Classic Rock va in bianco, ecco perché mi dimetto da lettore

Classic Rock va in bianco, ecco perché mi dimetto da lettore. Fortunatamente il vice questore Rocco Schiavone è un personaggio di fantasia, altrimenti avrebbe piazzato un inevitabile commento dei suoi (e sti c…). Se sfido e accetto la reazione è perché in realtà il rifiuto implica considerazioni generali che spesso non vengono valutate da chi opera nel campo dell’informazione, dai quotidiani alle riviste.
Con il numero 102, John Lennon in copertina, la rivista Classic Rock si è presentata in edicola con una nuova veste grafica che ha cancellato le qualità che l’avevano fatta apprezzare per oltre cento numeri, consentendole di vincere la difficilissima battaglia nelle sempre più rare edicole che ancora resistono alla tremenda crisi che ha travolto giornali e stampa in generale.
In coda al suo editoriale il direttore Francesco Coniglio spiegava in un P.S.: Per agevolare la lettura e valorizzare le foto abbiamo realizzato un restyling grafico della rivista. Se vi piace scrivetemi, ma anche se non vi piace.
Beh, non ho mai avuto l’abitudine di scrivere ai giornali (salvo una volta a un mensile musicale che pubblicava articoli senza correggere strafalcioni grammaticali) ma nell’occasione ho deciso di scrivere al direttore, per manifestare e motivare tutto il mio malumore nei confronti della nuova grafica.

La rivolta di molti lettori

Evidentemente la rivoluzione non ha avuto il riscontro che la Sprea, la casa editrice che meritoriamente pubblica riviste musicali (il top per il mio gusto è Prog Italia), si aspettava, poiché l’editoriale del numero successivo è stato interamente dedicato all’argomento.
Titoli neri, oceani bianchi, il titolo.
Sorvolo sulle premesse dell’editoriale, un invito a confrontare i contenuti con quelli dell’originale Classic Rock inglese (ma perché? il lettore italiano non necessariamente acquista anche la rivista inglese, che c’entra? Ecco che potrebbe tornare in scena Rocco Schiavone: e sti c...).
Sorvolo sulla mancanza di stile nel definire fuffa il materiale e gli articoli sulle band musicali pubblicati dalla consorella inglese (solo in Italia il direttore può scegliere la linea editoriale? Se lo fa l’inglese è fuffa?) aggiungendo poi che la rivista non è una fanzine e che ha bisogno della pubblicità. Insomma, fischi per fiaschi nel difendere “l’abbagliante bianco della nuova veste grafica” che ha portato a ben 16 pagine in più . “Dopo cento numeri abbiamo deciso di strizzare l’occhio alla pubblicità con un restyling grafico e molti di voi mi hanno scritto che non gli è piaciuto”.
Tra gli argomenti a difesa del bianco glaciale che ha avvolto nel gelo Classic Rock un’altra giustificazione: “Possiamo pure cambiare la grafica, ma i contenuti restano gli stessi”.
Ma la forma non si fonde con il contenuto? Il prodotto che va in edicola non è un mix tra grafica e testi? Se quello che conta è il contenuto, che non cambia, perché rovinarlo e svilirlo cambiando grafica perché la pubblicità vuole così? Quando si cambia grafica l’intento è sempre quello di migliorare il giornale, la rivista.
Avendo un’esperienza di vari decenni del settore, posso però affermare con certezza che in tanti anni ho visto diverse rivoluzioni grafiche spacciate come vincenti e innovative, essere rinnegate, trasformate, cancellate, dopo breve tempo.
Figuriamoci se non sono consapevole dell’importanza della pubblicità. Ma da giornalista, leggere che un direttore si fa imporre la grafica nemmeno dall’editore ma dalla pubblicità, non è professionalmente una bella cosa.
Lì per lì, dopo aver letto l’editoriale che mi citava tra gli insoddisfatti, ho risposto con una mail conciliante e diplomatica. Anche perché nel numero successivo era in scaletta un servizio su Jackson Browne, un artista che seguo da sempre. Promisi che nonostante la repulsione per la nuova grafica avrei continuato ad acquistare Classic Rock. Mentre scrivevo ero sincero. Poi però, mese dopo mese, mi sono reso conto che sfogliare quella rivista diventata aliena, estranea, mi faceva star male. Davvero. Mi procurava fastidio fisico. E così dopo due mesi di insofferenza sofferente, ho preso la decisione: avrei smesso di leggerla, di comprarla.
Anche perché sul piano delle recensioni dei nuovi album, diminuite di numero e diventate una specie di brevissimi telegrammi di poche righe, il nuovo Classic Rock ha perso molto. E la pubblicità non si è limitata alla grafica: ora il lettore che non è esperto di giornalismo magari non sempre se ne accorge. Ma per me dover saltare a piedi pari certe pagine, era diventato inevitabile. L’unico rammarico è non leggere più la vera e positiva novità lanciata in contemporanea con i dilaganti bianchi delle pagine (chi pensa sia davvero un guadagno aumentare il numero delle pagine se poi molte restano bianche? Ecologicamente direi: quanta carta sprecata…).
La piacevole novità è costituita dalle opinioni a specchi sui temi di volta in volta proposti. Per carità, nulla di veramente nuovo, io lo feci con i film nel periodo in cui diressi l’avventurosa rivista Spettacolo, a metà degli anni ’90: si prende un argomento e si appaiano due articoli, uno a favore e uno contro. Ecco, quelle nuove pagine mi piacevano molto.
E l’unico rammarico che ho da ex lettore è quello di non sapere quando la rivista abbandonerà questa grafica, immagino dopo qualche semestre bianco. Perché prima o poi o Classic Rock tornerà ad essere giornalistica anche nella grafica, oppure diventerà un prodotto diverso, sempre più vicino alla pubblicità, sempre più lontano dai lettori appassionati di musica scritta.

