VOLLEY & MEDIA Il Premio Stracca tradito e gli errori di certi addetti stampa

 La premessa di questo post, scomodo ma doveroso per rispetto di lotte durate oltre 25 anni e ormai concluse con un’amara sconfitta di cui va preso atto. Le nuovissime generazioni di addetti alla comunicazione dei club di pallavolo (non tutti, per carità, ci sono anche splendide eccezioni che non devono sentirsi toccate dalle mie considerazioni), complici i new media, hanno dimostrato nell’ultima stagione di club di non aver capito la differenza del mezzo che utilizzano e dei fruitori a cui dovrebbe essere rivolto il loro lavoro. Forse l’abbassamento del livello qualitativo dipende dal fatto che le società vogliono risparmiare e dunque non dedicano risorse economiche agli addetti alla comunicazione. 

Forse dalla stessa Lega non parte più una politica generale che dovrebbe essere seguita da tutti, con più o meno capacità ma remando nella stessa direzione. Un po’ come una società di calcio che in serie A gioca con un modulo e poi tutte le varie formazioni giovanili si adeguano, adottando lo stesso modulo. Così se un giovane serve all’improvviso alla prima squadra, ha già un’idea di ciò che gli viene chiesto. 
Penso che se un addetto stampa non lavora in modo proficuo, la Lega abbia il diritto e dovere di far notare che sta sbagliando e che bisognerebbe cambiare qualcosa, una volta che il lavoro risulta inefficace e nulla o quasi viene ripreso dai giornali o dai siti di quanto si diffonde. 
In particolare è decisamente sconfortante la condotta (e mi limito all’aspetto tecnico, lasciando da parte considerazioni morali ed etiche) di certi personaggi ed è ancora più grave che proprio da una società campione d’Italia sia arrivata la più consistente delusione. 
E come spesso capita, le cattive abitudini fanno scuola, vengono copiate. Ed è doppiamente sconfortante pensare che si possa aver ricevuto il Premio dedicato alla memoria di Roberto Stracca, (il collega ed amico del Corriere della Sera prematuramente scomparso, che iniziò la sua carriera giornalistica come addetto alla comunicazione della Piaggio Roma Volley, che nel 2000 arrivò a vincere lo scudetto) e successivamente infischiarsene, a vari livelli, della deontologia professionale dell’addetto stampa. Un aspetto su tutti: è invalsa la pessima abitudine di fare dei comunicati con link che rimandano a interviste audio. Bella cosa e utile per chi vive di sola pallavolo, per i ragazzi che seguono la squadra, per chi sul web ha tempo da spendere, più come hobby che per lavoro.
Ciò può accadere per vari motivi: 1) chi dovrebbe scrivere l’intervista che va ascoltata non ne è capace o non ne ha voglia. 2) Non si ritiene utile mandare il testo nel momento che si mette a disposizione il video. 3) L’addetto stampa non è un giornalista e quindi non ha la minima idea di come si lavora, per tempistica e modalità, in una redazione, specie di giornali nazionali.
Nella scorsa stagione, un certo giorno, la differenza tra due società operanti nella stessa città, che si autodefinisce la culla del volley, emerse in modo lampante. La società maschile mandò il solito comunicato link, che in molti casi viene cestinato perchè non si ha il tempo di ascoltare per qualche minuto. La società femminile mandò un comunicato con il link per l’intervista proposta, ma anche con il testo della stessa. E’ così che si fa! 
Il vantaggio è duplice e chiaro: si può leggere il contenuto e valutarlo in pochi secondi. E se lo si vuole pubblicare, anche sul web, lo si fa in pochi minuti.
I tentativi di far desistere da questa che a mio avviso è una pessima e controproducente abitudine li ho fatti anche personalmente. Senza risultato. Per cui ho smesso di preoccuparmene e ho moltiplicato i clic dell’invia cesto.
Sono convinto, o almeno vorrei sperare, che anche tra la new wave di ragazzi che si occupano degli uffici stampa c’è gente in gamba che ha voglia di imparare e di operare al meglio (e qualcuno c’è, lo ha già dimostrato), ma deve essere ben istruita e controllata-corretta-stimolata strada facendo.
Potrei fare nomi e cognomi, potrei ricordare che l’umiltà e la lealtà sono qualità irrinunciabili, che – ad esempio – un addetto stampa non deve fare il tifoso e correre dietro a giocatori avversari o inveire, ma parafrasando il Don Abbondio di Manzoni, lo stile se uno non ce l’ha, non se lo può dare.
Unica considerazione attenuante, ma non troppo, è che molti presidenti o dirigenti di società pensano di sapere anche di comunicazione, pensano che si debba sempre scrivere bene delle società, senza opinioni critiche. Il problema della pallavolo di club italiana è che ormai si legge di volley (SuperLega, A1 donne, A2) solo o prevalentemente sui giornali locali dove ci sono squadre. Insomma, il volley è tornato nella sua tana provinciale, di sport di nicchia. E’ la denuncia che Zaytsev lanciò invano due anni fa: la pallavolo non avrà mai il successo che merita (e che ebbe) finchè resta confinata tra le sue anguste pareti domestiche. La Nazionale di basket ha riempito per quattro sere il palasport di Torino da 13.000 spettatori, agli Europei dello scorso anno l’impianto più piccolo sempre di Torino, si riempì solo nell’ultima giornata. Non bisogna dimenticarlo, pensando ai Mondiali torinesi del 2018.
E’ con amarezza che sa di sconfitta che quest’anno non darò il mio voto per il Premio Stracca. Anche se opportunamente è stato rimosso il divieto di votare addetti stampa già premiati. Se non si vogliono istruire gli addetti stampa con giornalisti che lavorano nelle redazioni (giornalisti, non giornalisti di volley: la cosa è ben diversa ed è una delle ragioni per cui club e stampa spesso non vanno d’accordo) che almeno si mettano in cattedra quei due addetti stampa che meriterebbero ogni anno il Premio Stracca, per far loro raccontare come lavorano.

Leandro De Sanctis

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