Peppone Brusi addio, Ravenna e la pallavolo lo piangono

Peppone Brusi addio, Ravenna e la pallavolo lo piangono.

Difficile far comprendere alle generazioni pallavolistiche di oggi chi e cosa è stato per la pallavolo GiuseppePepponeBrusi. Forse dovrebbe bastare ricordare che Brusi era uno di quei dirigenti che sono stati la pallavolo, traghettata dalle palestre e dalla notorietà circoscritta, alla grande ribalta italiana e internazionale, a livello di risultati ma anche e soprattutto di popolarità.

Giuseppe Brusi sempre stato assai più di un dirigente. Sportivo illuminato e competente, sempre con i piedi ben piantati a terra nella realtà e con l’occhio rivolto ai giovani.
Come ricordava orgogliosamente, dietro la serie di scudetti di Ravenna femminile, della presidentessa Alfa Garavini e dell’indimenticato Sergio Guerra, c’era stato lui, la sua visione, il suo talento, la sua rettitudine anche morale nel vedere lo sport come una scuola anche di vita. Qualità comportamentali che non scindeva dalle capacità tecniche. Non a caso, dopo gli infiniti duelli in campo, Peppone coltivava amicizia vera e inestinguibile con tutti i personaggi che avevano vissuto il volley, con lui e contro di lui, da avversari. E ogni anno la tavolata natalizia era occasione di affettuosa rimpatriata.

Da novizio della pallavolo, lo conobbi proprio nel suo momento sportivamente più ricco di soddisfazioni per lui e per il suo Ravenna, baciato dalla possibilità di allestire una grande squadra. Anni indimenticabili per tutti, anche per i suoi avversari. Peppone aveva il pregio della sincerità, a volte anche ruvida per i suoi “bersagli”, ma sfuggendo alla diplomatica retorica che spesso annacqua parole e opinioni, Brusi le cantava chiare e raramente non avendo completamente ragione. 

Non è mai stato un dirigente “sorpassato” dai tempi, ma come accade anche in altri campi, la contemporaneità pensa di sapere tutto e di non avere bisogno dell’esperienza di chi ne ha vissute tante e non dovrebbe mai smettere di essere ascoltato.

Per me, così lontano dal cuore emilian-romagnolo della pallavolo, è stato un onore poter avere un dialogo con lui, avrerlo sia pure minimamente potuto conoscere. E ciò che mi disse, come mi considerò quando ci risentimmo per il libro, è qualcosa che mi porterò dentro. Mancherà il suo spirito critico, la sua visione per una pallavolo che è cambiata, che è stata stravolta, ma che avrebbe avuto ancora e sempre bisogno di ascoltare la sua voce.

Brusi raccontò Skiba e l’epoca d’oro
di Ravenna ne “Il tesoro di Rio”

Nello scrivere due libri sulle Nazionali iridate di pallavolo, fu inevitabile parlare con lui, sia per Il tesoro di Rio che per Il miracolo di Berlino. Parlammo a lungo e Peppone pur fiaccato dai problemi che la malattia gli dava, era come sempre un cortese e schietto fiume in piena. Analisi, pareri, ricordi e giudizi espressi con la sua verve, figlia di una passione inesauibile per la pallavolo. Ora che Peppone Brusi ci ha fisicamente lasciato, mi sembra giusto rendergli omaggio anche con le sue stesse parole.

Anche quando non era più in prima linea pallavolistica, non aveva smesso di voler bene ai suoi gioielli, ancora orgoglioso ad esempio di un tecnico come Marco Bonitta.

“Marco ha avuto in Skiba il miglior maestro possibile ma ha aggiunto il suo grande intuito personale che gli ha fatto capire in anticipo se un giocatore aveva talento. Può allenare uomini e donne con gli stessi risultati e vado fiero che uno come lui sia cresciuto alla scuola pallavolistica di Ravenna”. 

Raccontando l’epopea azzurra che a Rio de Janeiro nel 1990 raccolse la prima medaglia d’oro mondiale si era risaliti ad Alexander Skiba, che Peppone Brusi raccontò,

“Quando arrivò Il Messaggero, il Gruppo Ferruzzi, mi dissero che problemi per fare la spesa non ce n’erano. Chiamai Aldis Berzins (campione olimpico 1984 con gli Stati Uniti, a Ravenna nella stagione 1988-89, n.d.a) e mi disse di prendere tranquillamente Kiraly e Timmons, che erano ancora i migliori del mondo. Di Berzins mi fidavo. Io non parlo bene inglese, così mandai Giorgio Bottaro ai Goodwill Games e li prendemmo. Costarono meno di Gardini e Vullo

   Sistemata la squadra nata per vincere, Brusi pensò contestualmente al futuro, alla costruzione di giovani pallavolisti da scovare, far crescere e lanciare. E volle Skiba.

“Lo avevo conosciuto al ritiro della Nazionale Militare, a Bologna. Gli dissi: caro Alexander non ti prendo come primo allenatore perché l’ho gi promesso a Daniele Ricci. Ma lo reputavo importantissimo e devo dire che guadagnava anche più di Ricci. Con il giovane Bonitta che ascoltava, gli dissi che non mi interessava che vincesse con la squadra dei giovani, volevo che inculcasse valori, educazione, comportamenti, il rispetto per gli arbitri. Far capire ai ragazzi che al primo posto viene sempre la società. Skiba era un tecnico eccezionale, usava il bastone e la carota. Quando parlava non si muoveva una foglia. Sempre puntuale allallenamento, i giocatori lo salutavano: buonasera mister. Silenziosi, rispettosi. Li faceva filare. E se non andavano bene a scuola andava ad informarsi dai professori”.

