ATLETICA Il coraggio di Tommie Smith


Andavo alle Elementari nei giorni dell’Olimpiade di Città del Messico, anno 1968. Lo sport, i media, la tv erano un mondo ben diverso da quello che è diventato oggi. Mi svegliavo ogni mattina alle 7.30, sporgendomi dal letto accendevo la radiolina a transistor che avevo appoggiato sul pavimento, accanto al letto, la sera prima. Ancora prima della colazione il giornale Radio mi raccontava cosa era successo nella notte olimpica messicana, perchè la differenza di fuso orario e l’obbligo di andare a scuola la mattina, impedivano di tirar tardi o stare addirittura sveglio la notte per seguire le vicende olimpiche. Sarebbe stato tutto diverso due anni dopo, per i Mondiali di calcio del 1970, le opache partite iniziali degli azzurri (ancora in bianco e nero), la mitica Italia-Germania 4-3. 
A proposito di miti, e di Tommie Smith campione olimpico e primatista mondiale dei 200 (primo a scendere sotto i 20 secondi) devo dire che da bambino non compresi subito la portata di quel gesto, di quel pugno verso il cielo rivestito da un guanto. Ebbi la percezione che quasi quasi quel gesto aveva infastidito. Oggi, da adulto, trovarmi di fronte a Tommie Smith è stata una vera emozione, perchè adesso so perfettamente cosa è stato il suo gesto, quanto coraggio ebbe allora, il grande significato del suo sacrificio (perchè poi gliela fecero pagare, la sua carriera nell’atletica finì lì, per fare sport dovette riciclarsi nel football americano, per tre stagioni). Oggi l’atletica fa vietare le unghie colorate con le tinte dell’arcobaleno per non urtare la Russia che organizza un Mondiale. Una sottomissione imbarazzante da parte della federazione svedese e della Iaaf. Ma non molto difforme dalla reazione isterica e repressiva che ebbe allora il Cio, non certo schierato dalla parte degli atleti neri, considerata l’estrazione culturale e politica di certi dirigenti dell’epoca.
Tommie Smith è stato un grande atleta e un grandissimo uomo. Un mito autentico del secolo scorso.
Stringergli la mano, parlarci, lo considero un onore e un privilegio. Ne ho potuto apprezzare anche il senso dell’umorismo, emerso qua e là, come quando, guardando lo stemmino sulla mia maglietta, mi ha chiesto se lavoravo per la Robe di Kappa. “No – gli ho risposto – l’ho comprata…”

*********
Dalle pagine ingiallite e telematiche della Storia, con la s maiuscola e non certo soltanto sportiva, si è materializzato a Rieti il mito Tommie Smith. Il suo pugno chiuso coperto da un guanto nero levato in un urlo silenzioso verso il cielo è andato oltre ogni risultato sportivo, diventando un coraggioso simbolo di ribellione non violenta. Sul podio olimpico dei 200, a Città del Messico ’68, l’oro di Tommie Smith, il bronzo di John Carlos.


Una protesta a piedi nudi per mettere a nudo l’ipocrisia dell’America bianca. La solidarietà dell’altro sprinter, l’australiano Peter Norman, medaglia d’argento e a sua volta emarginato per aver appoggiato la protesta di Smith e Carlos. E quando morì, Tommie Smith e John Carlos andarono ad omaggiarlo portando sulle spalle la bara.
«Gli anni ‘60 sono stati un’epoca di grandi cambiamenti sociali, nel mio e in altri Paesi. L’America stava cambiando. La presa di posizione di Norman e degli altri atleti bianchi fu importantissima – spiega Tommie Smith – Creò imbarazzo nei politici. Vedere un bianco appoggiare la causa delle gente di colore fece cambiare idea a molti cittadini bianchi, il loro atteggiamento cominciò a trasformarsi in materia di diritti umani e civili».
Oggi Tommie Smith è un vitalissimo signore di 69 anni che sembra illuminato da una luce di serenità. E’ una leggenda che sorride, fiero del suo passato e del suo presente.
«Quel gesto era mio, mi apparteneva. Ci avevo pensato a lungo. Non l’avessi fatto non sarei quello che sono contento di essere adesso. Forse oggi userei le parole. Io non sono cambiato da allora, sono solo passati gli anni. Non so quanto ho perso, o quanto ho guadagnato nella mia vita successiva con quel pugno alzato». E ripete il gesto della sua vita, con l’orgoglio con cui Bolt distende le braccia nella mossa della saetta.
«Però so di sicuro che quel gesto ha fatto di me una persona diversa, è stato fondamentale sotto l’aspetto umano e ha cambiato il mio rapporto con gli altri, con la gente, con la vita»
Protestò contro la violenza con un gesto non violento.
«Vero, quello non fu un gesto violento, ed io non sono mai stato un violento: il fatto che io non sorrida spesso porta ad equivocare…».
 Prima di allora, che ragazzo era Tommie Smith, cosa gli piaceva?
«Mi piaceva correre. E quand’ero giovane non avevo bisogno di particolari punti di riferimento: per essere contento mi bastava trovare un paio di pantaloni abbastanza lunghi per le mie gambe, ed una Bibbia. E mi piaceva qualsiasi musica che facesse ballare»

Vedendo il filmato di quella finale colpisce il suo arrivo a braccia alzate: il record mondiale di 19”83, prima volta sotto i 20 secondi avrebbe potuto essere ancora migliore.
«Devo raccontarvi che affrontai la finale olimpica con un lieve infortunio alla gamba sinistra. Correre la curva, per me che sono alto 1,93, non era un cosa da poco. E questo, nei turni, aveva prodotto dei danni. Quindi, nella prova decisiva, affrontai i primi 100 metri con moderazione. Feci la peggior curva della mia carriera. Poi, sul rettilineo, diedi tutto quel che avevo. Quando superai Carlos, capii che ce l’avevo fatta, e che avevo anche tempo per manifestare tutta la mia felicità…»
Tommie Smith è un uomo che non ha smesso di sognare.
«Ora sogno che tutti possano essere felici come lo siamo io ed il mio amico Alberto Juantorena (l’altra leggenda chiamata a Rieti nel ricordo di Pietro Mennea) con le nostre mogli»

Dimostra acume quando gli si chiede chi sia stato il più grande velocista di sempre. E non è d’accordo con Carl Lewis nel criticare la condotta di Usain Bolt.
«Owens fu un grande sia come atleta che come persona, e fu anche usato dal sistema. Bolt è il più grande su 100 e 200. Lewis nel lungo. Bolt piace ai giovani anche per il suo essere giamaicano (con la passione per la musica e il ballo) oltre che per le sue doti. Sì, credo possa correre in meno di 19 secondi i 200 metri. I 600 metri contro Mo Farah? Penso che Bolt abbia più chances, è molto più veloce. Credo che alcuni grandi atleti di oggi siano tali anche per il progresso della ricerca e delle tecnologie»

Tommie e Pietro Mennea 
«Ricordo perfettamente quel 12 settembre 1979 – racconta Tommie Smith parlando del 19”72 di Mennea – Quando seppi che il mio record del mondo, il 19.83 di Messico City, era stato battuto da Pietro Mennea, fui comunque felice: a superarlo era stato un uomo che, come me, aveva dedicato la vita all’atletica, un uomo d’onore che meritava rispetto. Lo vidi correre ai Giochi di Monaco e pensai che prima o poi avrebbe potuto togliermi il record. Pietro era una grande persona, amava l’atletica, amava correre, come me. Giovedì a Roma farò i 200 in suo onore al Mennea day. Ma camminando, di correre non se ne parla più»

Leandro De Sanctis

Torna in alto