Volley Scuola | Samanda Xhaja: “Per essere felici…”

Volley Scuola | Samanda Xhaja: “Per essere felici… basta un salto”. E’ il lavoro classificato al secondo posto, dopo lunga “battaglia” virtuale con l’opera vincitrice. Due bei temi che hanno rappresentato al meglio l’edizione 2021 del concorso Raccontaci Volley Scuola, della Fipav Lazio, nell’ambito di Volley Scuola Trofeo Acea 2021.
Ecco il testo secondo classificato, di Samanda Xhaja del Liceo Majorana

È capitato a tutti almeno una volta da bambini di essere posti davanti la domanda “che cosa vuoi fare da grande?”. Ognuno di noi aveva sogni differenti, c’era chi voleva fare il dottore, chi il poliziotto, chi il pompiere e chi pensava di poter arrivare addirittura in cima alla luna. Io invece, fin da piccolo, volevo imparare a volare.

Quel sogno non era frutto di un desiderio improvviso, anzi, ero fortemente convinto di poterlo realizzare. Tutto partì alle elementari quando la maestra ci raccontò il mito di Icaro. Egli per poter scappare dal labirinto del Minotauro si servì delle ali di cera costruitegli dal padre. Icaro però si spinse troppo in alto, avvicinandosi sempre di più al sole tanto che le sue ali si sciolsero facendolo cadere. 

I miei compagni pensavano che Icaro fosse stato semplicemente un idiota a spingersi oltre quello che gli era stato raccomandato, io al contrario ne ero rimasto fortemente colpito. Mi domandavo cosa avesse provato in quel momento per fargli desiderare di andare sempre più in alto. Se Icaro si è spinto oltre il suo limite probabilmente doveva proprio piacergli quella sensazione.
A 12 anni presi in mano il mio primo pallone, lo aveva comprato mio padre così da poterci giocare insieme. Saltare incontro alla palla mi faceva tornare in mente il me bambino che saltava in giardino per poter riuscire a volare. Mi appassionai così alla pallavolo e iniziai a praticarla. 
Le medie purtroppo non sono state un bel periodo, era una costante di spinte e insulti. La pallavolo mi faceva sentire meglio. In quel periodo così buio però, neanche ella riuscì a salvarmi. Mi chiusi in me stesso, e le ali che mi ero costruito diventarono piano piano uno scudo protettivo verso l’esterno. Non parlavo con nessuno, subivo passivamente ciò che accadeva intorno a me. 
Iniziò poi il liceo. Pensavo che cambiando scuola avrei potuto ricominciare da capo, che sarebbe stato diverso. Ma la storia si ripeté. 

L’unica cosa che pensavo in quel momento era che forse, loro avevano ragione. Faceva male sentirsi sbagliati, il vuoto che percepivo mi lacerava piano piano dall’interno e il mio scudo si disintegrava, ogni piuma delle mie ali veniva staccata una ad una. Non lo nego, in quel momento pensai quasi di farla finita. Non lo feci, decisi di resistere, ancora un pochino nell’attesa di qualcosa. Un qualcosa che riuscisse a salvarmi da me stesso. 

Passò così un anno. Mio padre continuava a pressarmi, voleva che continuassi a giocare e per accontentarlo decisi di andare alle lezioni pomeridiane di pallavolo che faceva la mia scuola. Fu la prima volta che in un ambiente scolastico mi sentii a mio agio. I miei compagni di squadra mi corsero subito incontro, in quanto nuovo arrivato, e mi fecero tantissime domande. Per quei 5 minuti mi sentii speciale. Continuai ad andare regolarmente agli allenamenti, erano l’unica cosa che ridava un po’ di colore al mio grigio modo di vivere. Feci amicizia. 

Cominciai a vedere i miei compagni anche fuori scuola, e loro,  anche quando stavo in disparte, mi includevano sempre. Erano passati 5 mesi. Si avvicinava sempre di più il torneo e tutti erano agitati. Ma io adorai quella sensazione, era da tanto che non sentivo l’adrenalina di qualcosa di importante scorrere nel mio corpo. Mi allenai sempre di più. 
In classe le cose andavano meglio. Gli insulti continuavano a esserci ma le persone piano piano maturavano, e si limitavano a delle semplici risate.
Arrivò poi il giorno del torneo. Ero super emozionato, non vedevo l’ora. 

Facemmo il saluto iniziale, ed entrammo in campo. In quel momento vidi i sorrisi di tutti, e notai i loro occhi pieni di concentrazione. E anche io, ero felice. Mi sentivo di nuovo completo, e le mie ali anche se deboli venivano piano piano riattaccate, come se qualcuno ci avesse messo dello scotch sopra. Mancava un punto alla fine della partita. La palla era stata alzata verso di me. Saltai. Eccolo, il mio sogno, stavo volando. La  sensazione che Icaro aveva provato in quel momento doveva essere simile a questa, perché se avessi potuto non avrei mai smesso. Forse se anche lui avesse avuto qualcuno al suo fianco, non sarebbe caduto. 
Ho trovato la felicità che provava Icaro, e per trovarla mi è bastato saltare.
Samanda Xhaja
(Liceo Majorana
Docente Daniela Magnanti)

Leandro De Sanctis

Torna in alto