Rapito | Recensione film Bellocchio

Rapito | Recensione film Bellocchio. Superata la boa degli 80 anni sembra che Marco Bellocchio stia dando ancora tanto al cinema italiano, da Il traditore a Esterno notte (la sua prima serie tv, originale e intensa, sui giorni del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro) fino a Rapito, appena presentato al Festival di Cannes. Storie di violenza riflesse attraverso la lente della Storia e dei sentimenti, con cura e maestria cinematografica. Rapito ha intanto il grande merito di accendere i riflettori su un caso che meritava l’attenzione del cinema e l’approdo nelle coscienze, religiose e non. Siamo a Bologna, nel 1958, un bambino ebreo, Edgardo Mortara, che non ha ancora compiuto 7 anni d’età, viene strappato alla sua famiglia dalle guardie di Papa Pio IX, per essere educato alla fede cattolica. La scusa che innesca la violenza del Tribunale dell’Inquisizione, è che il bambino sia stato battezzato, all’insaputa di tutti e senza che la famiglia ne sia a conoscenza. Facile immaginare cosa rappresenti questo atto di disumana violenza compiuto dal Papa per il bimbo e per la sua famiglia.


Rapito, violenza e cinismo politico

In anni in cui il potere temporale della Chiesa era diventato sempre più intollerato e intollerabile, il rapimento del piccolo Mortara e la sofferenza della sua famiglia divenne anche un atto politico, assai poco religioso. La stampa e il popolo, anche in Europa e in America, si schierarono al fianco della famiglia, che non smise mai di lottare contro il potere papale, la cui unica religione era l’affermazione della propria superiorità, tradendo il senso stesso di religione. Il paravento dietro al quale si celano da sempre e per sempre i più grandi misfatti e le maggiori crudeltà del genere umano.
Bellocchio ricostruisce mirabilmente ambiente e sentimenti, mostrando in parallelo da un lato la preghiera ebraica, dall’altro la preghiera cattolica, medaglie contrapposte ma unite e nemiche nel nome della fede. Interpretazioni misurate e convincenti, da Paolo Pierobon nelle vesti di Papa Pio IX, a Fausto Russo Alesi, tormentato e lottatore impotente, volto della sconfitta umana. Da Barbara Ronchi, madre disperata e coraggiosa, al perfido inquisitore Fabrizio Gifuni.
Rapito è un ottimo film e un monito per chi stravolge la religione ad altro, un manifesto contro la religione a tutti i costi che travolge affetti e umanità, nel nome di un qualcosa che in questa Terra si rivela così discutibile e illusorio, quasi una malattia incurabile che ottenebra menti e cervelli. Un semplice e crudele esercizio di potere. I cui effetti non svanirono, tornando strettamente alla storia di Rapito, con la liberazione di Roma dal potere temporale della Chiesa (1870). E proprio il quotidiano lavaggio del cervello, la conversione forzata di quei bambini così poco consapevoli, la lacerazione spietata degli affetti familiari, costituiscono uno degli atti di accusa e di denuncia più significativi e dolorosi di questo bel film. Indimenticabile.

Rapito

RAPITO – Italia 2023. Italia/Francia/Germania. Durata 134′. Liberamente tratto dal libro di Daniele Scalise: Un posto sotto questo cielo. Il caso Mortara
Regia: Marco Bellocchio.
Interpreti: Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi, Paolo Pierobon, Leonardo Maltese, Filippo Timi, Fabrizio Gifuni, Paolo Calabresi, Enea Sala, Corrado Invernizzi, Alessandro Fiorucci.
Musiche: Fabio Massimo Capogrosso.

Leandro De Sanctis

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