Pubblicità spacciata per giornalismo, come riconoscerla

Pubblicità spacciata per giornalismo, come riconoscerla.
Lo spunto sull’argomento lo offre l’ultimo numero del magazine del Corriere della Sera, “iO Donna”. Sfogliandolo si può leggere un’interessante servizio sull’autobiografia scritta dall’attore canadese Jim Carrey insieme con Dana Vachon, giornalista ex investitore finanziario e già autrice di un libro in cui raccontava “quel terribile mondo”, ricorda l’autrice Paola Piacenza.
Sfogliando ancora la rivista, dopo un paio di decine di pagine se ne trovano due che raccontano, indovinate cosa?, un rapporto speciale tra una consulente finanziaria di una banca e una sua cliente. Due donne, una banca e una cliente che nel tempo è diventata amica della consulente, definita “disponibile, empatica e fidata”. Quindi nello stesso numero del magazine si può leggere che quel mondo è terribile e poco dopo, con un manto edulcorato, che in quel mondo nascono amicizie per affrontare i momenti difficili e per costruirsi un futuro migliore.
Ma i due testi non hanno in comune la matrice del giornalismo. Il primo è un articolo, il secondo è una pubblicità mascherata da articolo giornalistico.
Ora chi è del mestiere sa riconoscere nove volte su dieci una pubblicità camuffata, ma la stragrande maggioranza dei (pochi purtroppo) lettori rimasti potrebbe non distinguere.
La firma può essere un indizio valido, o meglio, l’assenza della firma, come avviene appunto per la quasi totalità delle pagine pubblicitarie. In questo caso mancano anche i numeri delle pagine.
In questi tempi di crisi più che mai la pubblicità dà ossigeno alla stampa, ma non bisognerebbe ingannare i lettori. Basterebbe accompagnare quei testi con la dicitura informazione pubblicitaria.
Una fetta di lettori, leggendo un testo come quello (un testo, non un articolo) probabilmente lo capirà, ma non è detto e resta il fatto che al lettore che ha acquistato il giornale viene dato qualcosa di smaccatamente ingannevole.
E la redazione è la prima a mal digerire e spesso a vergognarsi di quel modo di proporsi a lettrici e lettori.

Leandro De Sanctis

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