Enzo Avitabile alla Cavea, la ripartenza acustica

Enzo Avitabile alla Cavea, la ripartenza acustica di uno dei maggiori musicisti italiani. L’Auditorium lo ha di nuovo accolto per un concerto acustico. L’ampio palco e i tre musicisti al centro: Enzo Avitabile, Gianluigi Di Fenza alla chitarra, Emidio Ausiello alle percussioni.
Un concerto in formato ridotto ma coinvolgente come sempre accade quando Enzo Avitabile è sulla scena. Posti distanziati, platea e tribune con un quarto della capienza, ma con un pieno di affetto e ammirazione per il musicista napoletano che ha una storia lunghissima alle spalle, ma che solo nell’ultimo decennio è finalmente stato scoperto come merita. Il film che Jonathan Demme gli ha dedicato è da consigliare ad ogni suo fan e a tutti coloro che amano la musica che nasce dall’anima.
Lo ascoltavo in musicassetta ai tempi di Meglio soul (1983, e a Roma ha ricantato la hit di allora, Soul express), ma facendo parte di quello straordinario movimento musicale che stava nascendo a Napoli in quegli anni, Enzo collaborò con tutti i big partenopei, da Pino Daniele a Edoardo Bennato (il sax di Avitabile appare nei due album fatti uscire quasi in contemporeanea nel 1980, Uffa! Uffa! e il celebre Sono solo canzonette, il concept su Peter Pan).
L’ho riscoperto con lo straordinario Black Tarantella, anno 2012, che presentava una serie di gioielli frutto di collaborazioni fantastiche, tra cui Pino Daniele, Franco Battiato e David Crosby (ma anche Raiz, Francesco Guccini, Daby Touré, Idir, Bob Geldof, Co’Sang, Mauro Pagani, Solea, Enrique Morente). E poi sono andato a ricercarmi gli album precedenti in cui la napoletanità è diventata world music: Salvamm ‘O Munno, Sacro Sud, Festa Farina e Forca, Napoletana. Per avere la conferma delle sue qualità nell’ancor più bello ultimo album di inediti, ormai risalente al 2016, Lotto infinito, con un’altra sfilza di collaborazioni eterogenee: Renato Zero, Francesco De Gregori, Giorgia, Mannarino, Caparezza, Angela e Marianna Fontana, Daby Tourè, Pippo Delbono, Elena Ledda, Paolo Fresu, Giovanna Marini, Hindi Zahra, Lello Arena.

La musica dell’anima

La musica di Enzo Avitabile è la musica dell’anima e mescola jazz, fusion, Napoli di ieri e di oggi trasformando la world music in un qualcosa che va assolutamente oltre le barriere e le etichette, una musica ormai decisamente sua e immediatamente riconoscibile per via degli strumenti che utilizza. E che sul palco illustra al pubblico. Se è stato dato un Nobel a Bob Dylan, l’arte di Enzo Avitabile e la sua cultura dell’accoglienza e della fratellanza meriterebbero un Premio Nobel per l’umanità.
Forse a causa degli eventuali straordinari da pagare alle maestranze, dopo solo un’ora di musica Enzo Avitabile avrebbe in teoria chiuso la prima parte del suo spettacolo, che è poi proseguito con altre canzoni fino alla durata dei 100 minuti, in cui c’è stata musica ma anche tante parole.
E tante emozioni, perché lui è un animale da palcoscenico che canta e suona ma vuole sempre coinvolgere il suo pubblico, farlo sentire parte attiva dello show. Prima della inevitabile tarantella di chiusura, dopo una scaletta che ha pescato dagli album degli ultimi 15 anni (ma quanti brani sarebbe stato bello ascoltare… Troppe perle sono rimaste escluse) ha incantato proponendo un James Brown alla napoletana (perché qualunque lingua si parli nelle sue canzoni, sempre al napoletano si arriva) e una bellissima versione di La Guerra di Piero, omaggio a Fabrizio De Andrè.
Peccato non ci sia stato spazio per ‘A speranza, la bellissima canzone che ha scritto per il film Il vizio della speranza.

Stranezze della Cavea: le bevande si vendono ma non si bevono

Sarà che si sta ripartendo ora con la musica, sarà che alcune delle regole post Covid lasciano interdetti e perplessi, ma alla Cavea dell’Auditorium, sulle tribune, si è assistito anche a momenti surreali. Come è noto non viene permesso di portare cibo e acqua all’interno della struttura, e fin qui nulla di anomalo: si sa che non viene permesso di avere acqua perché la gente deve strapagarla comprandola sul luogo. In alto, sopra le tribune, c’era la postazione di ristoro che vendeva acqua, birra e altro. Era lecito venderla ma acquistandola, secondo alcune solerti addette all’accesso, non si poteva bere pur stando seduti regolarmente distanziati e con mascherine d’ordinanza. Ovvio che in agosto, con il caldo che non dà tregua, chi si compra una birra o una bottiglietta d’acqua a pochi minuti dallo spettacolo, non intende sgargarozzarsela* tutta d’un fiato con un unico sorso.
Era buio, ma non si notavano cartelli che avvertivano che le bevande si potevano acquistare ma non bere a pochi metri di distanza, se non seduta stante. Ma che c’entra questo con le precauzioni Covid? Non si riesce a capire. Ci saranno anche delle regole (stolte), ma la regola del buon senso non andrebbe mai dimenticata. Non si vuole far bere la gente. Allora si chiuda anche il punto di ristoro.

* termine nell’uso romanesco: mangiare con avidità, senza fermarsi. In questo caso bere.

Leandro De Sanctis

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