CINEMA & ATLETICA Il Mennea segreto, storia di un italiano speciale

http://www.corrieredellosport.it/cinema/2014/10/28-381937/Cinema%2C+il+Mennea+segreto+che+non+ha+mai+smesso+di+correre


“Mennea segreto”, il documentario realizzato da Emanuela Audisio proiettato domenica nell’ambito del Festival del Cinema di Roma, probabilmente non sarebbe piaciuto all’uomo simbolo dello sport italiano degli ultimi cinquant’anni. Troppo schivo e geloso del suo modo di essere per permettere a tutti di conoscerlo davvero, come il film tenta invece di fare, in qualche modo violentando la natura di Pietro, con lo scopo di far conoscere cosa c’era dietro a colui che è diventato un mito a quattro cifre: 19”72, il tempo del suo record mondiale sui 200 metri. Anche se il docufilm si concentra soprattutto su ciò che Mennea è stato dopo la sua lunga carriera di atleta e le sue cinque Olimpiadi. E si propone di raccontare e ricostruire non tanto come è nato quello che il presidente del Coni, Giovanni Malagò, definisce il più grande atleta italiano di sempre, ma come Pietro abbia cercato di vivere la sua vita oltre lo sport, ovvero l’atletica e il suo modo di essere applicati ad ogni percorso professionale.
Con l’illusione e la disillusione della politica, con la forza delle idee e dell’azione: scrive un libro sui costi dell’Olimpiade e lo manda al Premieri Monti, che di lì a poco ritirerà la proposta di candidatura di Roma. Si muove in prima persona nel fare beneficenza e dare supporto a chi ne ha bisogno.
    Si prova quasi imbarazzo inizialmente, quando la macchina da presa conduce oltre le ante dell’armadio che ancora contiene decine e decine di scarpe, da corsa ma non solo. E i suoi libri, i suoi quaderni di appunti dove meticolosamente annotava ogni cosa, programmi, tempi, considerazioni, ogni giorno della sua vita di sprinter. “Mennea segreto” è anche il segreto di Mennea, come emerge dalle testimonianze di chi l’ha conosciuto e con lui ha condiviso gare in pista e poi nel lavoro, ognuno da lui imparando qualcosa, quel modo particolare di essere campione prima e uomo poi, insaziabile di conoscenza e di competitività che aveva nel sangue. E tutti ammirandolo.
    Non mancano le immagini del record e dell’oro olimpico: chi le ha vissute se le ricorda, e chi le guarda come filmati di un’epoca già lontana, non può riprovare le emozioni e i brividi che a distanza di tanti anni ancora regalano certi fotogrammi, certe telecronache. I settantacinque minuti scorrono leggeri, con momenti di commozione e non rare risate, che le parole del professor Vittori e dello stesso Pietro Mennea inevitabilmente suscitano.
Sorrisi che probabilmente sarebbero piaciuti anche a Pietro, che avrebbe ascoltato imbarazzato le testimonianze dei suoi amici di Formia e magari li avrebbe rimproverati bonariamente («Non dovevi dire che facevo colazione in camera con cappuccino e plumcake…»), così come a Zuliani avrebbe detto che sarebbe stato meglio non raccontare cosa accadde quella volta che erano in America e… Ma come in ogni docufilm che si rispetti, sono le parole dei testimoni a delineare il ritratto di Pietro Mennea adulto. La segretaria del suo studio legale, la moglie Manuela Olivieri, i suoceri inizialmente diffidenti per via della diversa estrazione sociale, più che per la differenza d’età, ma poi conquistati senza riserve da Pietro. E poi il cugino Ruggiero, il grande Tommie Smith, indirettamente Muhammad Ali (che si stupì che l’uomo più veloce del mondo fosse bianco: «Ma io sono nero dentro», gli disse Mennea quasi a giustificarsi) Franco Fava prima compagno di stanza in Nazionale poi giornalista, il giudice Imposimato, Gianni Minà, Mauro Moretti (che ha dedicato a Pietro Mennea il treno Frecciarossa 1000, il più veloce delle linee italiane), il presidente della Dederatletica Alfio Giomi. 
Ecco, il limite che si avverte, un non so che di incompletezza, è un certo squilibrio verso l’ultima parte della vita di Pietro Mennea, una specie di alieno che non ha mai smesso di correre. 

* pubblicata sul Corriere dello Sport di martedì 28 ottobre 2014

******
La storia di Pietro Mennea sprinter primatista mondiale è nei libri dello sport e nella memoria di chi l’ha amato e si è entusiasmato con lui. La storia del Pietro Mennea cittadino, plurilaureato, impegnato a fare cose più che a prometterle, è il ritratto per contrasto di questa povera Italia il cui declino non conosce fine. Ascoltando ciò che Mennea voleva fare, come avrebbe voluto impegnarsi, il suo approccio con una politica che sperava potesse essere a misura equa d’uomo, e il conseguente fallimento, si ha una volta di più la consapevolezza dei limiti di un sistema Paese che non ha mai voluto evolversi. Mennea non poteva essere un politico: alle promesse preferiva l’azione. Beneficenza diretta, prendersi a cuore le cause in cui si era imbattuto, stare vicino ai bambini, ai ragazzi, che forse lo riportavano agli anni in cui tutto per lui cominciò (ma di questo il documentario dice poco, non è andato a cercare testimoni dell’epoca). Il presidente del Coni, Giovanni Malagò, stimava enormemente Pietro Mennea e da lui era stimato. Il Mennea post atletica, era uomo rigoroso e serissimo, un cervello scomodo, che non esitava a prendere carta e penna per scrivere ad interlocutori di qualsiasi livello ciò che riteneva giusto. Un Mennea dunque degno della massima considerazione, anche quando scriveva il suo atto d’accusa contro un’improbabile candidatura olimpica di Roma. Fosse ancora vivo, Pietro non avrebbe esitato a schierarsi di nuovo contro la pazza idea di una Roma olimpica. Anche a costo di andare contro l’amico stimato, Giovanni Malagò.

**********************
P.S.: a margine, inevitabile sottolineare come l’organizzazione della proiezione del documentario dedicato al Mennea segreto si sia rivelata inadeguata e non all’altezza della situazione. Ai frequentatori del Festival del Cinema di Roma erano già note la disorganizzazione e le disfunzioni che talvolta penalizzano gli spettatori cinefili. Non è stato degno di Pietro presentare il film in una sala con posti in piedi per una parte degli invitati (sottolineo: invitati) e porte sbarrate al pubblico invitato eccedente la capienza limitata della sala. La figura di Pietro avrebbe meritato di meglio.

Leandro De Sanctis

Torna in alto