CINEMA La grande bellezza

Come si fa a non pensare a Fellini? Nani, suore, Roma e una fasulla patina di dolce vita, in realtà facciata falsa, amara e disillusa. Un protagonista solitario in mezzo alla gente, attraversa città, storie, situazioni. Ieri Mastroianni, oggi Servillo. Ma è sbagliato e riduttivo etichettare l’opera di Sorrentino come una dolce vita del nuovo secolo.
“La grande bellezza” è un film intenso, ricco di spunti, ottimamente girato, con lampi di bravura funzionale, più che narcisistica. Sorrentino cerca, scopre e filma la bellezza nascosta di una città spugna, un calderone dove sogni, illusioni, superficialità ed ipocrisie diventano un magma indefinito e confuso. Dietro la facciata, noia, drammi esistenziali, gente che parla e straparla, gente che non ascolta. Non un film di semplicissima fruibilità, per chi ama la narrazione orizzontale.
Ma un film che suscita interesse, stimola riflessioni, pungola a cercare significati secondari ma reali. Superati i primi cinque minuti dove una musica fastidiosa introduce caotici splendori e miserie dei personaggi e della città (ma c’è anche chi, al contrario, apprezza e riconosce il martellante tappeto sonoro sui cui danzano come false marionette di una rappresentazione costruita sulla falsità).
Toni Servillo è il filo conduttore, l’anima della storia e del film, impensabile senza la sua mimica, le sue straordinarie e poliedriche qualità di interprete, la sua ironia, il suo disincanto, la noia e il rassegnato distacco con cui vive (vive?) la città e la sua fauna. Fa il giornalista come il cinema immagina i giornalisti. E dunque con scarsa aderenza alla realtà. Il suo direttore è una nana: ovvero la realtà vista dal basso, come non avviene quasi mai in un’epoca condizionata e dominata dall’alto. E la sua terrazza da sogno con vista Colosseo è privilegio da sturbo.
La grande bellezza di Roma in realtà non esiste, non ha un cuore pulsante, è un miraggio visto da lontano, palude di sabbie mobili che inghiottono con noncuranza chi non la sa capire, riconoscere, decifrare. La grande bellezza di Roma sopravvive nei luoghi celati e nelle opere d’arte. Scorci magici e suggestivi, intuizioni d’autore. Agli antipodi delle immagini da cartolina utilizzate da Woody Allen per raccontare una Roma che non c’è.
La grande bellezza degli animi va trovata scavando, interrogandosi, aprendosi alla voglia di grattar via la patina di superficialità che tutto avvolge. Perfino il cardinale che si ostina a voler parlare delle sue ricette, anche se nessuno lo ascolta, deve rassegnarsi. Perchè importa solo il mangiare, non sapere o comprendere cosa c’è dietro un piatto cucinato. E quando si prova ad andare oltre, spunta il dolore. La miseria della condizione umana, la solitudine, la malattia, fisica o psicologica.
Passaggi di sceneggiatura che restano, battute che strappano sorrisi perché Servillo è dramma e commedia, ironia e malinconia, anche se ha dimenticato la speranza.

* visto in edizione originale, senza sottotitoli

Leandro De Sanctis

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