Riforma dello sport, la politica vuole cambiarlo senza conoscerlo

Riforma dello sport, la politica vuole cambiarlo senza conoscerlo. Visto dal basso ospita l’articolo di un esperto, il professor Attilio Lombardozzi.

di Attilio Lombardozzi

La riforma dello sport, che tante curiosità e aspettative ha suscitato soprattutto tra quelli che vivono giornalmente le vicende dei campi di gara e di allenamento, ha provocato finora solo perplessità. Si aspettavano innovazioni che avrebbero potuto favorire la pratica, il razionale reclutamento di nuove leve, campagne informative rivolte agli enti pubblici, alle famiglie e più in generale a tutti i portatori di interesse; ma tutto questo non si è verificato.
A peggiorare la situazione c’è la sensazione che l’immobilità rispetto alle auspicate innovazioni risieda proprio nella scarsa consapevolezza delle criticità dei temi in questione da parte di chi si è assunto la responsabilità di operare la riforma. In altre parole sembra proprio che nel mondo della politica si sia sentita l’esigenza di “riformare lo sport” senza nemmeno conoscerlo.
Eppure situazioni critiche ancorché importanti nello sport italiano non mancano. Chi calpesta i campi di gara quando si parla di sport pensa all’impegno degli atleti, ma molto meno a tutto quello che, pur se necessario, costituisce solo la cornice dell’attività. Ma è proprio questo aspetto che merita profonde riflessioni. In questa prospettiva una decisa azione dovrebbe essere indirizzata al controllo dei processi di formazione degli allenatori, un’area dove regna indisturbata la superficialità sia nel definire gli ambiti culturali che nella attribuzione delle competenze.
L’obiettivo deve essere rivolto particolarmente alla tutela delle fasce più deboli dei praticanti: i giovani. Il sistema sportivo italiano infatti si basa sullo sport… di base, sport di base che però inizia con un processo di avviamento alla pratica sportiva che deve seguire una programmazione a lungo termine a carattere curriculare.
L’andamento del programma di attività deve rispettare una successione di stadi di sviluppo dell’organismo di ogni ragazzo che, prima ancora delle esigenze delle varie discipline sportive, tenda a tutelare l’integrità e la normale evoluzione psicologica e fisiologica dei giovani, obiettivi questi proprio delle prime tappe del curriculo. Lo stato attuale dell’attività sportiva dei bambini in età scolare e seguenti vede impegnate nel ruolo di tecnico (?) per lo più operatori che svolgono tali funzioni con preparazione e finalità alquanto incerte. Le figure più comuni sono in genere ex atleti che “aiutano” la società intrattenendo i bambini sulla base delle esperienze acquisite sul campo. Altri sono allenatori alle prime armi, che iniziano la loro carriera creando una situazione in cui i giovani fungono addirittura da cavie.

La Carta dei diritti dei Giovanie lo sport per i bambini

In entrambi i casi si verificano chiare incongruenze rispetto a quanto evidenziato dalla “Carta dei Diritti dei Giovani” fatta propria dall’UNESCO, che sottolinea tra gli altri il “Diritto di essere guidati e circondati da adulti qualificati”, e dal Consiglio d’Europa, che nel documento “Lo sport per i bambini” ha indicato le funzioni che lo sport dovrebbe avere per i giovani, tra cui: a – Il rispetto della persona in tutti i suoi aspetti; b – L’attuazione di una pedagogia del successo che non porti a risultati troppo facili o ad insuccessi con conseguenze gravi. Indicazioni queste perfettamente in linea, tra l’altro, con gli obiettivi indicati dai principi fondamentali dell’allenamento sportivo per le prime fasce di età. È necessario recepire in pratica la logica dei sistemi formativi integrati favorendo l’interazione culturale e didattica tra l’Educazione fisica scolastica e l’attività sportiva extrascolastica, perché devono servirsi entrambe dei contenuti dello sport come mezzo per l’apprendimento delle life skills.

Educazione Fisica, il paragone con i requisiti che servono a scuola


Dal quadro appena illustrato scaturisce una domanda alquanto inquietante: se per insegnare l’Educazione fisica nella scuola si richiede una apposita laurea, l’abilitazione all’insegnamento e poi una selezione concorsuale, perché per svolgere la stessa attività fuori della scuola tutti possono agire impunemente? Nella attesa (vana) di una improbabile risposta rimane una avvilente constatazione: si è riusciti finalmente a far comprendere l’importanza dell’inserimento nella scuola primaria dell’insegnante di Educazione fisica, però poi si lascia l’attività sportiva giovanile alla mercé degli improvvisatori.
Per non lasciare in sospeso un tema di vitale importanza per lo sport italiano, si può concludere l’analisi esposta con l’auspicio di un suo concreto salto di qualità culturale. Possibile solo se si riesce a interpretare l’attività dei giovani preadolescenti seguendo criteri di razionalità che impongono, giova ribadirlo, che i bambini possono essere guidati solo da persone con specifiche competenze che solo i corsi di laurea in Scienze Motorie possono fornire.
La riforma dello sport, tra i vari argomenti, ha riconosciuto il titolo di cinesiologo, atto che, nonostante abbia dato ampia soddisfazione ai laureati in Scienze Motorie, è privo di ogni significato giuridico, che potrebbe invece acquisire se fosse precluso a chi laureato non è di svolgere la stessa attività del cinesiologo. Questa sì sarebbe una vera conquista, e questo i laureati dovrebbero fortemente chiedere, prima ancora che per tutelare la loro professione, per garantire i diritti dei bambini.

Leandro De Sanctis

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