Cosa avevo scritto al direttore

Il succo del mio pensiero espresso nella lettera al direttore di Classic Rock, senza acrimonia ovviamente, ma con sincerità. Sia chiaro: il direttore ha il diritto di fare le sue scelte. Il lettore pure.

…accolgo la sua richiesta di pareri sulla nuova grafica di Classic Rock.
Ma devo dire che prima ancora di leggere il suo invito, sfogliando le pagine di una rivista che non era più la mia, avevo sentito l’impulso forte di manifestare la mia opinione. Con la schiettezza che è abituale tra colleghi.
Sinceramente, detesto e contesto fermamente la nuova grafica. So bene come i grafici, quando vengono ritenuti artefici delle pubblicazioni a scapito dei giornalisti, possano fare danni seri.

Allora, argomento punto per punto.

Intanto la filosofia, pagine lasciate bianche con inutile spreco di carta. Non è vero che si leggono meglio gli articoli, tanto è vero che non è stato nemmeno aumentato il corpo dei testi, lasciati a galleggiare, ordinatamente, in un mare di bianco.
Nell’insieme la rivista ha perso la sua personalità e i suoi colori, diventando piatta, grigia. Non c’è quasi differenza tra gli articoli, tutti impaginati seguendo varianti minime. E’ possibile che in una rivista musicale si possa vedere una pagina fatta da 40 righe di testo (più o meno…)?
Lo di deve all’uso dei book, che nelle menti degli editori dovrebbero far lavorare meglio le redazioni spolpate?
Purtroppo periodicamente si sente sempre il (falso) bisogno di cambiare e purtroppo molto spesso di cambia in peggio.
Ne ha risentito anche la parte delle recensioni: anche qui suppongo l’incidenza della visione dei grafici. Testi sempre più brevi, al limite della sintesi che occupano uno spazio sproporzionato rispetto a foto copertina, titolo e voto. Voto???!!! Li si entra nelle scelte editoriali e non mi permetto di criticare. Dico solo che a me non piacciono questi voti. Non è il voto, più che mai soggettivo e indicatore del gusto di un singolo, che importa se leggo una recensione. Prima, colore a parte, il giudizio era meno invasivo, sia a livello grafico che di spazio occupato. Un voto non può avere il corpo più grande del titolo dell’album e del nome dell’autore.

In una rivista musicale il titolo conta ma fino ad un certo punto, nel senso che è il tutto che si amalgama e produce impatto emotivo sul lettore. Titoli neri, oceani bianchi. Senza box più brevi e colorati a distinguere argomenti collaterali ma facenti parte dell’articolo base, Chi ha comprato la rivista non ha bisogno di titoloni civetta o super catenacci per essere attratto. Ha già Classic Rock tra le mani, vuole leggere, vuole essere attratto dagli articoli e dalla foto, dalle schede e dai box. Vuole colore ed emozione.
Ho apprezzato a livello giornalistico le due mezze pagine di opinioni (io sulla mia rivista lo facevo con i film).
Dico mezze pagine perché anche quelle ne hanno solo un quarto di testo e rappresentano bene tutto ciò che trovo assurdamente sbagliato in questa grafica.
Man mano che uscivano le riviste, ho sempre acquistato i primi numeri per valutarle. Non so se avendo oggi tra le mani una rivista fatta graficamente in questo modo, continuerei a comprarla. Non sono d’accordo che in questo modo le foto siano valorizzate, ma sono i testi ad esserne sicuramente sviliti (il box bianco su bianco delle pagine su Lennon è… diciamo un infortunio, con il corpo del testo anche rimpicciolito).
Caro direttore, mi scuso per la schiettezza, nel caso sia arrivato fino in fondo a questa lettera. Nasce dall’amore per il giornalismo e per questa nostra rivista, che naturalmente ho finora sempre acquistato, fin dal primo numero, come la gemella Prog Italia, della quale prendo mensilmente anche la genitrice Prog UK.
Se Classic Rock sarà ormai questa serie di pagine private d’anima, probabilmente continuerò ad acquistarla per dare un piccolissimo contributo alla sua esistenza e per il vostro lavoro. Confidando con ansia nella prossima rivoluzione grafica.

Leandro De Sanctis

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