Vanni Lòriga, addio al mio maestro di giornalismo

Vanni Lòriga, addio al mio maestro di giornalismo.
Al Corriere dello Sport fu il primo a credere in me, mettendomi subito alla prova con una “missione” complicata, poi accogliendomi nella sua scia e introducendomi nel mondo dell’atletica e lanciandomi in fretta, concedendo quell’ampia fiducia che non sempre ai giovani veniva e viene data.

Inevitabile fondere ricordi professionali e personali, cercando di tenere a bada l’emotività che in questi momenti rischia di prendere il sopravvento. Nel momento in cui si perde una persona cara, un collega che è ruscito a vivere una lunga vita durata 95 anni (“Ho quasi un secolo, che vuoi…“mi ha detto giovedì scorso, l’ultima volta che ci siamo sentiti al telefono) è comprensibile accompagnare l’idea dell’addio ad una sorta di gallery emotiva che abbraccia tanti anni vissuti a contatto di atletica soprattutto, negli stadi, negli alberghi e in redazione.

Il primo incarico che mi dette, per capire se potevo fare questo mestiere ed essere utile, fu quello di intervistare tre figli d’arte che praticavano atletica: Luca Lionello, Massimiliano Buzzanca e Giovanna Amati, quest’ultima figlia dell’industriale cinematografico Giovanni Amati e quasi irraggiungibile per via della vicenda del rapimento che l’aveva vista protagonista. Poi sarebbe fugacemente diventata anche pilota in Formula 1, ma allora praticava il lancio del giavellotto. Riuscii nell’impresa con l’aiuto del professor Perrone che era il suo allenatore, spacciandomi al telefono per un suo compagno di scuola e superando così la barriera anti giornalisti che la proteggeva.

Cominciai così a conoscere il grande giornalista Vanni Lòriga, del quale divoravo gli articoli di atletica, le parole su Pietro Mennea e Sara Simeoni, le interviste con il professor Vittori. Naturalmente ero in soggezione i primi tempi, ma Vanni ben presto si trovò a condividere molti momenti, anche difficili, della vita redazionale. Vederlo all’opera bastava, se si voleva imparare. Sentirlo dettare gli articoli, osservare le strategie e le domande nelle conferenze stampa. Parlando del rapporto che ha avuto con me, devo solo ringraziarlo ancora oggi per aver creduto che fossi degno di lavorare in quel giornale e di affiancarlo nello sport che ha amato di più. Si faceva rispettare dando rispetto.

Oggi che la gioventù non ha più la passione per la lettura quotidiana dei giornali, forse è difficile far capire cosa si provasse a entrare timidi e speranzosi in una redazione, imparare a dare un volto alle firme che si era abituati a leggere. Per un appassionato di atletica avvicinarsi alla professione in mezzo alle grandi firme che aveva il Corriere dello Sport era qualcosa di unico.

La sua formazione militare garantiva autorevolezza al Vanni Lòriga caposervizio nel gestire inviati e nodi redazionali. Ma la sua scrittura, come riusciva a tratteggiare l’atletica che raccontava, era capace di incantare e non passare di moda, come anche oggi mi diceva l’amico ed ex collega Dario Torromeo: un linguaggio giornalistico incisivo e in grado di reggere l’usura dei decenni. Ne cito uno per tutti: l’articolo sui 100 di Ben Johnson all’Olimpiade di Seul 1988. Le qualità giornalistiche di Vanni sono note a tutti i suoi lettori, agli atleti di cui scriveva, negli ambienti che ha frequentato.

Posso solo semplicemente raccontare qualcosa che ho vissuto accanto a lui, gratificato dalla sua considerazione che non si limitava alle parole.

Tornando alla gallery che riemerge nella memoria, penso a quando, nel 1981, mi affidò l’incarico di andare a Formia per appurare se Sara Simeoni, che era reduce da un infortunio non ancora guarito, avrebbe partecipato alla Coppa del Mondo all’Olimpico di Roma. Ripenso alla prima trasferta come suo secondo, Europei di Stoccarda 1986. Dopo il trionfo di Stefano Mei, sul podio dei 10,000 con Cova e Antibo, la fame con cui rientrammo in albergo, potendo ormai condividere solo un modesto piattino di noccioline. Per fortuna poi sarebbe arrivata Casa Italia. 

E che soddisfazione quando respinse l’assalto di un nostro collaboratore che voleva scrivere l’intervista del giorno dopo con Stefano Mei. Glielo stava chiedendo e richiedendo con insistenza mentre camminavamo e a un certo punto Vanni si fermò, lo guardò dritto negli occhi e con piglio militaresco lo zittì: “Tu lo conoscerai anche bene. Ma il pezzo domani lo scrive Leandro!“.

Ma fin da quella prima trasferta, assaporai le riunioni di lavoro a colazione, quando le gare non iniziavano al mattino presto, in cui parlavamo del piano di lavoro giornaliero, che mi aveva subito incaricato di pensare e redigere.

