CINEMA L’intrepido

Un film di Gianni Amelio.

Con Antonio Albanese, Livia Rossi, Sandra Ceccarelli, Alfonso Santagata, Gabriele Rendina  Durata 104 min.

– Italia

Non mi sorprende che l’Intrepido faccia discutere, divida gli spettatori e susciti emozioni contrastanti. E’ il destino di quei film a cui ognuno aggiunge qualcosa, diversi piani di lettura, sguardi colti o ignorati. Nella sua semplicità la favola di Amelio (e per favola si intende una storia che scaturisce dalla realtà senza la pretesa e l’obbligo di essere cronaca, con piccole e grandi licenze poetiche) può risultare perfino ostica, per il suo dissociarsi da una narrazione tradizionale. 
Una storia costruita sulla maschera di Albanese, che tra qualche ingenuità lessicale, cerca di andare oltre. Un manuale di sopravvivenza attraverso i temi toccati dalla storia del suo Antonio (buono come il) Pane. Quadretti, stanzette anguste e malinconiche di vita quotidiana che a volte restano sospese, aperte ma non chiuse, lasciate lì a sollecitare riflessioni, curiosità. Una storia che scorre come un fiume che non va da nessuna parte (o forse alla fine torna al punto di partenza), ma che accoglie e rifornisce affluenti nel suo cammino.
L’Intrepido era un giornale per i ragazzi degli anni ’60, intercettava i gusti e le ingenuità del tempo: c’era il calcio, c’era la musica, c’erano i fumetti di eroi solitari come Billy Bis, Lone Wolf, Ghibli.
Anche Antonio Pane è un eroe solitario dei nostri tempi, di questi tempi, come avverte subito nel preambolo che propone una Milano livida e gelida, triste nel suo paesaggio povero e sottoproletario, multietnico, perchè la povertà è la livella contemporanea, lontano dalle vetrine di via Montenapoleone buone per rotocalchi e mala televisione.
Antonio non ha un lavoro ma svolge tutti i mestieri, sostituisce, rimpiazza. Cerca negli altri quei lampi di felicità che lui e quelli come lui non sanno più provare, non sanno più nemmeno se esista. E’ un film fortemente politico, quello di Amelio, senza apertamente parlare di politica. Perchè la disonestà ha il colore della ricchezza, che tutti inseguono ad ogni costo. L’etica corretta è povera, dimenticata, ma chi nasce onesto non vuole cambiare e sventola la sua bandiera con orgoglio: povero si ma non stupido, e onesto dentro, nell’anima, con un senso di civismo dimenticato da chi può vivere. Antonio lotta quotidianamente per sopravvivere, perchè vivere è altra cosa. Magari ingenuamente, si emoziona per l’arte, avere tra le mani un libro, lasciarsi rapire da una melodia, sognare riscatto attraverso il figlio musicista insicuro.
Antonio è un perdente che cerca di vincere con la sua dignità, un alieno che incassa colpi ma non vuole arrendersi al pessimismo. Cerca gli altri, parla con tutti. E’ altruista, perbene e generoso, elementi trasgressivi in questi anni decadenti. Rispetto al neorealismo di quell’Italietta che mezzo secolo fa voleva crescere, non c’è più il sogno, rubato da politici e faccendieri, imprenditori disonesti e cittadini eticamente corrotti fino al midollo.
C’è chi non ce la fa ed esce dalla vita. C’è chi specula sulle miserie altrui, come il camorristico e sordido caporale con marcato accento napoletano, c’è chi ricicla denaro attraverso negozi vuoti come certe coscienze.
Antonio non è più marito, è rimasto padre con i calzini bucati. Il ritorno in miniera, in quell’Albania da cui altri poveri in altri anni partivano per il sogno italiano, è un invito a guardarsi indietro, a ricordarci come eravamo e come non ridevamo. Con un finale che può essere letto come invito a scuotersi, a non lasciarsi abbattere dal panico, ad alzarsi e a prendere in mano la vita. Perchè se i giovani non se la cantano da soli, altri sono pronti ad andare avanti senza di loro. L’ottimismo ingenuo, che può anche risultare irritante per qualcuno, di Antonio Pane, può essere letto come un invito a non mollare, un trasgressivo incitamento alla rivoluzione. Perchè oggi essere onesti, buoni, altruisti, comprensivi, rifiutare facili e illegali metodi per far soldi, è quanto di più trasgressivo si possa immaginare. 

La voglia di lavorare di Antonio è la disperata ricerca di lavoro dei ragazzi italiani e di molti genitori rimasti senza occupazione. La sua disponibilità a fare tutto è un invito a cercare umilmente anche i lavori più difficili e meno gratificanti, da nobilitare con la propria dignità ed il proprio impegno. Il futuro fa paura, a tutti. Amelio ha voluto guardarlo in faccia, attraverso gli occhi di un uomo che cerca solo normalità (radersi ogni mattina, come le persone che lavorano e hanno una vita sociale), sconfitto da tutto ma non nel suo cuore vessato e mortificato.


Può essere discutibile e dividere, ma almeno Amelio ci ha provato. Forse la scrittura di qualche personaggio avrebbe potuto essere messa a fuoco meglio (come il mutare del rapporto tra il figlio Ivo e il padre Antonio) ma a volte anche le favole risultano imperfette.

 La Filmografia di Gianni Amelio

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La Filmografia di Antonio Albanese 

Leandro De Sanctis

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