   Un aneddoto tira l’altro. “Una volta nello spogliatoio gli feci l’occhiolino prima di parlare, le cose che dicevo a lui in realtà volevo che le comprendesse Marco Bonitta. Avevamo  giocatori che secondo me non giocavano molto, parlo di gente come Rosalba, Bovolenta, Lirutti, Fangareggi. Gli dissi che era importante che vedessero di più il campo”

La disciplina. “Me lo raccontò Stefano Margutti. Una volta mentre erano in ritiro Skiba lo vide scendere le scale dell’hotel con la sigaretta in bocca. Se ti vedo un’altra volta fumare ti mando via dal ritiro – gli intimò Skiba – Se vuoi fumare fallo a casa”. 

Quel vivaio di Ravenna, curato da Skiba, si rivelò una miniera d’oro e può essere paragonato alla cantera calcistica del Barcellona. Finiti gli anni ruggenti con Kiraly e Timmons, Ravenna continuò a brillare con i talenti allevati in casa, Quando nel 1996-97 Ravenna vinse la Coppa Cev in squadra cerano tanti gioielli intorno ai ventanni: Rosalba, Bendandi, Lirutti, Sangiorgi, Bovolenta, Giombini, Baldasseroni e Patriarca, arrivato a sostituire Hristo Zlatanov ceduto allAuselda Roma in ottobre.

“Ogni volta che incontravo Carlo Magri gli dicevo: Ma come hai fatto a farti scappare una persona straordinaria come Skiba? Chiedemmo a Skiba – ricorda ancora il dirigente romagnolo del Porto Ravenna – se Sartoretti, che era arrivato da Città di Castello dove giocava da opposto, poteva eccellere anche nella ricezione. Beh, cominciò ad allenarlo da solo, la mattina. E lo allenava lui personalmente. Senza che Ricci si offendesse, perché Daniele era un tecnico intelligente. Io ho sempre diviso gli allenatori in tre categorie: quelli da non prendere, quelli intelligenti e quelli che pensano di vincere loro, da soli. Ci sono allenatori che senza essere fenomeni hanno vinto avendo grandi giocatori, come nella Juventus accadde a Vycpalek e Parola

 Peppone Brusi, l’addio della Fipav

Una tristissima notizia scuote il mondo della pallavolo italiana, all’età di 80 anni ci ha lasciati Giuseppe Brusi: uno dei più grandi dirigenti del nostro sport. Dopo una lunga malattia, affrontata sempre con coraggio e determinazione, Giuseppe, “Peppone” per gli amici, si è spento in serata.

Con il dirigente romagnolo se ne va una delle figure che ha contribuito maggiormente a rendere grande il volley italiano, legando indissolubilmente la sua carriera a Ravenna.

Per venti anni, infatti, il nome di Brusi ha coinciso con vittoria, nel volley femminile negli anni ‘80, nel maschile negli anni ‘90. Le donne, la prima grande intuizione con l’Olimpia Ravenna che nacque nel 1965. La sua visione era stare un passo avanti agli altri per scelte e soprattutto per mentalità: ingredienti grazie ai quali arrivarono successi in serie tra Campionato e Coppe, trasformando l’Olimpia Ravenna in un esempio e un modello di stile e gioco. 

Nel 1987 Giuseppe Brusi, dopo 7 scudetti consecutivi, insieme a una cordata d’imprenditori locali decise di passare al settore maschile, rilevando il titolo sportivo dalla Casadio e iscrivendo la squadra al campionato di serie A2 maschile.

L’entrata del gruppo Ferruzzi, arrivato tra il 1989 e il 1990 a Ravenna, diede inizio alla rivoluzione del volley e anche in quel caso Brusi si dimostrò un passo avanti. Con delle scelte mirate Giuseppe costruì una squadra magica. Gli statunitensi Kiraly e Timmons, insieme ad Andrea Gardini, Fabio Vullo e Vigor Bovolenta regalarono subito lo scudetto. Seguirono poi nel 1991 in Brasile il trionfo al Campionato del Mondo per Club contro i padroni di casa del Banespa. La stagione seguente arrivò in Grecia la Coppa dei Campioni (1992). Titolo che Ravenna difese nelle due edizioni consecutive: 1993 e 1994.

Brusi, nonostante la malattia, fino agli ultimi giorni ha dimostrato il suo infinito amore per la pallavolo, presenziando agli Europei 2023 e poi attraverso telefonate e messaggi, sempre pronto a dare un consiglio o un suggerimento.

La scomparsa di Giuseppe lascia un vuoto profondo nel mondo del volley, ma anche una grande eredità, per la quale tutto il movimento pallavolistico italiano deve essergli grato.

Su indicazione del presidente federale Giuseppe Manfredi su tutti i campi di pallavolo nel week end verrà osservato un minuto di silenzio per onorare la memoria di Giuseppe Brusi.

Il presidente Manfredi, i vicepresidenti Adriano Bilato e Luciano Cecchi, il segretario generale Stefano Bellotti, il Consiglio Federale, e tutta la Fipav inviano alla famiglia di Giuseppe sentite condoglianze.

Giuseppe Peppone Brusi, Foto Fipav

Leandro De Sanctis

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