Becchetti denuncia la persecuzione politica, dall’Albania all’Italia

Becchetti denuncia la persecuzione politica, dall’Albania all’Italia. E per farlo pubblicamente ha scelto un modo originale: acquistare pubblicità su palazzi in ristrutturazione ora che ha una sentenza europea a dargli ragione. Quella che vedete in foto è la pubblicità che appare su un palazzo al centro di Roma, tra via Nazionale e Piazza Venezia, sopra a via dei Fori Imperiali. Un mega poster per denunciare la sua odissea tra Albania e Italia, il disinteresse del Ministero degli Esteri dinanzi alla persecuzione messa in atto dall’Albania nei suoi confronti e la condotta di Enelpower e Eni. Il tutto sancito dalla sentenza della Corte Europea
https://parloio.it/#lodo
Per chi non lo conosce o non lo ricorda, Francesco Becchetti è stato l’amministratore delegato, il patron della Piaggio Roma Volley che vinse lo scudetto nella pallavolo maschile nell’anno 2000. La partita che assegnò il tricolore al PalaEur di Roma, la terza di quella serie di finale con Modena, ebbe 15.133 spettatori, record imbattuto e imbattibile di pubblico per una partita di pallavolo su suolo italiano. Tofoli, Osvaldo Hernandez, Vladi Grbic, Bracci, Gardini, Ihosvany Hernandez, Klok erano i titolari, GianPaolo Montali l’allenatore, Vittorio Sacripanti il direttore sportivo, Chicco Testa il presidente.
Leggendo quanto ha scritto Francesco Becchetti, si possono fare molte considerazioni e a vari livelli. Intanto il suo rifiuto a sottostare alla logica delle tangenti non può che fargli onore, confermando ciò che più di una volta espresse in conversazioni private. Triste una volta di più registrare l’inerzia del Ministero degli Esteri, nel tempo verificata anche in altre drammatiche situazioni e in presenza di soprusi di altri Paesi (basta ricordare il caso Regeni e la condotta dell’Egitto). Per non parlare delle tangenti, una condotta criminosa arrestata ma non certo sconfitta dopo gli anni di Tangentopoli. La sentenza europea a cui si fa riferimento sarà da ricordare ogni volta che in Italia si imporrà qualcosa di sbagliato, inutile, ingiusto, con la scusa del “ce lo chiede l’Europa”. Fare o non fare le cose che chiede l’Europa (e in questo caso è una Corte Europea (per i diritti dell’uomo), l’adeguamento intermittente, solo quando fa comodo. E’ la scusa migliore per fare e imporre ciò che vogliono lo stato, i governi e talvolta i privati.


Il racconto di Francesco Becchetti, in prima persona

Il mio nome è Francesco Becchetti.
Ho combattuto contro la persecuzione politica di almeno un governo.
Ho vinto.
Il 24 aprile 2019, il Tribunale internazionale ICSID, della Banca Mondiale, organismo preposto alla risoluzione delle controversie fra Stati ed investitori stranieri, ha emesso, all’unanimità, una sentenza arbitrale, confermata sempre all’unanimità dal Comitato ICSID il 2 aprile 2021, con la quale si accerta la grave illegittimità delle azioni intraprese dalle Autorità albanesi nei confronti di Francesco Becchetti e del suo gruppo imprenditoriale, in aperta violazione del diritto internazionale.

