Jacobs e Tamberi, il giorno dei giorni dell’atletica italiana

Jacobs e Tamberi, il giorno dei giorni dell’atletica italiana è già storia. Una storia imprevista e per questo ancora più bella, una storia che ha già reso indimenticabile per l’atletica italiana e per lo sport azzurro questa Olimpiade di Tokyo. Ne ho viste vincere tante di medaglie, ho avuto la fortuna di raccontarne tante di storie splendide nel mondo dell’atletica. Queste due medaglie d’oro olimpiche di Jacobs e Tamberi sono una cosa assolutamente unica. Meravigliosamente impronosticabile come accoppiata dorata. Una gioia da vivere e godere.
Jacobs e Tamberi, due storie diverse che hanno in comune la tenacia e il talento, la qualità e la perseveranza. La voglia di non arrendersi alle avversità e di lavorare per un traguardo apparentemente proibitivo, per non dire impossibile, come l’oro dei 100 metri appariva non sono per Jacobs ma per qualunque altro sprinter italiano ed europeo.
Invece nell’albo d’oro dell’Olimpiade, sotto al nome del fenomeno Usain Bolt è andato a collocarsi Marcell Jacobs.
Quando Bolt e le frecce statunitensi imperversavano, era naturale chiedere ad uno sprinter italiano quali fossero le motivazioni, le ambizioni, le speranze “limitate” di un atleta in teoria a distanze abissali dall’élite della velocità mondiale. Un ragionamento che vale (valeva?) per molti, impegnati in gare nelle quali il livello qualitativo mondiale è altissimo e irraggiungibile.
Jacobs, che allora si cimentava anche nel salto in lungo, rispondeva con semplicità: “Il confronto è con se stessi, inseguire il miglioramento personale, giorno dopo giorno, allenamento dopo allenamento”.
A Tokyo però è avvenuto qualcosa di incredibile, o meglio, di incredibilmente bello per un’atletica italiana spesso vituperata per l’inadeguatezza dei risultati internazionali, dimenticando che la regina degli sport olimpici è anche lo sport più complicato di tutti. Perché il singolo campione può nascere ovunque, per la concorrenza di atleti che realmente sono espressione del meglio del mondo e non di pochi Paesi, come accade in alcune discipline sportive.
Ammetto che sono ancora qui che mi stropiccio gli occhi gioiosi del tifoso che ha esultato. Fare il tifo per gli azzurri in un’Olimpiade è sport praticato da ogni telespettatore, ma quando si fa il tifo per qualcuno che si è conosciuto il coinvolgimento è decisamente maggiore e più personale.
L’autorevolezza con cui Jacobs aveva corso in batteria (record italiano 9.94) e in semifinale, addirittura con il record europeo portato a 9.84, facevano sognare, ma spingersi fino a sognare l’oro sembrava un traguardo folle solo a pensarlo. Ma a volte lo sport si diverte a somigliare alle favole. E sulla pista di Tokyo abbiamo assistito ad un film che forse solo il più melenso degli sceneggiatori avrebbe potuto immaginare.
Pochi minuti tra la conclusione dell’alto con Tamberi e Barshim campioni olimpici, saggiamente felici e concordi nell’evitare un crudele e probabilmente inutile spareggio, e la volata d’oro di Marcell Jacobs: 9.80, primato europeo abbassato.
Ebbro di gioia Tamberi, capitano azzurro che si è gustato il capolavoro di Jacobs a pochi metri, sciogliendo in un abbraccio intenso e denso di significati l’incredibile gioia condivisa.

Da “sparring” di Tortu a successore di Bolt

Solo pochi anni fa Jacobs indossava i panni del rivale di Filippo Tortu, l’astro nascente capace di scendere per primo sotto il muro dei 10 secondi ma che purtroppo si è poi un po’ smarrito fra problematiche di varia natura. Per due o tre anni lo sprint azzurro ha avuto solo Tortu in copertina: pubblicità, immagine, una cortina per selezionare le sue interviste. E quando c’era il Golden Gala Jacobs faceva sfoggio di simpatia e genuinità, anche se le attenzioni per lui erano in seconda battuta. Bisognerebbe chiedergli ora come si sentiva, cosa provava allora, anche se la sua risposta penso sia prevedibilmente corretta. Per via del rapporto amichevole tra i due sprinter e perché Marcell è un ragazzo fondamentalmente sereno e tranquillo, con la maturità da genitore acquisita in fretta.
Nel 2019 Jacobs aveva un personale di 10.03 e occupava la 33esima posizione nel ranking mondiale. Il 9.80 di oggi a Tokyo registra un miglioramento di ben 23 centesimi, gli regala il record europeo e la seconda piazza nelle graduatorie annuali.
Sarà stato un dettaglio, ma ho avuto un pensiero positivo in occasione della falsa partenza che è costata la squalifica (regolamento assurdo e ingiusto squalificare alla prima falsa partenza) al britannico di Anguilla, Zharnel Hughes. Il replay ha mostrato Hughes partire in netto anticipo e tutti gli altri alzarsi dai blocchi. Tutti ma non Jacobs, rimasto perfettamente immobile. Ho pensato alla sua estrema concentrazione, sui blocchi con l’attenzione rivolta solo allo starter.
Poi la finale, che non ci si stancherà mai di riguardare. Una progressione irresistibile che lo ha visto addirittura dominare la finale, un oro costruito tra i 60 e i 90 metri e agguantato con sicurezza sul traguardo. Un oro lampante, a vista d’occhio esaltante per lui e per tutti coloro che amano l’atletica e lo sport.

Tamberi, la lunga strada verso l’oro

Due uomini, due medaglie d’oro e un gambaletto di gesso a ricordare la via Crucis iniziata nel 2016. Gianmarco Tamberi e il suo amico Mutaz Barshim sanno cosa è la sofferenza, quanto sia doloroso e frustrante essere fermati da un infortunio. Tamberi sarebbe stato tra i favori per l’oro olimpico già cinque anni fa, ma all’Olimpiade di Rio 2016 nemmeno andò, bloccato da un infortunio sciagurato in quel di Montecarlo. Il ritorno, sempre sotto la guida del papà allenatore e a sua volta ex saltatore, è stato tanto caparbio quanto lungo, difficile, costellato di momenti di difficoltà, incertezze, dubbi. Anche allo specchio, ma spesso nel mondo esterno, sempre pronto a sentenziare anche senza conoscere.
Estroverso, goliardico, appassionato di basket (è riuscito anche a giocarci, con Siena in un derby contro Pistoia), Tamberi è forse l’opposto di Jacobs ma anche per questo i loro due storici ori sembrano brillare ancora di più. Jacobs e Tamberi, uniti dalla cultura del lavoro e della ricerca del miglioramento che oggi li ha portati insieme e contemporaneamente dove da bambini sognavano di arrivare.
E l’atletica azzurra ha potuto vivere una giornata indimenticabile, il giorno dei giorni appunto, dopo anni di poca luce. Ora è fin troppo facile rispedire al mittente e anzi interpretare le fosche predizioni catastrofiche fatte da qualcuno alla vigilia sull'”inevitabile” flop della nostra atletica, come invece un incauto pronostico che si è ritorto clamorosamente contro.
E pensando al futuro, va speso l’elogio incondizionato per il giovane napoletano Alessandro Sibilio, che 21 anni dopo Fabrizio Mori, ha centrato la finale olimpica dei 400 ostacoli. Una gara condotta da veterano, tatticamente accorta la distribuzione di energie e rettilineo conclusivo in crescendo: un terzo posto limpido con un 47″93 che è seconda prestazione italiana di sempre.

Leandro De Sanctis

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