo possibile, ossia facendo ciò che ci rende felici. Io sono stata sempre molto fortunata, anche ora. Ho avuto una bella carriera, ho la mia famiglia vicina, una persona speciale che adoro, amici a cui voglio bene. Il tempo non si può comprare, una volta che è passato non torna più».
La voglia di condividere, di chiedere aiuto agli altri. Così come in campo ci si aiutava tra compagne di squadra, come successe nei giorni felici del titolo mondiale del 2002 e poi delle due Coppe del Mondo e di tante altri successi azzurri, vissuti lottando sempre per trovare e dare qualità ai suoi spazi, piccoli o grandi che fossero. Quando ha scoperto di doversi sottoporre a un altro trapianto di fegato, e poi di essere stata aggredita da un tumore al sistema linfatico (che la obbligava alla chemio), a chi le voleva bene e la seguiva, anche senza averla mai conosciuta, aveva chiesto pensieri, preghiere, energia positiva.
Dopo aver realizzato i suoi sogni sportivi, aveva confessato il suo desiderio, che ora appare straziante: «Il mio sogno è vivere. Vivere senza grandi pretese ma vivere. Semplicemente vivere, passeggiare, stare all’aria aperta, un bel bagno in un mare limpido, la sabbia sotto i piedi, la neve candida che mi circonda in una giornata invernale di sole, i miei quadri, la mia cucina, il mio piccolo orto sinergico, una serata con la mia famiglia e con le persone a cui voglio bene». Testamento morale che è una lezione di vita.
testo parzialmente pubblicato sul Corriere dello Sport di giovedì 26 ottobre 2018

Leandro De Sanctis

Torna in alto