Olimpiade, il CIO sta uccidendo lo sport

Olimpiade, il CIO sta uccidendo lo sport. Con la complicità di molti: a cominciare dai Comitati organizzatori che di volta in volta scelgono ed escludono discipline realmente e tradizionalmente sportive, a vantaggio di altro che sport si fa fatica a considerare. E il silenzio delle Federazioni mondiali coinvolte. Attenzione, non significa che certe manifestazioni di perizia fisica non siano degne di considerazione, tutt’altro. Ma ogni forma di attività o di arte, ha la sua naturale ribalta. E non può certo essere l’Olimpiade il palcoscenico dell’arrampicata o della breakdance, dello skate o del surf. E in un prossimo futuro magari anche dei giochi da joystick che ricreano i veri sport con la simulazione. Un regista di cinema, una band musicale, non fanno attività pensando di andare all’Olimpiade.
L’aspetto vergognoso che il CIO ha ignorato, è l’aver calpestato la storia e gli atleti, gettando nella spazzatura gare che costituiscono essenza e tradizione. Non riesco proprio a tollerare che si sia deciso di abolire la 50 km di marcia nell’atletica. Se poi si riflette sulla motivazione, si avverte l’esigenza di dare un seguito alla demolizione del politicamente corretto, come ha iniziato a fare Daniele Poto nel suo libro Stroncature appena pubblicato.
Dato che l’atletica voleva inserire la 50km anche per le donne, non volendo il CIO aumentare il numero di medaglie, è stata cancellata la maschile. Semplicemente pazzesco, o vergognoso. Come tante altre cose decise dal CIO: non dimentichiamo i tagli al programma della scherma ad esempio. Ma al CIO non importa custodire e salvaguardare i valori dello sport. Il CIO si comporta come un’azienda in mano ai manager rampanti, i giovincelli di turno ricchi di presunzione e poveri di conoscenze specifiche, che dettano la loro ricetta innovativa, che buttano al cesso il vecchio per fare largo al nuovo. Anche se non c’entra niente con lo sport.
Ma c’entra, nelle speranze, con i soldi, con i ricavi, con i nuovi bacini commerciali di interesse e sponsorizzazioni.
Parlo di complicità perché la protesta è un abbaiare alla luna. Come dimostra ad esempio la stessa World Athletics (è sempre la IAAF, ma con un nome più giovanile…), che prima ancora del CIO ha messo in discussione gare cardine della sua storia (guarda caso, la marcia sempre nel mirino, oltre alle regole riscritte in molte gare), nel nome di una presunta platea giovanile che non si diverte con l’atletica cosi come è stata ed è.
Gli atleti non se li fila nessuno. Non hanno voce in capitolo. Sono solo strumenti da sfruttare ad uso e consumo di bilanci e tv. Ma se smettono loro di credere al totem olimpico, il CIO non avrà un bel futuro.

Gli atleti non contano nulla

Si sceglie uno sport sognando l’Olimpiade, ma nel frattempo può succedere che quello sport non sia più degno dei Giochi. Una vita sportiva sciupata. Ci si allena in una disciplina, per scoprire poi che viene cancellata dal programma, per sempre o fino a nuovo ordine.
Che schifo! E’ il commento più sintetico e appropriato.
Non avrei mai pensato di poter sognare l’Olimpiade” ha confessato la stella azzurra della breakdance Alessandra Cortesia. Ha ragione. In effetti nessuno l’avrebbe immaginato. E il motivo c’era. Semplicemente perché nemmeno chi praticava questa danza di strada nata negli Stati Uniti e vista in Italia nel 1984 grazie ad un film divertente e musicale, avrebbe mai immaginato che la break dance sarebbe stata accolta nel programma olimpico.

Altre medaglie affidate ai giudici…

Altra contraddizione: queste nuove attività, si fa fatica a chiamarle sport, assegneranno medaglia con il giudizio dei giudici. Notoriamente fonte di scandalo. Si è dato l’ostracismo alla boxe a causa degli scandalosi verdetti che hanno caratterizzato la storia olimpica sul ring, e si accolgono altre gare in balia dei giudizi e non del cronometro o degli avversari.

Il gigantismo e la caccia ai soldi

Da tempo il gigantismo olimpico ha iniziato a ritorcersi contro chi l’ha spinto e praticato. Ma è in un campionato del Mondo che è possibile valutare e comprendere il reale valore di uno sport. L’Olimpiade è diventata un circo dove le regole sono stravolte: le regole degli sport (nel volley si gioca con 14 giocatori, ai Giochi se ne possono avere soltanto 12, è solo un esempio), le regole economiche (impianti costosi costruiti talvolta come cattedrali nel deserto, e mi scuso per la frase fatta che tuttavia rende l’idea, che vanno in rovina rapidamente) che determinano spesso sperperi intollerabili.
La realtà è che c’è molta retorica nel definire l’Olimpiade, che resta il sogno di ogni atleta ma che in realtà serve assai di più al CIO per continuare ad incassare i diritti televisivi e ad alimentare un carrozzone autoreferenziale. Una mega azienda che pensa poco allo sport e più ai soldi e ai contratti, garantendo soggiorni in giro per il mondo, nei migliori alberghi, ai suoi membri per lo più di età avanzata.
L’Olimpiade era l’Olimpiade quando lo sport, con le sue storie, ne era l’indiscusso protagonista. Fossi un atleta, smetterei di pensare ai Giochi come l’unico modo di coronare una carriera sportiva. C’è vita, per lo sport, anche al di fuori dei cinque cerchi olimpici.

E’ lo sport del dizionario

Attività che impegna, sul piano dell’agonismo oppure dell’esercizio individuale o collettivo, le capacità fisico-psichiche, svolta con intenti ricreativi ed igienici o come professione.

Dal dizionario italiano Treccani
spòrt s. m. [dall’ingl. sport ‹spòot›, forma aferetica dell’ant. disport, prestito dal fr. ant. desport (cfr. diporto)]. – Attività intesa a sviluppare le capacità fisiche e insieme psichiche, e il complesso degli esercizî e delle manifestazioni, soprattutto agonistiche, in cui si realizza, praticati, nel rispetto di regole codificate da appositi enti, sia per spirito competitivo (s. dilettantisticis. olimpici), differenziandosi così dal gioco in senso proprio, sia, fin dalle origini, per divertimento, senza quindi il carattere di necessità, di obbligo, che è proprio di ogni attività lavorativa; da qui, in senso fig., fare una cosa per s., per diletto o per soddisfazione personale, senza alcun interesse pratico o utile economico; a partire dai primi anni del Novecento, tali attività cominciarono a essere praticate talora anche per trarne un utile economico (s. professionistici), finalità conseguente all’esigenza di ottenere i massimi risultati agonistici per soddisfare un pubblico pagante sempre più numeroso, e perciò di praticare allenamenti più intensi e più frequenti, a scapito dell’attività lavorativa. Il termine, usato talora estensivamente per indicare attività atletiche praticate nell’antichità, con carattere ora sacrale, ora educativo, ora agonistico o come forma di preparazione militare (lo s. nella Grecia antica), è più propriam. usato con riferimento all’età moderna, quando, nella società inglese del sec. 19°, si istituisce una forma regolamentata e organizzata delle varie specialità sportive.

Leandro De Sanctis

Torna in alto