Il Lodo arbitrale in particolare conclude affermando:

  • che le decisioni relative al sequestro della TV Agon Channel emesse dal Tribunale di Tirana sono state il culmine di una campagna politica realizzata dall’Albania attraverso l’uso illegittimo dei suoi poteri di polizia contro Francesco Becchetti e gli altri;
  • che le indagini penali, avviate dalla Procura di Tirana contro Agon Channel, sono state una deliberata interferenza con l’attività di Agon Channel, motivata dalle critiche di Agon Channel al Governo Rama, considerato vicino ai concorrenti;
  • che il Segretario Generale (E.A.) del Primo Ministro Rama ha dichiarato che se Francesco Becchetti voleva capire perché i suoi investimenti erano sotto inchiesta avrebbe dovuto parlare con uno dei concorrenti e che non era una buona idea opporsi allo Stato;
  • che vi erano difetti sostanziali alla base delle accuse su cui si fondavano le indagini penali;
  • che gli investimenti di Francesco Becchetti sono stati espropriati in violazione dell’articolo 5 del Trattato Bilaterale sulla Promozione e Protezione degli Investimenti tra Italia – Albania.

Il Ministero degli Esteri ha ignorato i suoi doveri

Visto il grave inadempimento del Governo albanese da tanto tempo ho cercato di ottenere dal Ministero degli Affari Esteri Italiano la protezione diplomatica che mi è dovuta in base alle norme di diritto internazionale e della nostra Costituzione, presentando formali istanze in tal senso.
Nel caso di gravi violazioni dei diritti umani, come quelle perpetrate ai miei danni, il diritto internazionale non lascia alcun margine di discrezionalità allo Stato di nazionalità, il quale ha il dovere giuridico di intervenire in protezione diplomatica del proprio cittadino per garantire la protezione effettiva dei suoi diritti fondamentali.
Ciò si ricava in particolare:

dalla posizione sostenuta dal Governo Italiano in seno ai lavori dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite relativi al Progetto di articoli sulla protezione diplomatica del 2006, (cfr. Commissione di diritto internazionale, Comments and observations received from Governments, UN Doc. A/CN.4/561, 2006, p. 38);
dalla sentenza n. 238 del 2014 della la Corte costituzionale, con la quale essa ha ribadito con forza la necessità di assicurare la piena tutela dei diritti fondamentali della persona umana che riflettono “principi supremi” dell’ordinamento costituzionale italiana e rispetto ai quali non possono prevalere interessi pubblici attinenti ai rapporti con gli Stati stranieri, a meno che detti interessi non siano “riconoscibili come potenzialmente preminenti” sulla base “di una rigorosa valutazione di tale interesse alla stregua delle esigenze del caso concreto” (cfr. § 3.4. del considerato in diritto);
dall’art. 27 della Convenzione di Washington che espressamente prevede il ricorso alla protezione diplomatica da parte dello Stato di nazionalità dell’investitore nel caso di mancata esecuzione dei lodi arbitrali ICSID quale garanzia di effettività del sistema.
Nonostante tutto ciò, inspiegabilmente, il Ministro degli Esteri Italiano non si è neppure degnato di una risposta alle mie istanze di protezione diplomatica, nel perdurare mi riservo di citarlo al Tribunale di Roma.


La mia storia


Nel 1993, da giovane e già affermato imprenditore italiano impegnato nelle più importanti opere idrauliche del nostro Paese, intuivo, tra i primi in Europa, che le energie rinnovabili avrebbero rappresentato uno dei più importanti business degli anni 2000.
Concentravo in particolare la mia attenzione sull’Albania, un Paese faticosamente uscito da una feroce dittatura che si approcciava ai valori democratici dell’Occidente e che era dotato di un potenziale idroelettrico enorme non ancora sviluppato. Mettevo quindi a loro disposizione le mie visioni, le mie capacità imprenditoriali e loro credevano in me e mi consideravano il benvenuto.
Dal 1993 al 1996 abbiamo svolto studi e verifiche a nostre spese su tutto il potenziale idroelettrico del Paese, ed in particolare quello del fiume Vjosa, tenendo conto degli standard della Banca Mondiale. Il piano di fattibilità in chiave idroelettrica del fiume Vjosa da noi realizzato era compatibile e innovativo ed a distanza di 15 anni veniva confermato da colossi dell’ingegneria incaricati dalla Banca Mondiale.
Abbiamo quindi focalizzato la nostra attenzione, anzitutto, sulla realizzazione di un primo impianto idroelettrico a Kalivac sul fiume Vjosa. Era il 1996. Per finanziare l’opera decidevamo naturalmente di fare ricorso al project financing e quindi avevamo necessità di un off taker dell’energia di lungo periodo.