“Allora cosa facciamo oggi, che programma?“. 

E iniziavamo a mettere giù l’elenco dei servizi, le presentazioni, le ipotesi. Naturalmente all’inizio ero stupito che una firma come lui chiedesse a me di proporre il piano del giorno, ma dialogare era talmente naturale che ci misi poco a dare tutto per scontato e scrollarmi di dosso ogni timore.

Non lo devo nascondere, per me è stato bello lavorare accanto a lui, mi sono divertito e ho condiviso tante risate. Anche perchè scrivevamo di un’Italia vincente come non era mai stata prima. E Vanni aveva un grande senso dell’umorismo.

I Mondiali di Roma 1987, praticamente un mondiale sotto casa per me che abitavo alla Camilluccia, sopra lo Stadio Olimpico: un inserto speciale preparato con grande cura per cui non ricevemmo elogi interni, anzi. Vanni ci rimase un po’ male, ma gli passò subito quando vide che in tribuna stampa quelle pagine erano diventate strumento di consultazione e lavoro per tanti giornalisti.

Agli Europei di Spalato, nel 1991, decise che saremmo andati in traghetto, per poter avere la macchina in Croazia e muoverci autonomamente tra stadio e hotel degli azzurri. Ma anche per poterci portare dietro i chili e chili di archivio cartaceo con cui si girava all’epoca. Andammo la sera a Pescara, cena sul lungomare, notte in traghetto e poi iniziò l’avventura. Altra pioggia di medaglie. L’ultima sera, dopo un blitz su una spiaggia croata per un rapido bagno, andammo a cenare nella grande piazza di Spalato e scoprimmo che il pollo era di nuovo nei menù: durante i campionati lo avevano tolto, consapevoli che pieni di anabolizzanti come erano, mangiare polli avrebbe potuto causare positività ai controlli anti-doping. Naturalmente, ne facemmo una curiosa notizia.

L’ultimo grande evento insieme ai Mondiali del 1991, a Tokyo. Un’edizione bellissima e indimenticabile, ma anche dolorosa per ciò che successe a Salvatore Antibo. Ecco, come Vanni gestì i suoi interventi nella conferenza stampa del giorno dopo, fu una lezione di giornalismo umano e professionale al tempo stesso. Mi è tornato in mente il suo stupore ammirato quando andammo insieme dal nostro albergo a Shinjuku all’hotel degli azzurri: in subway e senza consultare le mappe, perché mi ricordavo il percorso e le linee da prendere essendoci stato due anni prima per la Coppa del Mondo di pallavolo. E a Mondiali finiti, prima di ripartire disse che meritavamo una cena vera, e mangiammo finalmente bene e in tranquillità, senza l’angoscia di dover scrivere e trasmettere i servizi (a 300 baud, con enorme stress, preistoria).

Come molte firme degli sport vari, Vanni ha frequentato tante discipline sportive: fu anche ufficio stampa della Federazione Pallavolo, che oggi lo ha ricordato rendendogli omaggio sul suo sito e concluse la sua carriera attiva collaborando con la FIJLKAM-Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali.

Vanni Loriga ha scritto libri e affabulato ogni platea con la sua conoscenza universale, anche di personaggi minori dello sport, ma in qualche modo entrati nella sua orbita cognitiva. Per non parlare della Sardegna: personaggi e aneddoti che snocciolava esibendo una memoria stupefacente.

   In tutti gli anni di vita comune al giornale, gli ho sempre dato del lei. Ma qualche anno fa mi disse che era ora che anche io passassi al tu. Cosa che feci, non senza qualche pudico sforzo iniziale. Non avevo smesso di sentirlo e specialmente negli ultimi anni ogni tanto c’era la telefonata per sapere come gli andavano le cose. Telefonate che erano occasioni per parlare di sport, quello sport che non ha mai smesso di seguire ma che per molti aspetti non comprendeva più, lo sentiva giustamente profondamente cambiato. Non eravamo d’accordo su ogni cosa, è normale, ma nei nostri dialoghi c’è stato sempre rispetto, anche per diverse opinioni. Ultimamente la sua vita era diventata molto regolare: pasti sobri, ore di sonno, niente alcol. La formazione militare lo aiutava a mantenere la disciplina: “Non cammino quasi più, non serve mettere troppa benzina nel corpo se non si consumano energie”.

