VOLLEY Zaytsev e l’Italia che non si arrende: l’Olimpiade tra le dita

 Come lei nessuno mai nello sport italiano. Per la sesta volta consecutiva in semifinale ai Giochi Olimpici, la Nazionale di pallavolo conquista con smisurato orgoglio e notevole solidità morale la terza finale olimpica della storia del nostro volley, mettendo in bacheca la sesta medaglia, dal colore ancora indefinito, dopo i due argenti di Atlanta 1996 e Atene 2004, i bronzi di Los Angeles 1984, Sydney 2000, Londra 2012. E’ la medaglia numero 46, escludendo Universiadi, Giochi del Mediterraneo e Goodwill Games. Per la 33a volta finalista, ha la possibilità di centrare anche l’oro stregato, quello olimpico, con la vittoria assoluta numero 20.

Difficile immaginare una semifinale più emozionante per i cuori azzurri, capaci di rimediare ad un avvio balbettante nel primo set, di riacciuffare in extremis gli Stati Uniti e di batterli ai vantaggi. Squadra tosta quella statunitense, che a giugno nella tappa romana della World League, aveva inflitto una severa sconfitta agli azzurri, complice una delle più brutte partite di Ivan Zaytsev, a cui quella sera non riuscì praticamente nulla.
Stavolta Zaytsev si è preso la rivincita, sua e di tutta la squadra. Altre volte Ivan aveva infilato un filotto di ace capaci di risolvere un set o una partita. “E’ sempre bello fare tanti ace di fila – diceva Ivan – ma sarebbe bellissimo trovare questi momenti in una partita importante, magari all’Olimpiade”.
Detto e fatto. Il sogno di Zaytsev si è materializzato sul finire di un quarto set che pareva destinato a consegnare agli Stati Uniti le chiavi per l’argento o l’oro. 22-19 per Anderson e compagni. Zaytsev va in battuta e non sbaglia nulla: per tre volte si lancia in aria la palla, per tre volte le sue bordate mandano ko gli statunitensi (memorabile l’ace millimetrico certificato dal Challenge). L’Italia evita il ko, pareggia il conto (22-22) e vola di slancio al tie-break, con un parziale di 6-0. Se aggiungiamo che nel corso della rimonta anche il libero Colaci ha realizzato un punto dalla ricezione a fondo campo, si capisce che razza di partita sia stata.
Dopo la lezione subita dagli azzurri in un mortificante terzo set (25-9!) pochi avrebbero scommesso ancora contro gli americani. Qui è emerso tutto il carattere di una squadra penalizzata dagli infortuni (Piano ancora spettatore, Birarelli alle prese da subito con un problema al polpaccio) ma indomita nello spirito. Gli Stati Uniti l’hanno messa alle corde e stesa al tappeto per il conto finale. Ma gli uomini di Blengini hanno saputo rialzarsi, riscrivendo il copione di una semifinale che pareva averli già condannati.
Il baby Giannelli ha dimostrato maturità e ha mantenuto lucidità anche quando il monumentale Juantorena della prima metà della gara ha cominciato ad accusare la stanchezza (ma è stato poi suo l’ace del 12-8 nel tie-break, che ha consentito ad Azzurra di mollare gli ormeggi). Lanza ha viaggiato con percentuali efficaci, Birarelli si è difeso come ha potuto, Buti si è scoperto protagonista d’eccellenza, firmando addirittura due ace in un momento chiave della gara e firmando il muro del 15-9 nel tie-break. Col senno di poi, c’è da dire che gli Usa hanno patito moltissimo la rimonta azzurra. In fondo, ora che tutto è alle spalle, le cifre raccontano che la squadra di Speraw ha retto nel quinto set solo per gli errori azzurri. Dei 9 punti Usa, 7 sono arrivati dall’Italia: un attacco out di Zaytsev, sei battute sbagliate. Insomma, se è vero che gli Usa nel volley non muoiono mai, al Maracanazinho l’Italia non è stata da meno, anzi…

E così l’impianto talismano di Rio de Janeiro vedrà l’Italia lottare per un oro ventisei anni dopo il trionfo mondiale del 1990, il primo con Julio Velasco in panchina. Ed è significativo e per nulla casuale, che oggi il ct sia Gianlorenzo Blengini detto Chicco, che di Velasco è stato allievo diligente e appassionato. Dopo Velasco e Montali, Blengini è il terzo ct finalista in una Olimpiade. Medaglie ne hanno prese anche Prandi, Anastasi e Berruto.
Proprio Mauro Berruto, terzo quattro anni fa a Londra, va ricordato per aver iniziato la costruzione di una Nazionale che a Rio è già andata oltre e che ha la possibilità di raggiungere un risultato storico nella finale che domenica (ore 18.15 italiane) la opporrà ai padroni di casa del Brasile o alla Russia.
Inevitabile ricordare che il mattatore di oggi, Ivan Zaytsev, poco più di un anno fa fu espulso dalla Nazionale di Berruto (toh, che scherzi fa il destino: l’episodio accadde proprio a Rio, dove si giocava la World League) innescando la miccia per la rivoluzione in panchina. Ma ormai anche quello è il passato.

E’stato bello sentire il Maracanazinho tifare Italia (“Il pubblico è stato fantastico, sembrava di giocare a Roma in Piazza del Popolo” ha detto Giannelli). E’ stato bello vedere gli azzurri così intensi e così uniti. E’stato bello vedere Zaytsev abbracciato stretto a Juantorena, pedina fondamentale di questa Italia che lui ha voluto fortissimamente per consacrarsi in una Olimpiade. E’ stato bello vedere Ivan accucciarsi accanto ad un disabile brasiliano per una foto piena di umanità e sorrisi. Sono stati belli i baci e gli abbracci tra gli azzurri in campo e poi con le loro donne in tribuna. Oggi al Maracanazinho è stato tutto bello, ma domani è un altro giorno. Re Mida (Velasco) non siede più sulla panchina azzurra, ma Zaytsev e compagni possono ancora trasformare l’argento in oro e sfatare il tabù che ha fatto dannare la generazione di fenomeni. Con la palla tra le dita, senza paura e con tanto coraggio. La storia del volley è lì che li attende.

Leandro De Sanctis

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