Baranowicz: “Non sono uno spacca spogliatoio…”

Michele Baranowicz, attende come tutti gli sportivi di sapere se e come finirà questa stagione, spazzata via dal Covid-19. E’ stato anche palleggiatore della Nazionale e in questo campionato stava giocando con la Tonno Callipo Vibo Valentia, della quale è anche il capitano.
Per Michele (classe 1989, originario di Mondovì, tredici campionati tra Serie A1, SuperLega e A2) sono giorni di solitudine, quella più assoluta è iniziata giorno 12 marzo quando la società ha sospeso anche gli allenamenti in palestra. Sta trascorrendo questo periodo di quarantena nella sua abitazione di Vibo, non può vedere i suoi compagni di squadra e soprattutto non può vedere la sua famiglia che in pianta stabile vive al Nord, precisamente a Capergnanica, un paesino vicino Crema.
Qualche domanda al telefono per un giocatore di talento che anche in azzurro avrebbe potuto avere maggior fortuna.
Si lo so bene. Io vengo etichettato spesso come una testa calda. La verità è che odio la mediocrità, voglio sempre eccellere, voglio sempre vincere.  E talvolta spingo anche i miei compagni ad avere lo stesso approccio alle sfide che si presentano. Posso anche dire però che non mi ritengo una cattiva persona e neppure uno che spacca lo spogliatoio”.

La famiglia

Un forte senso della famiglia mi è stato trasmesso fin da bambino da mio nonno Michele. La famiglia come punto di riferimento, come porto sicuro. Sono cresciuto con mio fratello ed ho anche una sorella che ho visto molto meno perché lei vive a Vienna. Uno dei desideri più grandi fin da bambino era di mettere su una famiglia tutta mia. Sono stato molto fortunato a poter realizzare questo sogno. Dieci anni fa ho conosciuto la donna che oggi è mia moglie. Da tre anni sono anche diventato papà di una bambina meravigliosa. Si chiama Mila. Il suo arrivo è stato un evento che mi ha stravolto la vita oltre a regalarmi un’emozione indescrivibile. Da quando c’è lei, ho cambiato il modo di vedere ogni cosa”.

La moglie Tatiana

La moglie Tatiana rappresenta il suo sostegno più grande, quella persona che si ritrova accanto soprattutto nei momenti di grande difficoltà.
Ci siamo conosciuti che avevamo entrambi solo vent’anni, quella stagione giocavo a Crema. L’anno successivo ho avuto la possibilità di disputare il campionato di Serie A in Polonia e lei ha scelto di seguirmi mettendo da parte i suoi sogni e tutto quello che avrebbe voluto fare. So che le sue rinunce sono state tante per poter stare con me, per potermi seguire ha dovuto rinunciare alla sua stabilità anche lavorativa. Sono molto orgoglioso di avere al mio fianco una donna forte che è sempre pronta ad aiutarmi”.

Amicizie, pallavolo e gli angoli smussati

Gli amici più cari che ho non fanno parte del mondo della pallavolo, ed è meglio così perché quando esco con loro posso parlare di altro e non di lavoro! Alcuni sono miei ex compagni delle superiori, altri li ho conosciuti lungo il percorso della vita. Nel nostro ambiente parlare di amicizia è complicato. Pur passando molto tempo insieme con altri ragazzi è difficile coltivare un rapporto solido e duraturo. Ci si incontra per un periodo poi si prendono strade diverse”.
Nell’ambiente pallavolistico c’è molta ipocrisia. Sono una persona molto diretta e preferisco dire ciò che penso. Per questo il più delle volte vengo considerato scomodo. Nel tempo ho dovuto lavorare su questo aspetto del mio carattere e ho tentato di smussare gli angoli senza però mai perdere la mia identità. Se riguardo indietro sono molto soddisfatto di tutto quello che ho fatto e non cambierei nulla”.

Gli insegnamenti di papà Wojciech

A forgiare la forte personalità di Michele sono stati soprattutto gli insegnamenti del papà, Wojciech, ex pallavolista polacco e suo “maestro di vita” che gli ha permesso di assorbire anche i valori che hanno caratterizzato il movimento pallavolistico negli anni 80.
Mio padre mi ha trasmesso l’amore per la pallavolo e mi ha insegnato tutto quello che so. Ancora oggi mi dà consigli e dopo ogni partita mi aspetto sempre un suo commento. Nella maggior parte dei casi sono critiche, raramente arriva qualche complimento (ride!). Sono abituato perché mio papà non ha mai perso tempo ad elogiarmi ma ha sempre cercato di spronarmi a dare il massimo, a fare sempre meglio. Questo è uno dei motivi per cui in campo non sono mai soddisfatto e penso solo a migliorare. Mia mamma invece ha sempre cercato di tenere a bada la mia “esuberanza”, di frenarmi il più possibile”.
Ho avuto la fortuna di vivere diverse generazioni di pallavolo. Indirettamente quella di mio padre e poi avendo iniziato poco più che adolescente a giocare ho avuto l’opportunità di apprendere il rispetto e la professionalità da atleti già affermati. Oggi sono cambiate tante cose, soprattutto la cosiddetta gavetta si è accorciata. Prima c’era un percorso molto lungo da fare, si partiva dalle serie minori e per andare avanti bisognava dimostrare di valere. Oggi ci sono pochi giocatori e la scalata è molto più semplice”.

I progetti: un rifugio per cani abbandonati

Ci penso in continuazione. Ci sono mille progetti, mille cose che vorrei fare. Di sicuro non mi metterei sui libri perché non mi è mai piaciuto studiare. Un’idea potrebbe essere quella di aprire un rifugio per cani abbandonati che mi darebbe l’opportunità di realizzare anche un desiderio di mia moglie. Lei ama profondamente gli animali e mi ha trasmesso questa passione. Il primo regalo che le ho fatto è stato un chihuahua. Ora siamo arrivati ad avere molti cani e due pappagallini. Ad ogni modo mi piacerebbe rimanere nell’ambito del volley magari per allenare e trasmettere ai giovani tutto quello che io ho imparato sul campo. Avrò tempo per valutare con calma anche perché spero di avere ancora diversi anni di carriera davanti”.

Esperienza formativa in Polonia

Quella in Polonia, che per certi versi è anche un po’ casa mia, è stata un’esperienza forte e molto formativa. Me la cavavo con la lingua e avevo dei parenti lì ma è stata la mia prima stagione in A1 da titolare all’estero ed avevo solo 21 anni. Pochi se lo ricordano ma sono stato uno dei primi giocatori italiani ad andare a giocare fuori dai confini nazionali in un periodo in cui gli atleti italiani non si spostavano molto. Quella di andare in Turchia lo scorso anno è stata una decisione fatta all’ultimo perché ero rimasto senza squadra dopo le vicende di Piacenza. Guardando ai lati positivi posso dire che ho potuto conoscere una cultura nuova e molto diversa dalla nostra”.

Fuori dal campo…

Mi piacciono i videogiochi, le serie tv e poi dipende anche un po’ dal momento. A volte ci sono cose che mi appassionano per un po’ e poi le abbandono. La musica che ascolto non è proprio quella di adesso. Mi piacciono Michael Jackson, i Queen, i Guns N’ Roses”.

Intervista curata da Rosita Mercatante

Michele Baranowicz con i nonni

Leandro De Sanctis

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