CINEMA American Pastoral

AMERICAN PASTORAL
Regia: Ewan McGregor.  Interpreti: Ewan McGregor, Jennifer Connelly, Dakota Fanning. Tratto dal romanzo omonimo di Philip Roth
* visto in edizione originale inglese con sottotitoli in italiano

Il vantaggio per me è stato quello di non aver letto il libro di Philip Roth, così posso risparmiare il solito discorso del romanzo tradito e del film che è altra cosa…
American Pastoral, per una volta si può andare oltre le consuetudini, perchè anche un film che può essere definito imperfetto per alcuni aspetti, è tuttavia sconvolgente e angosciante nell’affrontare il risvolto psicanalitico del rapporto tra genitori e figli. Certo, si parla del sogno americano fatto a pezzi, come l’ufficio postale del film e come l’invidiatissima famiglia che ha unito la miss e l’eroe sportivo della scuola. Un sogno americano che si rivela illusorio e implosivo, simbolo di un’apparenza che può risultare ingannatrice e disgregante. Alla fine il nodo del film è materiale da psicanalisi, non a caso presente e con un ruolo tutt’altro che secondario. Da una famiglia perfetta (non si dovrebbe mai finire di spiegare che la perfezione, il concetto stesso di perfezione, non esiste, se non nelle ridicole sceneggiature di certe serie Tv) può nascere… un’estranea che non sa decifrare la realtà che la circonda e nella quale è immersa. Una figlia subito schiacciata dalla bellezza insuperabile della madre e da un sentimento innaturale per il padre, che manifesta un disagio con la balbuzie, segnale esteriore del suo malessere esistenziale, base della sua esistenza conflittuale e ribelle, il cui germe nasce nel confronto con madre e padre. In un illusorio scenario di perfezione che disprezza, non riuscendo più a vedere la realtà, risucchiata nel vortice di una contestazione idealmente legittima ma sbagliata nelle modalità assassine.
Ma la contestazione, giusta, della politica americana in Vietnam e contro la popolazione di colore, passa attraverso il rifiuto di ciò che rappresenta la famiglia, genitori invidiati da tutti, troppo belli e di successo, e per questo modelli ingombranti, irraggiungibili, scoraggianti. E perciò detestabili, totem da abbattere. Nel dramma di una Nazione che ha alimentato e alimenta miti falsi e corrotti, calpestando con violenza i deboli, s’inserisce e si mette a fuoco il dramma familiare di una coppia che scoppia, di una madre che va fuori di testa e cerca di rimuovere restituendo centralità a quel sogno spezzato (nuova casa, nuovo progetto, un amante, nuove cose in realtà assai poco importanti: tutto ciò che aveva cercato di sfuggire, vivendo in campagna, allevando mucche…), e di un padre che non si rassegna a perdere la sua figlia perduta, che contesta la contestazione forte del suo essere diverso, dei suoi valori. 
Per certi aspetti, nonostante le intenzioni, il film ha alcuni aspetti non approfonditi e lasciati cadere (l’attrazione figlia bimba-padre, il rapporto con l’FBI e con i parenti, lo stesso legame moglie-marito da un certo punto in poi). Per vedere il protagonista senza cravatta (anche questo è aspetto simbolico: nella drammatica serie di eventi, giacca e cravatta intonata restano una costante, elemento consuetudinario di quella normalità perseguita senza rinunciare all’eleganza della forma), in un’unica scena, bisogna attendere quasi l’epilogo di questa discesa agli inferi dell’idea di famiglia e affetti. 

Ascoltando certi dialoghi tra figlia e padre, non si può fare a meno di pensare che questa ragazza perduta abbia in sè il gene della follia, seguendo un percorso tutto suo che ribalta verità e realtà, non riuscendo a vedere ciò che le si para dinanzi. Trasformando la culla che l’ha cresciuta in un bersaglio. Il troppo bello che diventa handicap, modello irraggiungibile e per questo da far esplodere. Così che lo scopo di una vita diventa fare a pezzi chi quella vita l’ha generata. L’interrogativo che pesa su ogni genitore quando un figlio vive problematiche (“Cosa e dove abbiamo sbagliato?”) qui viene sciolto assolvendo, perchè nemmeno le condizioni migliori per crescere talvolta sono una polizza di garanzia contro i problemi e il mal di vivere.

“La vita è un breve lasso di tempo, in cui siamo vivi”

Leandro De Sanctis

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