L’ho visto l’ultima volta al Salone d’onore del Coni, quando è stato presentato il libro omaggio a Giorgio Tosatti. Poi altre telefonate: stava leggendo il mio primo libro, Il tesoro di Rio, che gli avevo regalato e aveva piacere a parlarne, a sapere altri retroscena. Si scusava perché non riusciva a leggerlo con la velocità che avrebbe voluto. Non ha mai perso la curiosità, la voglia di esprimere le sue opinioni, la sua ironia. Quando lo chiamavo immancabilmente chiedeva a me: “Come stai?“. Gli rispondo allo stesso modo anche oggi, ma per l’ultima volta: “Che io sappia sto bene, caro Vanni. Ma oggi sono anche molto triste e piagnucoloso”

   L’annuncio sul Corriere dello Sport.it*

https://www.corrieredellosport.it/news/altre-notizie/2022/07/19-94839674/il_corriere_dello_sport_piange_vanni_lriga

All’età di 95 anni si è spento oggi a Roma Vanni Lòriga, per venticinque anni illustre e storica firma del Corriere dello Sport, massimo esperto di atletica, da cui si congedò andando in pensione nel 1992. Giovanni Maria Lòriga era nato a Isili, in Sardegna, il 2 marzo del 1927, dove il padre militare svolgeva servizio. Lui invece si sarebbe congedato nel 1967 dalle Forze Armate con il grado di maggiore, per accettare l’offerta dell’allora direttore Antonio Ghirelli, di seguire l’atletica per il nostro giornale.

Vanni Lòriga ha attraversato la vita vivendo molteplici esperienze tra sport e carriera militare: podista, marciatore, allenatore, ufficiale dei Bersaglieri, docente presso la Scuola Militare di Educazione Fisica di Orvieto, introducendo dell’orienteering, allenatore della nazionale militare di pentathlon moderno, prima di dedicarsi completamente al giornalismo. Ricordava sempre con orgoglio che Pietro Mennea si era rivelato proprio alle Leve di atletica leggara promosse dal “suo” Corriere dello Sport. 

   Nel corso dell’Olimpiade del 1972, i tragici Giochi di Monaco di Baviera, cercando di superare il muro di recinzione del Villaggio Olimpico mentre era in corso l’azione del Commando palestinese di Settembre Nero, cadde procurandosi la frattura esposta di tibia e perone. Concluse la carriera giornalistica collaborando per La Stampa, L’Equipe e Marca. E’ stato un maestro di giornalismo per tutti coloro che l’hanno visto in azione e che hanno avuto la fortuna di crescere e maturare accanto a lui. Acuto, lucido e ironico fino alla fine anche nel commentare e analizzare le vicende sportive che non ha mai smesso di seguire.

   Vanni aveva perso l’amatissima moglie Emilia qualche anno fa. Alle figlie Giusy e Maritzia, ai nipoti Francesca, Alessandro ed Elisabetta le affettuose condoglianze del Corriere dello Sport-Stadio.

* ringrazio Pietro Cabras, nipote di Vanni, amico ed ex collega, e Ivan Zazzaroni direttore del Corriere dello Sport-Stadio, che hanno ospitato il mio testo per annunciare on line la scomparsa di Vanni.

Vanni Lòriga al lavoro in tribuna stampa, seguendo l'atletica per il Corriere dello Sport
Vanni Lòriga al lavoro in tribuna stampa, seguendo l’atletica per il Corriere dello Sport

https://www.fidal.it/content/Lazio-Addio-Vanni-Loriga/142077

https://www.federvolley.it/news/il-mondo-del-giornalismo-sportivo-piange-la-scomparsa-di-vanni-l-riga

https://www.ivolleymagazine.it/2022/07/19/pallovolo-lutto-ci-ha-lasciato-vanni-loriga-ex-capo-ufficio-stampa-federale/

https://dartortorromeo.com/2022/07/19/e-scomparso-vanni-loriga-un-fuoriclasse-del-giornalismo/

Fulvio Solms sulla sua pagina Facebook

Il Maggiore era un leone. Lo era quando guidava la redazione, lo era quando scriveva, lo era quando gestiva i colleghi nelle grandi manifestazioni, lo era quando cercava le notizie. Aveva la forza, il coraggio e quel grano d’incoscienza dell’inviato di guerra. Non casualmente si spezzò una gamba scavalcando un muro all’Olimpiade di Monaco ’72, subito dopo l’assalto di Settembre nero agli atleti israeliani. Non stava precipitosamente uscendo dalla zona dell’attentato: vi stava entrando. «Sei l’unico che mi ha visto piangere», disse a mio padre, uno dei vicecapo ufficio stampa di quella Olimpiade, responsabile per la stampa estera e dunque in quei giorni particolarmente vicino al Maggiore. Loriga mi dette lo spintone che mi consentì di entrare stabilmente al giornale con una frase: «Tu domani fai la notte». Paura: vivevo nella palestra dell’abusivato e a quell’incarico franato addosso corrispose la certezza verosimile di essere assunto, ciò che effettivamente avvenne poco tempo dopo. I nostri incontri, frequenti e talvolta quotidiani da vicini di casa, erano sempre ravvivati da un suo stuzzicante e arguto aneddoto di storia dello sport o semplicemente di vita, molto personale, che raramente durava più di un paio di minuti. E poi l’arrivederci, secco come il saluto di apertura. Mia moglie Lisa adorava quelle brevi e improvvise opportunità di puro stupore. Bellissimo averlo avuto di recente in una serata di ritrovo di alcuni suoi “ragazzi dei Vari”. Buon viaggio Maggiore

Vanni e i “ragazzi” dei Vari


Leandro De Sanctis

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