We are the world: La notte che ha cambiato il pop

We are the world: La notte che ha cambiato il pop.
The greatest night in pop, la più grande notte del pop recita il titolo originale di un docufilm (ora su Netflix) imperdibile per chiunque ami la musica e abbia già vissuto il mezzo secolo di vita.
La notte del 25 gennaio 1985 oltre quaranta giganti della musica americana parteciparono e vissero ore epocali nella storia della musica, con risvolti sociali che andarono ben oltre la gloria personale delle star della musica. Bao Nguyen racconta quella notte con un documentario che alterna immagini e video d’epoca a interviste realizzate appositamente.
Bob Geldof era rimasto colpito da una serie di servizi apparsi sulla BBC che illustravano la tremenda carestia in Etiopia. Così aveva dato vita a una canzone natalizia a scopo benefico, Do they know it’s Christmas, scritta nel 1984 insieme con Midge Ure per raccogliere fondi destinati a combattere la carestia in Etiopia. Fu pubblicata a nome Band Aid e vi presero parte tante rockstar britanniche. Tra gli artisti coinvolti Phil Collins, George Michael, Simon Le Bon, Bono, Boy George, Paul Young, Tony Hadley, Francis Rossi, Steve Norman, Sting. Paul Weller. E nel parlato del retro anche Paul McCartney, David Bowie e Holly Johnson.

Harry Belafonte, Lionel Richie, Michael Jackson

La risposta americana, USA for Africa, si mette in moto con Harry Belafonte, musicista sempre schierato nelle cause umanitarie e per i diritti umani. Sono coinvolti Lionel Richie e Michael Jackson che scrivono la canzone, We are the world appunto, con la produzione e la regia artistica di Quincy Jones. L’occasione per rendere operativo e reale un progetto altrimenti impossibile è la notte degli American Music Awards in programma a Los Angeles. Sarà presentata proprio da Lionel Richie e vedrà lì riuniti non tutti ma moltissimi cantanti. Si sceglie la location per registrare, si mantiene il massimo riserbo per evitare che tutto naufraghi e si forma il cast. Arriva anche chi non c’era per gli Awards, come Bruce Springsteen stremato dal tour di Born in Usa.
Ecco, il film racconta i retroscena, tutto il raccontabile ed è una miniera di aneddoti divertenti, curiosi, un dietro le quinte che sorprende e cattura emozioni, riprendendo le rockstar come fossero una classe scolastica, a volte anche rumorosa e indisciplinata, ma sempre gioiosamente felice di far parte di questo sogno che pareva impossibile.
Quincy Jones appende sulla porta dello studio il cartello che è diventato storico: Lasciate l’ego fuori dalla porta. Non c’è Madonna, non ha voluto esserci Prince (presente invece nel disco LP). Ma ci sono tutti gli altri: 46 artisti che ascoltano in silenzio Bob Geldof parlare del significato di quanto faranno con We are the world e motivarli tutti.
Il documentario di Bao Nguyen va visto, più che raccontato, anche se Lionel Richie è un padrone di casa che si emoziona e fa emozionare e non si contano i momenti davvero toccanti e significativi: i cantanti che danno e chiedono autografi tra di loro, Stevie Wonder che accompagna al bagno Ray Charles e gli altri raccomandano loro di…accendere la luce. Wonder che imita Dylan, Wonder che viene dissuaso dall’inserire una strofa in lingua swahili, la chincaglieria di Cindy Lauper che fa noise nella registrazione (anelli, orecchini e catene che vibrano), il coro muto di uno spaesato Bob Dylan, la sua chiusa, le strofe possenti di Bruce Springsteen e Huey Lewis, il coro spontaneo di tutti che cantano Day-o (la hit di Harry Belafonte che è lì con loro e ringrazia commosso) innescato da un Al Jarreau alcolicamente su di giri. Le lacrime di Diana Ross che vorrebbe che quella notte non fosse finita mai. Ma basta guardare chi c’era per restare colpiti: Paul Simon, Billy Joel, Tina Turner, Kenny Rogers, Steve Perry.
Tanta emozione allora nello studio, ma anche oggi a distanza di anni e carriere, a ricordarne il senso. Da Huey Lewis a Bruce Springsteen, che invita a non valutare We are the world per ciò che è musicalmente, ma per ciò che ha significato. Allora il singolo fruttò 80 milioni di dollari, interamente devoluti alla causa africana, in particolare per combattere la carestia in Etiopia.

We are the world: il long playing

E nell’album (sotto la copertina e le foto all’interno) che seguì furono pubblicate anche nove canzoni inedite, tra le quali Trapped di Springsteen e la canzone dall’eloquente titolo Tears are not enough, le lacrime non bastano, cantata dal collettivo di musicisti canadesi che scelsero la sigla Northern Lights. Tra loro c’erano Bryan Adams, Joni Mitchell, Neil Young, Gordon Lightfoot, Geddy Lee dei Rush, Bruce Cockburn.


Leandro De Sanctis

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