Gianluca Jodice, il debuttante lontano dalle periferie

Gianluca Jodice, il debuttante lontano dalle periferie.
Nel numero di novembre della rivista di cinema Ciak (detto tra parentesi notevolmente peggiorata e svilita da una brutta grafica disordinata, ostica e sovradimensionata nella titolazione) si parla diffusamente del film Il cattivo poeta, centrato su Gabriele D’Annunzio e sugli ultimi anni della sua vita. Il film, interpretato da Sergio Castellitto, è diretto da Gianluca Jodice, 47 anni, napoletano, da tempo nel cinema ma al suo primo lungometraggio. Nell’intervista rilasciata ad Alessandra De Luca, Jodice esprime il suo pensiero.
Da spettatore non ne posso più di vedere opere prime italiane con immigrati e periferie, le opere della CGIL al cinema. E c’è un’intera generazione che non ce la fa più. Per fortuna oggi ci sono player internazionali che non sono regolati dalle piccole dinamiche italiche. Se hai qualcosa da dire c’è spazio
Ho letto e riletto, e ogni volta cresceva un sentimento di fastidio. Naturalmente ognuno può e deve avere le sue opinioni, ci mancherebbe altro. Come accade al pubblico, al singolo spettatore. Ma se di professione si fa il regista ho trovato che la dichiarazione risultasse decisamente presuntuosa, forse intrisa anche di un pregiudizio che di cinematografico, nonostante la dichiarazione di intenti, avesse in realtà ben poco.
Se allo Jodice spettatore non piacciono film che trattano temi legati al disagio delle periferie e degli immigrati, è libero di non andare a vederli.
Peccato per lui che proprio film con quelle tematiche siano stati tra i più belli e i più interessanti partoriti dal cinema italiano nelle ultime stagioni cinematografiche.
Se fosse nato decenni prima, chissà se avrebbe detto le stesse cose del neorealismo, che rappresentava la realtà in quelle grandi città dove la povertà e la mancanza di lavoro, rendevano dura la vita di gran parte della gente, più o meno come accade oggi nelle periferie. La differenza, riguardo agli immigrati, è che allora erano gli italiani ad esserlo, in giro per il mondo: Stati Uniti, Argentina, Australia. Il riferimento alla CGIL poi, mi è parso decisamente fuori luogo e incomprensibile in quel contesto.
Non è stato sfiorato dall’idea che l’intera generazione di cui parla, potrebbe anche ridursi alla sua persona, o al gruppo delle persone che frequenta.
Il pubblico delle sale e del passaparola, delle piattaforme televisive on demand, dei Festival e delle mostre, ha espresso un giudizio ben diverso. In Italia e non solo.
Le dinamiche italiche di cui parla per anni hanno prodotto le opere definite “camera e cucina”, commedie con lo sguardo rivolto a una dimensione privata e ristretta. Il cinema delle periferie, come lo chiama Jodice, è stato un passo avanti.
Direi invece che è normale che anche le opere prime siano figlie dei tempi in cui viviamo, sentano il bisogno di dire qualcosa, per usare le parole di Jodice, e di esprimere un’urgenza che non volti le spalle al sociale.
Jodice ha scelto D’Annunzio e gli anni del Fascismo per il suo debutto: una scelta da rispettare, naturalmente. Ognuno deve fare i film che sente suoi. Anche per comprendere che il peccato di presunzione non dovrebbe mai far parte del bagaglio di un artista, specialmente se debuttante.

Leandro De Sanctis

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