L’Arminuta | Recensione film

L’Arminuta | Recensione film. Abruzzo, anni ’70, sembra un’Italia preistorica riletta con gli occhi contemporanei, ma in fondo sono trascorsi solo cinquant’anni da quanto si racconta nel romanzo di Donatella Di Pietrantonio e nel film L’Arminuta, che in dialetto abruzzese significa ritornata. Un’Italia che come oggi viaggiava con marce diverse: da un lato la città, il relativo benessere, le macchine e l’agiatezza, le case comode e i bei servizi di piatti. Dall’altro l’Italia delle campagne e dei monti, delle stalle e dei cantieri, dei pasti frugali e delle stanzone dove si dormiva tutti insieme anche due per letto. Non siamo alla vita come nei Sassi di Matera fino agli anni ’60, tuttavia L’Arminuta si immerge in una realtà frettolosamente dimenticata ma reale nella società italiana. La vecchia storia dei poveri e dei ricchi.
Storia di donne che vogliono diventare madri senza riuscirci e di madri che di figli ne hanno troppi per mantenerli e dare a tutti un futuro che non c’è.
L’Arminuta è un film intenso e profondo, fatto di sguardi, di raggelanti silenzi, apparentemente privo di empatia tra i protagonisti, che occupano la scena spesso senza parlare, senza un saluto, un contatto fisico di qualsiasi natura. Ci si guarda con occhi spenti, rassegnati, interrogativi. L’universo in cui L’Arminuta, una bambina 13enne (bravissima Sofia Fiore ad esprimere lo smarrimento dapprima incredulo poi comunque determinato del personaggio) si vede precipitare, improvvisamente allontanata da quella che credeva la sua famiglia. Poi si saprà il perché.
Ci sarebbe da impazzire ritrovandosi dal divano di casa e la tv all’aia di un cortile di montagna, dividendo il letto con una sconosciuta sorellina, Adriana (con la vivacità protettiva di Carlotta De Leonardis) l’unica capace di accoglierla come una vera sorella.
Una nuova madre (nuova?) sopraffatta dagli stenti, dal rimpianto e da un marito che non parla ma picchia con la cinghia dei pantaloni, un classico di un’Italia retrograda e profondamente ignorante, perché solo il lavoro manuale e nei campi assorbiva fisico e cervello, intrappolati in un patriarcato maschilista da cui era difficile sfuggire. Un come eravamo difficile da comprendere per le nuove generazioni, ma da non dimenticare.
La bellezza del film, asciutto ed essenziale, è nel modo in cui trasforma visivamente le pagine del libro, un’essenzialità che alla parola predilige il gesto, il movimento, gli occhi. In famiglia non ci si saluta, non ci si tocca, non ci si abbraccia. E quando c’è contatto fisico è scorretto: il padre (Fabrizio Ferracane) che picchia il figlio maggiore Vincenzo, lo stesso Vincenzo che fa le avances sessuali all’Arminuta.
A smuovere il sentimento è la bambina dai capelli rossi, L’Arminuta, studiosa e intelligente: conquista la maestra, la mano materna (Vanessa Scalera, muta e dolente), poggiata sulla spalla e la sorellina Adriana. In un mondo di adulti anaffettivi, che compiono scelte sbagliate, prive di sentimenti autentici, L’Arminuta alla fine del suo incubo riuscirà invece a comprendere, a capire, a scegliere tra la “madre” di città con cui ha vissuto per 13 anni (Adalgisa, Elena Lietti) e la madre naturale.

L’Arminuta, la scheda

L’ARMINUTA – Italia, 2021. Dall’omonimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio. Durata: 1h50′.
Regia: Giuseppe Bonito.
Interpreti: Sofia Fiore, Carlotta De Leonardis, Vanessa Scalera, Elena Lietti, Fabrizio Ferracane.

Le due giovanissime attrici del film L'arminuta
Le due giovanissime attrici del film L’arminuta

Leandro De Sanctis

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