Infanzia e sport, considerazioni ed errori

Infanzia e sport, considerazioni ed errori. Un articolo del professor Attilio Lombardozzi.

di Attilio Lombardozzi

Infanzia e sport costituiscono due aree di studio che a una valutazione affrettata mostrano una assoluta indipendenza l’una dall’altra. Si può giustificare questa tesi solo secondo una concezione dello sport troppo riduttiva perché orientata esclusivamente verso le competizioni. In questo caso l’infanzia è sicuramente lontana dallo sport. Se però si considera lo sport come attività che inizia come premessa per l’agonismo e continua seguendo una tendenza verso le massime prestazioni, si devono ritenere le diverse fasi dell’infanzia come parte determinante di un percorso educativo che condizionerà le prestazioni future di un atleta, sia in senso positivo che negativo.
Va sottolineato che le attività motorie che caratterizzano questa fase assumono contenuti e finalità che sono propri dell’Educazione fisica, la cui relazione con lo sport, in special modo per quanto si riferisce ai presupposti teorici, esclude motivi di contrasto o interferenze di qualsiasi genere. Si può senz’altro affermare infatti che i due ambiti si possono integrare perfettamente al punto tale che nella attività sportiva l’Educazione fisica ne rappresenta le prime fasi della carriera dell’atleta, mentre nell’Educazione fisica lo sport costituisce una possibile, anzi auspicabile, “forma” di attività.

L’età in cui si inizia, l’educazione precoce

Un aspetto particolare è condiviso dall’Educazione fisica scolastica e lo sport, ed è l’età d’inizio che in genere coincide con l’età scolare, un motivo che spinge a inopinate considerazioni. Da parte delle famiglie, prime agenzie educative, si deve constatare infatti un inconsapevole, ma non accettabile, disinteresse verso l’attività ludico-motoria dei bambini e del ruolo insostituibile che riveste nella loro formazione. D’altro canto lo sport, cioè le istituzioni sportive, tendono a invadere il campo di azione dei genitori spingendo sempre più in basso l’età del reclutamento con il rischio di arrivare a proporre ai bambini attività motorie “formalizzate” (le tecniche) trascurando ogni interesse per quelle attività rivolte a soddisfare le vitali esigenze di moto proprie dell’età prescolare e scolare.
Le considerazioni esposte lasciano spazio a due temi: a) ruolo e modalità delle attività motorie nell’infanzia; b) significati e metodologie per una corretta interpretazione dell’avviamento allo sport.
Il primo tema presenta difficoltà dipendenti dalle scarse opportunità di moto che si presentano ai bambini a fronte della loro grande disponibilità all’apprendimento. A tal proposito Weineck riporta che l’uomo acquisisce la maggior parte delle sue capacità motorie nei primi quattro anni di vita, quando la plasticità del cervello e quindi le capacità di apprendimento sono massime. “L’educazione precoce”, riporta la rivista Science, “pone basi così importanti per l’apprendimento futuro da essere presa sul serio almeno quanto il periodo della scuola”.

I genitori non comprendono il potenziale dell’infanzia

La realtà purtroppo dice invece di uno spreco degli anni migliori per imparare, oltre che per favorire un funzionale sviluppo degli organi deputati al movimento. Il bambino, dice Maria Montessori, ha bisogno di vivere in un ambiente ricco e stimolante in cui poter affrontare diverse esperienze, di questo quindi dovrebbero occuparsi genitori e insegnanti.
Il primo argomento mette in evidenza la difficoltà degli adulti a comprendere il grande potenziale di cui è portatrice l’infanzia, che il più delle volte non viene sviluppato. Questo aspetto però può perfino essere giustificato giacché non esiste istituzione che abbia il compito di informare in tal senso i genitori. Lo stesso atteggiamento però non si può avere quando si affronta il secondo argomento, che vede direttamente coinvolte le istituzioni che gestiscono lo sport: federazioni e società sportive. Questi enti dovrebbero avere il compito di indicare le strategie più funzionali per mettere in condizione gli atleti di ottenere i massimi risultati nell’età ottimale, mentre fanno notare sempre più una spiccata tendenza all’insegnamento anticipato delle tecniche e alla conseguente specializzazione precoce. A questo comportamento sono indotti i tecnici dei settori giovanili (soprattutto i più sprovveduti) che si propongono di partecipare a gare a cui si tende a dare rilevanza dimenticando che le gare dei giovani trovano significato solo nell’ottica dei processi formativi. Anticipare i tempi dell’insegnamento delle tecniche, giova ripeterlo, costituisce un grave errore soprattutto perché toglie spazio alla multilateralità delle proposte e quindi all’espansione del repertorio di esperienze che costituiranno il necessario requisito per i futuri apprendimenti. Illuminante in tal senso è l’aforisma del salesiano Michele Pellerey: “Non è tagliando la coda del girino che questi diventi più presto ranocchia”.

Nella foto FIPAV LAZIO un’immagine dell’ultimo Memorial Favretto.

Leandro De Sanctis

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