Don’t Look Up | Recensione

Don’t Look Up | Recensione.
Inevitabile definire Don’t Look Up, il film di Adam McKay, perfetto per inquadrare quanto in basso sia finito il mondo intero. Dalla sindrome di Cassandra della mitologia greca (dotata da Apollo del dono della preveggenza, annunciava di conseguenza sciagure senza essere creduta) all’autodeterminazione onnipotente dei miliardari delle tecnologia che hanno reso il mondo schiavo delle inutilità, con l’arrendevole e distratta complicità degli “schiavi”.
La storia è già nota perché del film si parla molto: una studentessa di astronomia (Jennifer Lawrence) scopre una gigantesca cometa, il suo professore (Leonardo Di Caprio) calcola che tempo sei mesi si schianterà sulla Terra provocandone la scomparsa. Tra la scoperta del pericolo e la realizzazione della catastrofe c’è molto del marciume intellettivo e politico che si è impadronito delle vite di tutti, di chi governa i destini del mondo (appunto) e di chi abbocca all’amo addirittura eleggendo a miti nababbi senza scrupoli e senza umanità. Il mondo che dovrebbe attrezzarsi per evitare la fine del mondo, non ne ha le necessarie capacità, etiche e intellettuali, divorato dall’interno di meccanismi assurdi che si ripetono a prescindere dalla situazioni. Come sul Titanic, la fine è prossima e l’orchestra suona e insegue i like…
Ce n’è per tutti. Un presidente degli Stati Uniti ridicolo (Meryl Streep, una via di mezzo fra Trump e, assicurano dagli Usa, Sarah Palin) e nepotista: il portavoce è suo figlio (Jonah Hill), adeguatamente idiota e stupido. La stampa si butta sulla rivelazione, ma quando diventa scomoda e non cavalcata dalla politica, si ritrae rinunciando al suo ruolo. La tv? Beh, volete mettere l’appeal della notizia della fine del mondo con la rottura del rapporto sentimentale tra due stelline di musica e social, Riley Bina e DJ Chello? Tutto è banalizzato, il ridicolo elevato a notizia, la notizia svilita e minimizzata.
Conduttori televisivi (Tyler Perry e Cate Blanchett) che si fa fatica a definire giornalisti seguono il copione involontariamente demenziale che tante volte ci è arrivato dalle tv statunitensi. Non si distingue una notizia dall’altra, non si comprende la vera notizia e la si avvolge nella consueta cornice che deve piacere al pubblico.
Don’t Look Up, non guardare su, in cielo. Ovvero non guardare cosa accade, cosa sta succedendo, al pianeta e a noi stessi. Meglio continuare a fare gli struzzi, a infilare la testa nella sabbia.
E’ la storia di questa discesa agli inferi, di un mondo che non ha usato la tecnologia per evolversi ma solo per arricchire sproporzionatamente pochi miliardari. I quali finanziano le campagne elettorali e vogliono poi decidere. Progettano la fuga nello spazio dopo aver colonizzato le menti con gli algoritmi, inseguendo solo nuovi profitti.
Don’t Look Up è la storia, satirica ma assai poco divertente in senso stretto, di tutti gli allarmi lanciati soprattutto dai giovani e inascoltati dai vecchi politici di tutto il mondo. L’ambiente, il lavoro che non c’è, lo sfruttamento intollerabile, il futuro rubato a generazioni e generazioni. Gli insulsi stili di vita che si sono assorbiti senza colpo ferire, senza un lamento, se non un gridare al vento di chi ha capito.
Ce ne sono tante di meteore, ma stanno distruggendo il pianeta (e i suoi abitanti) anno dopo anno, non in un sol colpo. I passaggi del film che qualcuno potrà trovare divertenti, forse sono più che altro irritanti, almeno per me. Perché purtroppo l’incompetenza, la superficialità, l’ignoranza sono tangibili quotidianamente. La cometa metafora della pandemia che stiamo vivendo? Certo. Anche.
Quel pagliaccio del presidente americano che snobba la catastrofe perché nemmeno capisce ciò che le si sta annunciando. E non rientra negli standard che la faranno rieleggere (genera più audience e preoccupazione uno scandalo sessuale, foto via WhatsApp). Una figura ridicola ma non immaginaria, che a noi italiani potrebbe aver ricordato l’inadeguatezza di quella classe politica che in piena pandemia fu messa in riga dal Presidente Mattarella con un ragionamento semplice ma chiarissimo.
Il miliardario che vuole proiettarsi nello spazio (Mark Rylance, una figura che potrebbe essere uno dei vari santoni idolatrati alla fiera della vacuità, dal popolo e dalle scimmiette che goffamente e ridicolmente vorrebbero imitarli) perché appunto sulla Terra non c’è più salvezza, né ricchezze da accumulare sottraendole all’umanità. Perché per i ricchi una salvezza deve pur sempre esserci, possono permettersela.
Don’t Look Up parla con la voce della gioventù inascoltata, la parte sana di una società prigioniera di social e like, quella che non si fa “corrompere” dalla fama televisiva (e dalla conduttrice, come accade allo scienziato Di Caprio, età matura, giusta per la sbandata sessuale da celebrità).
Il linguaggio del mondo si è trasformato, la verità si è persa e non si conosce altro modo di comunicare, se non quello di proseguire con una falsa comunicazione che vuole abbracciare tutti ma che non è più nulla.
A chi pensa che Don’t Look Up sia solo un film furbo studiato per cavalcare la ribellione all’oligarchia dei soldi, della stupida arroganza e della distratta ignoranza, nel nome di tutti i reali problemi che minano il futuro della Terra, direi che la furbizia è stata ben spesa, anche se non accenderà la miccia della ribellione. Almeno, non subito…

Don’t Look Up, la scheda

DON’T LOOK UP – Stati Uniti 2021. Durata 138 minuti. Su Netflix.
Regia: Adam McKay.
Interpreti: Leonardo Di Caprio, Jennifer Lawrence, Cate Blanchett, Rob Morgan, Meryl Streep, Jonah Hill, Tyler Perry, Mark Rylance, Timothy Chalamet, Ron Pearlman, Ariana Grande, Scott Mescudy, Melanie Lynskey, Michael Chiklis, Himesh Patel,
* Visto in versione originale con sottotitoli.

Leandro De Sanctis

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