Molly’s game | Recensione film

Molly’s game, con cui Aaron Sorkin debuttò alla regia nel 2018, porta sullo schermo la vera storia di Molly Bloom. Statunitense del Colorado, ex sciatrice di freestyle, dovette abbandonare lo sport a causa di un incidente, mentre cercava di qualificarsi per l’Olimpiade invernale. Trasferitasi a Los Angeles, per mantenersi mentre studiava trovò lavoro come cameriera in un bar, ma poi fini per essere reclutata per una sorta di catering particolare in partite clandestine di poker che al Viper Room vedevano al tavolo attori hollywoodiani, campioni dello sport, uomini d’affari. E quando decise di trasferirsi a New York dopo essersi “bruciata” sulla piazza losangelina ed aver proseguito in proprio, anche esponenti della mafia russa.

Gli attori hollywoodiani “malati” di poker

Fu l’FBI ad arrestare, in tutti i sensi, la sua attività. Arresto, confisca dei beni ma tasse da pagare sui milioni di dollari guadagnati ma non più suoi. Un modo per indurla a fare i nomi, dei giocatori di poker e dei mafiosi.
Nomi omessi dalla sua biografia, pubblicata per coprire parte dei debiti.
L’inchiesta dei federali ebbe avvio nel 2012, mirata su Bradley Ruderman, finanziere e truffatore, che a poker perse qualcosa come 25 milioni di dollari, scoperchiò una specie di vaso di Pandora. Tra gli attori pokeristi Tobey Maguire, che voleva al tavolo con sè l’amico Leonardo Di Caprio, e poi Matt Damon, Ben Affleck. L’asso del baseball Alex Rodriguez.
Nomi che nel film non si fanno, anche perché Molly Bloom andò a processo pur di non rivelare i segreti dei frequentatori delle serate pokeristiche clandestine.
La voce narrante del film è proprio quella di Molly (interpretata da Jessica Chastain) che racconta la sua storia, i rapporti tesi con il padre (Kevin Costner), la sua voglia di affermarsi, la sua determinazione dalle radici lontane. Il senso di una vita ben sintetizzato nella bella scena della seduta psicanalitica ultrarapida tra padre e figlia, su una panchina.
Nel film l’avvocato che decide di assistere Molly nella sua battaglia legale ha il volto di Idris Elba, al quale la sceneggiatura regala una intensa scena con il pubblico ministero, in cui tratteggia la figura di Molly al di là dei cliché cavalcati dalla stampa.

Sceneggiatura serrata, film verboso

Il regista Aaron Sorkin nasce come sceneggiatore e si vede. Anzi si sente, perché i dialoghi sono fitti ed il film è una di quelle storie particolarmente verbose, che inducono lo spettatore a non concedersi la minima distrazione. C’è il poker, anche se il gioco all’americana con le carte anche sul tavolo è ben diverso del poker come si gioca in Italia, ma ci sono soprattutto le psicologie dei giocatori e una montagna di dollari. Quando Molly proseguirà la sua carriera a New York, porrà una somma di ingresso di 250.000 dollari. In breve si arrivava ad avere sul tavolo cifre stratosferiche.
Quello che non mi è piaciuto del film, e che ho faticato a credere sia effettivamente successo, è il fatto che quando c’è un bluff vincente, il giocatore che ha vinto il piatto mostra le carte rivelando che non aveva il punto. Mi è parso incredibile che un giocatore riveli le sue strategie a tutto il tavolo. Anche se è vero che pure questa potrebbe essere un’arma di condizionamento per le mani suvccessive.

Molly’s game, la scheda

MOLLY’S GAME – Usa, 2017. Regia: Aaron Sorkin. Interpreti: Jessica Chastain, Idris Elba, Kevin Costner, Graham Greene, Chris O’Dowd, Michael Cera, Jeremy Strong, Bill Camp, Brian d’Arcy James. Durata 140 minuti. Su Netflix.
*visto in versione originale con sottotitoli.

Molly’s game, trailer originale

Leandro De Sanctis

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