Energie rinnovabili, Albania, Enelpower e tangenti

Chi meglio dell’Enel, l’azienda dello Stato italiano, al tempo monopolista anche per l’importazione di energia, poteva essere interessato a circa 400 milioni di KWh/a per 26 anni di nuova energia rinnovabile con un’ipotesi di altre centrali fino a 2 TWh/a su tutto il Vjosa? Infatti Enel si apprestava a realizzare il cavo sottomarino Grecia -Italia. Quando poi si verificava che l’energia prodotta dall’impianto di Kalivac avrebbe avuto anche il diritto ai c.d. Certificati Verdi in Italia, Enel – che aveva necessità di acquisirli – si dichiarava interessata a partecipare al progetto anche come azionista e General Contractor. Ciò veniva approvato dal consiglio di amministrazione di Enel S.p.A. del 15.02.2000, come esplicitato nel comunicato stampa “price sensitive” del 24.02.2000, con affidamento del ruolo di azionista e General Contractor del progetto ad Enelpower, già divisione interna Ingegneria e Costruzioni di Enel, che nel frattempo era divenuta società per azioni controllata al 100% da Enel e alla quale è subentrata nell’accordo con BEG.
Pronti per partire, il CEO di Enelpower Luigi Giuffrida, nel luglio 2000, mi richiedeva una “maggiorazione” ingiustificata di 25 milioni di euro che io rifiutavo perentoriamente e categoricamente perché del tutto immotivata. Giuffrida ed i suoi, di lì a poco, sarebbero stati arrestati dalla Procura di Milano per tangenti ricevute di 25 milioni di euro su ognuno dei progetti che Enelpower aveva all’estero.
Al mio rifiuto, Enelpower si ritirava unilateralmente dal progetto, così come mi aveva anticipato Giuffrida. Di fatto, faceva saltare un progetto virtuoso che avrebbe portato importanti utili all’Enel e quindi ai cittadini italiani, un grande sviluppo all’Albania in quel momento e il giusto riscontro ad un giovane imprenditore che tanto si era dato da fare per questo progetto.

Arbitrato irregolare, conflitto di interessi

La mia società era quindi costretta a promuovere un arbitrato contro Enelpower per inadempienza contrattuale, nominando arbitro il Prof. GG. Enelpower, dal canto suo, nominava il Prof. NI, il quale accettava l’incarico senza dichiarare, come avrebbe dovuto, che era stato Vice Presidente di Enel al momento dell’avvio delle trattative di Kalivac e che patrocinava come avvocato per Enel in Cassazione nel caso Vajont durante lo svolgimento dell’arbitrato, con incarico ricevuto quando Enelpower era la divisione Ingegneria e Costruzioni di Enel.
Quando sono venuto a conoscenza, con mio grande stupore, di tale circostanza, ho immediatamente ricusato l’arbitro Prof. NI, ritenendo, per ovvie ragioni, che egli non potesse svolgere il ruolo di arbitro indipendente e imparziale in una controversia che vedeva accusata la società controllata al 100% da Enel. Ma proprio lo stesso giorno, guarda il caso, veniva depositato un lodo arbitrale approvato a maggioranza con il voto decisivo del Prof. NI, senza neppure la firma dell’arbitro Prof. GG, nominato dalla mia società. Le mie istanze di ricusazione venivano, dunque, respinte, in quanto ritenute successive all’adozione del lodo.
Ho allora impugnato il lodo per nullità dinanzi alla Corte di appello di Roma, prima, e dinanzi alla Suprema Corte di cassazione, poi. Ma neppure le giurisdizioni italiane hanno voluto porre rimedio a questa situazione. In particolare, la Corte di cassazione ha ritenuto che il lodo non fosse viziato in quanto, pur essendo l’arbitro Prof. NI l’avvocato di Enel, controllante al 100% di Enelpower, non vi sarebbe stata la prova di una “coincidenza di interessi” (!).
Mi sono allora appellato, nel 2012, alla Corte europea di Strasburgo per lamentare la violazione del principio dell’indipendenza e dell’imparzialità del giudicante consacrato dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).

