Carrie Pilby | Recensione film Netflix

Carrie Pilby ha 19 anni, si è precocemente laureata ad Harvard saltando a pie’pari le classiche annualità della scuola, ma a New York non può comprarsi una birra. Vive da sola, la mamma è morta e il papà è lontano, a Londra. La superiorità intellettuale, la sua grande intelligenza, non sono sufficienti a renderla felicemente normale. Il suo sapere, il suo approccio, la rende in qualche modo diversamente abile. La frequentazione con un analista (Nathan Lane) amico di suo padre (Gabriel Byrne), darà origine ad un percorso di cambiamento e crescita.
Carrie Pilby ha il volto dolce e acuto di Bel Powley, attrice britannica che dà qualità a una storia semplice ma non priva di interesse. Grazie ad una sceneggiatura che le riserva dialoghi brillanti, sarcasmo e prontezza. La regia è di una donna, Susan Johnson e scrive la storia dalla parte di lei, ma con partecipazione.
Da un lato Carrie Pilby percorre il binario della prevedibilità, dall’altro, nonostante ciò, sa essere anche originale e delicato, anche se non risparmia frecciate all’universo maschile, pur tratteggiando sfumature apprezzabili nei personaggi, capaci di eludere e superare i loro limiti.
I personaggi riflettono, si mettono in gioco, tutto sommato sono pronti ad aprirsi, pur partendo da posizioni di chiusura per manifesta superiorità. C’è del buffo nel contorno di una storia che gira anche attorno alla classica lista di cose da fare. Il compito che l’analista assegna alla ragazza in cerca di una chiave esistenziale di normalità, soprattutto nei rapporti, da recuperare o da scoprire. A dispetto del suo essere ragazza prodigio.

Carrie Pilby, la scheda

CARRIE PILBY – Stati Uniti, 2016.
Regia: Susan Johnson.
Interpreti: Bel Powley, Nathan Lane, Gabriel Byrne, Jason Ritter, William Moseley, Vanessa Baver, Colin O’Donoghue.
Basato sul romanzo omonimo di Caren Lissner. Musiche di Michael Penn. Durata 98 minuti.
*visto in versione originale con sottotitoli.

Carrie Pilby, trailer originale

Leandro De Sanctis

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