Cristiano Ronaldo, le lacrime dell’ingratitudine

Cristiano Ronaldo, le lacrime dell’ingratitudine.
Il tema della riconoscenza, e di conseguenza dell’ingratitudine, è ricorrente nello sport, che vive sempre essenzialmente nel presente. Ed è un virus a corrente alternata che prima o poi contagia tutti. Quanto può contare nel presente, quanto si è fatto nel passato, anche recente e tuttavia pur sempre passato?
E’ giusto, lecito e consigliabile che nelle scelte (in questo caso) di un allenatore si tenga conto dei meriti pregressi oppure banalmente si debba solo fotografare l’istantanea del momento?
Penso non ci sia una risposta valida in ogni occasione, in tutti i casi.
Spesso si sono accusati allenatori, commissari tecnici, di aver pagato pegno alla riconoscenza: aver convocato e puntato su giocatori che non erano più quelli che li avevano fatti vincere. O al contrario si è palesata l’ingratitudine per esclusioni eccellenti, per atleti non presi in considerazione per quel che ancora valevano ma bocciati magari solo per la carta di identità vetusta.

“La riconoscenza nello sport non può esistere”

Ricordo cosa ci diceva Julio Velasco, il ct argentino naturalizzato italiano dal 1993, tecnico della Nazionale di pallavolo campione del mondo nel 1990 e nel 1994 e poi transitato nel mondo del calcio (Lazio, Inter) che si era innamorato del personaggio, salvo poi distaccarsene quando ci si rese conto che non era manovrabile e pure sostanzialmente scomodo. Sostanzialmente Velasco riteneva che nello sport la riconoscenza non può esistere: un tecnico valuta quello che un giocatore può dare nel presente, non quello che ha dato in passato.
Questo in generale, perché poi come accaduto nei giorni scorsi con Cristiano Ronaldo e la nazionale del Portogallo, che in panchina aveva il ct Fernando Santos. Nelle due partite ad eliminazione diretta, il ct portoghese ha tenuto in panchina Cristiano Ronaldo, da tempo immemore titolare, bandiera e uomo squadra di quella Nazionale, oltre che delle squadre dove militava, dal Manchester al Real Madrid, alla Juventus, lasciando la quale iniziò il vero declino del calciatore fenomeno degli ultimi decenni (insieme con Messi, naturalmente, ma forse anche più su, per le sue doti realizzative).
I giudizi nel calcio come ma più di altri sport, sono estremamente legati ai risultati. Se il Portogallo fosse andati avanti fino alle semifinali, l’esclusione di Ronaldo dall’undici titolare avrebbe sempre destato scalpore e polemiche, ma non come è avvenuto dopo la storica sconfitta con il Marocco.
Era bastata la tripletta di Gonçalo Ramos nel 6-1 rifilato alla Svizzera per rimuovere l’epopea di CR7, per confinarlo senza rimpianti in panchina, e iniziando ad accusarlo di essere la rovina della squadra. Ora, se è vero che una rondine non fa primavera, nemmeno tre gol agli svizzeri fanno un nuovo Ronaldo e non c’è dubbio che contro il Marocco il Portogallo abbia pagato anche la mancanza di un attaccante come CR7, capace di trasformare in gol azioni non necessariamente irresistibili.