La sentenza della Corte Europea


Dopo molti anni, e precisamente il 20 maggio 2021, la Corte europea ha reso la sua sentenza, che è divenuta definitiva il 20 agosto 2021. In tale sentenza, le mie ragioni sono state integralmente accolte. La Corte ha ritenuto, infatti, all’unanimità e con il voto del giudice eletto per l’Italia, che il Prof. NI non potesse ricoprire il ruolo di arbitro in quanto era stato Vice-Presidente di Enel all’epoca dell’avvio delle trattative per il progetto di Kalivac ed era stato anche avvocato di Enel durante lo svolgimento del procedimento arbitrale.
Secondo la Corte, dunque, le giurisdizioni italiane hanno omesso di garantire – come pure potevano e dovevano fare – l’indipendenza e l’imparzialità dell’arbitro, convalidando un lodo affetto da una violazione dell’art. 6 CEDU. La Corte ha respinto seccamente la tesi sostenuta dal Governo italiano, sulla scia delle sentenze interne, secondo cui il Prof. NI era avvocato di Enel e non della sua controllata Enelpower, rilevando l’ovvio, e cioè che “Enelpower era all’epoca interamente controllata dall’Enel, che deteneva il 100% del suo capitale azionario” e che, inoltre, “quando era iniziata la controversia civile, l’Enelpower era ancora una divisione interna nell’ambito dell’Enel”.

Condannato lo Stato italiano: violazione art.6 CEDU


La Corte, per i motivi esposti, ha condannato lo Stato italiano per violazione dell’art. 6 CEDU, demandando a quest’ultimo l’individuazione delle misure più appropriate per dare esecuzione alla sentenza nell’ordinamento interno. In sostanza, il Prof. NI non poteva essere arbitro. Ciò nonostante, tutto il gruppo Enel lo ha attivamente sempre difeso in ogni modo, sostenendo l’insostenibile, e cioè che Enel non era Enelpower e che, dunque, il lodo arbitrale – adottato a maggioranza con il voto determinante dell’arbitro NI – fosse pienamente valido! Questa posizione è oggi smentita clamorosamente, e in modo definitivo, dalla Corte europea dei diritti umani, che finalmente, dopo anni di battaglie, ha accertato che il mio gruppo imprenditoriale è stato vittima di una decisione ingiusta a causa di un arbitro che ha omesso di dichiarare i propri rapporti professionali (passati e presenti) con una delle parti e del mancato intervento correttivo delle giurisdizioni italiane in sede di controllo sulla validità del lodo.

Becchetti e una battaglia durata venti anni


La consapevolezza che questa lunga battaglia, che ha riguardato almeno venti anni della mia vita, con i rischi enormi a cui la mia esistenza stessa è stata ed è esposta, fosse utile perché ad altri giovani imprenditori italiani non fossero riservati trattamenti così ingiusti, mi ha dato la forza e l’onore di portarla avanti.

Centro di Roma, la pubblicità di Becchetti su un palazzo in ristrutturazione
Centro di Roma, la pubblicità di Becchetti su un palazzo in ristrutturazione
La protesta di Becchetti alla seconda puntata, qui il megaposter su un palazzo a Largo Argentina, Roma
La protesta di Becchetti alla seconda puntata, qui il megaposter su un palazzo a Largo Argentina, Roma

Leandro De Sanctis

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