Il caso Minamata | Recensione film

Il caso Minamata | Recensione film.
Dal Festival di Berlino allo streaming su Sky e Now, il film sulla tragedia di Minamata può anche risultare come un’occasione mancata per un’istantanea sul ruolo della fotografia in vite che diventano storia, ma al di là dei suoi limiti, ha anche il pregio di sollevare il velo su una pagina vergognosa del libro degli orrori creati dall’inquinamento prodotto dalle fabbriche chimiche.
Le storia sono diventate tante, troppe. Il caso Minamata la racconta puntando quasi esclusivamente sullo sguardo del fotografo americano Eugene Smith, già fotografo di guerra nella seconda guerra mondiale, che pubblicherà le sue foto sugli effetti nefasti della Chisso Corporation e dei suoi scarichi nelle acque del villaggio di pescatori.
L’industria chimica per oltre trent’anni causò terribili malattie negli abitanti, causate dall’intossicazione dovuta al metilmercurio: muscoli distrutti e scoordinati, danni all’udito e alla vista, nel parlare. Ma anche nei casi peggiori la paralisi, problemi cerebrali, la morte. Anche nel giro di poche settimane,
L’azienda non si curò delle proteste e delle malattie, nel film di Andrew Levitas viene dipinta come incurante delle conseguenze dei suo scarichi mortali, considerati come un minimo e irrilevante danno collaterale.
Nella narrazione hollywoodiana, si commette l’errore di guardare la tragedia solo con gli occhi del fotografo americano alcolizzato e disilluso (Johnny Depp, trasformato e invecchiato dal trucco), che pubblicando il suo servizio sulla rivista Life, e subito dopo in un libro, fece conoscere al mondo questa tragedia giapponese. Purtroppo non certo isolata, come testimoniano i titoli di coda che ricordano molte altre nefandezze analoghe e come alla fine, nonostante il clamore e le denunce, tutti riprende come prima. Nemmeno la certezza del diritto quando ci sono di mezzo i soldi e le potenze industriali.
L’industria Chisso arruolò anche picchiatori della Yakuza per mettere a tacere la protesta dei pescatori e le foto scomode di Smith, nel film dipinto per lo più dedito al bere, stufo della vita, con una coscienza professionale e non che viaggia a singhiozzo. Ma l’intuizione delle foto delle mostruose intimità fu di straordinaria efficacia per portare Minamoto sotto i riflettori del mondo.
Guardandolo chiunque abbia lavorato nel mondo dell’informazione, non può che rimpiangere quei tempi, siamo nel 1971, in cui i giornali erano letti e potevano ancora fare la differenza, denunciare, far indignare, cambiare le cose con articoli e foto.
Quello che Il caso Minamoto riesce a trasmettere è l’estremo e congenito pudore giapponese, per cui mostrarsi nell’intimità, anche dell’orrore della malattia e a fin di bene, per raggiungere uno scopo, è un qualcosa di forte, contro natura. Proprio per questo la foto simbolo di Minamoto, una sorta di moderna Pietà, resta incancellabile e commovente testimonianza di un dramma individuale e collettivo insieme: una foto meravigliosa che suscita dolore e pietà, naturalmente in bianco e nero, perché allora l’informazione non era ancora a colori.

Tomoko Is Bathed by Her Mother, Tomoko in the Bath, Tomoko and her mother in the Bath, Tomoko Uemura in Her Bath.
Tomoko Is Bathed by Her Mother, Tomoko in the BathTomoko and her mother in the BathTomoko Uemura in Her Bath.

Il caso Minamata, la scheda

IL CASO MINAMATA – Stati Uniti, 2020. Durata 115 minuti. Ora su Sky/Now Tv. Tratto dal libro Minamata di dal libro di  Aileen Mioko Smith e Williams Eugene Smith.
Regia: Andrew Levitas
Interpreti: Johnny Depp, Hiroyuki Sanada, Jun Kunimura, Minami, Bill Nighy, Tadanobu Asano, Akiko Iwase.
Musiche: Riuychi Sakamoto
* visto in versione originale inglese e giapponese, con sottotitoli.

Leandro De Sanctis

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