CR7: 701 reti in 951 partite

La vecchiaia, la riconoscenza per il passato, la presunta titolarità per meriti pregressi: elementi che vengono a cadere se il giubilato è ancora un giocatore come minimo allo stesso livello, ma forse ancora un po’più in alto, degli altri. Ricordate come la Juventus espulse la sua bandiera Del Piero? Senza troppi complimenti, anche perché, venne fuori (a denti stretti dai bene informati), che sarebbe stato complicato lasciarlo fuori l’anno dopo dalla lista Champions, senza che scoppiasse un pandemonio anche mediatico. Peccato che la Juventus dei settimi posti, se non fece peggio fu soprattutto grazie a Del Piero, uno dei fedelissimi bianconeri rimasti anche nell’anno della serie B. e poi ancora decisivo quando veniva impiegato. In quel caso dunque, ingratitudine pura, del tecnico e della società.
Ma tornando a Cristiano Ronaldo, il discorso scivola altrove. Tra i demeriti del ct Fernando Santos c’è quello di non aver saputo costruire un gioco che sfruttasse sia le qualità di Ronaldo che quelle di Joao Felix e soprattutto di Rafael Leão, decisivo nel Milan di Pioli e inseguito dai ricchi club d’Europa nonostante i 100 milioni di euro necessari per strapparlo ai rossoneri. Detto ciò, la cosa che mi ha colpito è stata la violenza verbale e irridente che si è rovesciata su Cristiano Ronaldo. Fino ad un certo punto c’era poco da stupirsi, considerando che perfino nella sua Juventus, nonostante i 101 gol realizzati in 134 partite, era nato un consistente partito a lui contrario.
Il tono delle critiche, il modo in cui si è celebrato l’epilogo del suo mondiale e della sua carriera ad altissimo livello (951 partite, 701 gol tra Manchester United, Real Madrid, Juventus, Portogallo) non nascondeva un qualcosa simile all’astio, ad un qualcosa che era stato per anni come un rospo indigeribile e che finalmente si poteva sputare fuori. Inevitabile considerare con quanta rapidità di scende dal carro del vincitore, incuranti dello stile e della sostanza.

Guadagni immorali, colpa di chi glieli offre

Certo, Cristiano Ronaldo guadagna cifre immorali, pretende ingaggi altrettanto oltre ogni regola etica, ma la colpa è sua o di chi si piega alle richieste sue e del suo procuratore? Quanti altri giocatori diventano nababbi senza realmente meritarlo e ricambiare in proporzione? E’ tutto il mondo del calcio, travolto dalla ricchezza generata delle tv, che è impazzito diventando tutt’altro che uno sport, come dimostrano tutte le porcherie che ad esso sono ormai legate. Inevitabilmente dicono i protagonisti. Ma non realtà non è così, potrebbe non essere così se ci fosse il coraggio della ribellione.
Dittatore insofferente in campo, Cristiano Ronaldo prima di pretendere dagli altri ha sempre preteso da se stesso, curando il suo corpo e la sua forma, che ancora oggi che ha 37 anni, resiste meglio della maggior parte degli altri all’inesorabile incedere dell’età. Grazie anche al suo modo di essere quanti trofei sono andati ad arricchire le sue squadre?
Quando venne alla mia Juventus, da un lato ero quasi incredulo che davvero Cristiano Ronaldo potesse vestire la maglia bianconero, dall’altro avevo la consapevolezza che quanto predetto da un collega sui danni che a medio e lungo termine avrebbe arrecato il suo ingaggio alla Juventus, fosse destinato ad avverarsi. Come poi è successo. E ancora non c’era la pandemia.

Meritava almeno il rispetto della riconoscenza

Ovvio dire che Cristiano Ronaldo ha commesso tanti errori con le sue scelte degli ultimi anni. Scelte sbagliate che ha pagato e sta pagando. Ma fa impressione la fretta e il malanimo con cui lo si è voluto cancellare dalla faccia del calcio. Non si passa da un giorno all’altro dall’essere un fuoriclasse al declassamento e giocatore inutile, buono solo per la panchina.
Fossi un tifoso portoghese mi vergognerei, pensando a tutto ciò che Cristiano Ronaldo ha rappresentato per il calcio del Portogallo. Il rispetto per lui non avrebbe mai dovuto mancare. Nel suo caso la parola riconoscenza, la gratitudine, erano obbligate. A chi ironizza sulle sue lacrime, sul suo pianto per l’eliminazione del Portogallo, per il suo sogno mondiale sfumato, mi permetto di dire che del calcio ha capito poco o nulla. Stigmatizziamo chi pensa ai soldi (qualcuno solo ai soldi), come lo stesso CR7, e poi nel momento in cui torna ad essere solo un giocatore sconfitto, un “bambino” che ha visto sfumare il suo sogno, lo prendiamo in giro? Il pianto di Cristiano Ronaldo in Qatar, come quello di Andrea Pirlo dopo la finale di Champions perduta in bianconero, come quello di Gonzalo Higuain che ha appena smesso di giocare e come tanti altri prima di loro. Ecco, lì c’è l’essenza del calcio, dello sport. E Cristiano Ronaldo, semplicemente, avrebbe meritato maggior rispetto. Non fosse altro che per riconoscenza e gratitudine.

Leandro De Sanctis

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