Il processo | Recensione serie tv

Il processo, ambiziosa serie tv proposta in prima visione su Canale 5 e ora sbarcata sulle piattaforme digitali. Il thriller giudiziario non è molto presente nel panorama delle serie tv italiane, perché il genere richiede una sceneggiatura che non lasci falle, che non si presti a passaggi poco convincenti. Il processo tiene e alimenta il pathos. E si snoda cercando di tenere aperte varie piste, nella ricerca dell’assassino della diciassettenne Angelica Petroni, studentessa entrata in un giro di escort.
L’aspetto interessante, che è il punto di partenza della serie, è che il rapporto di sangue che lega il pubblico ministero Elena Guerra (Vittoria Puccini) figlia di un grande magistrato (Roberto Herlitzka), alla ragazza assassinata. Un legame, scopriremo presto, che eticamente con consentirebbe al Pubblico Ministero di continuare a seguire il caso.
I limiti della serie risiedono nei dettagli, perché se si fa un thriller giudiziario ogni passaggio deve risultare credibile.
Il processo propone un Pubblico Ministero che fa tutto da sola, dagli interrogatori agli atti processuali, senza una vera squadra alle spalle. E il diretto collaboratore è un logorroico che dovrebbe assolvere al ruolo ironico, ciarliero e pasticcione. C’è una famiglia, la famiglia Monaco, potente e ricca che a Mantova è un’istituzione intoccabile e che si trova a vario titolo al centro della bufera giudiziaria, e dei sospetti, nei suoi vari risvolti. Il patriarca Gabriele Monaco (Tommaso Ragno) affida all’avvocato rampante Ruggero Barone (Francesco Scianna) la difesa della figlia Linda Monaco (Camilla Filippi), in una battaglia processuale ricca di colpi di scena.
Fino allo scioglimento finale che proprio sorprendente non sarà, per chi ha esperienza del genere.
Il processo propone accanto alla vicenda giudiziaria, la vita privata dell’inflessibile pm Elena Guerra, donna problematica segnata da una dolorosa scelta del passato e sentimentalmente ancora alla ricerca di una identità definita. Cocciuta, determinata e presuntuosa. La tensione regge, ma quando i nodi si sciolgono il tutto crolla sotto il peso dell’inefficienza investigativa palesata in più di un passaggio.
Non viene data la corretta rilevanza all’arma del delitto, non si predispone una fin troppo ovvia perizia sugli abiti che il presunto colpevole indossava la notte del delitto, tanto per fare qualche esempio. E la prova clou viene sottovalutata e annullata per un insopportabile vizio sostanziale di forma: ora, anche un bambino ormai sa che ogni reperto rinvenuto sulla scena del delitto, presunta o reale, deve essere raccolto con i guanti e messo al sicuro in una busta che poi viene sigillata. Gli autori avrebbero potuto dare una ripassata alle procedure, anche solo riguardando la serie Rai Nero a metà, dove la pratica corretta viene vista tante volte.
La credibilità di un thriller processuale passa anche e soprattutto da questi dettagli. Dovendo fare un elogio devo dire che ho trovato migliorato Francesco Scianna, che se la cava bene tratteggiando la figura dell’avvocato arrivista, ambizioso e disposto ad infrangere le regole, a sporcarsi le mani, ma non se si rende conto di essere preso in giro.
Non ne esce bene la Magistratura: un Pubblico Ministero che sceglie di ignorare una regola basilare, un agente che non sa come comportarsi e che in un certo momento invita ad ignorare ancora una certa prova colpevolmente dimenticata, una funzionaria che vende informazioni alla parte avversa.
Il processo insomma è avvolto in una bella confezione: ma quando lo si scarta e lo si guarda bene, vengono fuori i difetti.

Il processo, la scheda

IL PROCESSO – Italia, 2019. 8 puntate di circa 50 minuti. Su Netflix (primo passaggio su Canale 5).
Regia: Stefano Lodovichi.
Ideatore: Alessandro Fabbri, Laura Colella, Enrico Audenino
Interpreti: Vittoria Puccini, Francesco Scianna, Margherita Caviezel, Camilla Filippi, Michele Morrone, Maurizio Lastrico, Simone Colombari, Roberto Herlitzka, Alessandro Averone, Pia Lanciotti, Tommaso Ragno, Euridice Axen.

Leandro De Sanctis

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