Siccità | Recensione film

Siccità | Recensione film. E’ uno di quei film che sembra fatto apposta per indurre interpretazioni e testi che aspirano alla profondità di analisi, anche distaccandosi dalla qualità propria dell’opera. Ed è uno di quei film in cui mi trovo nella parte non osannante degli spettatori. Non che il film non abbia qualità di intenti, ma nel complesso non mi ha conquistato, se non per quei frammenti di verità che inducono a considerazioni. L’impressione che in troppi passaggi si sia ceduto alla tesi, senza trattarla adeguatamente e in profondità. Una disomogeneità che si rispecchia nella qualità di un cast che non viaggia allo stesso livello anche se guai a intaccare una fama che troppo spesso, in Italia, non rispecchia il reale valore dell’attore o dell’attrice.
Come se gli effetti speciali utilizzati in post produzione per mostrare Roma prosciugata e desertificata, fossero diventati il cuore indiscutibile di un film animato da tanti personaggi altrettanto aridi e un tantino fuori di testa, chi più chi meno. Una Roma senza pioggia da tre anni e con un Tevere scomparso, ridotto senz’acqua a una cava arida. Nel deserto dei sentimenti si inserisce uno scenario di pandemia, con il razionamento dell’acqua, che anticipa nella finzione la crisi dell’energia (elettricità, gas, petrolio) scatenata dalla guerra di invasione della Russia in Ucraina. E dato che nel mondo tutto è collegato e connesso, ecco l’invasione delle blatte, favorita dalla siccità, a cui sembra che nessuno faccia caso più di tanto, perfino nelle case dei ricchi. E non si capisce perché la disinfestazione della città non avvenga prima…
Una via di fuga e di salvezza può esserci dall’interno del mondo marcio, come dimostra il personaggio di Raffaella (Emanuela Fanelli), a suo modo ribelle consapevole sintonizzata sul fare la cosa giusta.

Si fa l’abitudine a tutto: le blatte come l’immondizia…

Ma in fondo anche la situazione in perenne emergenza dell’immondizia, a cui sembra che la gente finisca per abituarsi, non è poi così diversa. Sintomo e male allo stesso tempo del decadimento di una civiltà che ha smesso di pensare collettivamente, esaltando l’egoismo individualista. Con le lusinghe del potere che finiscono col corrompere anche i teoricamente puri, come l’esperto (il bravo Diego Ribon) che scopre e si lascia fagocitare dal fascino di una tv, anche se di finta informazione, da leggere recitando e non da scovare e creare.
Un film corale che inevitabilmente induce alla citazione di illustri e ben superiori esempi cinematografici (a cominciare dal maestro Altman) ma che non raggiunge quelle vette perché ci sono personaggi che mancano di spessore e di interpreti adeguati, frutto di scelte non azzeccate.
Silvio Orlando e Max Tortora, Emanuela Fanelli e Valerio Mastandrea, assicurano quella dose di commedia, di amara leggerezza intrisa di lampi di cattiveria, che mi ha fatto pensare a L’ingorgo, il film a suo modo affine (1979) di Luigi Comencini con un super cast (c’erano Sordi e Mastroianni, Tognazzi e la Sandrelli tra gli altri). Anche in quel film c’era una Roma immobilizzata dal traffico, da un ingorgo di auto e sentimenti, cattiverie e bugie.
Paolo Virzì in Siccità apparecchia un tavolo ricco di tematiche, tra malattie reali e auto generate, come la nefasta follia degli influencer e di una realtà finta a cui troppo credito si dà, per denunciare la quale paradossalmente serve un bagno di umiltà in teatro, che in teoria sarebbe sarebbe luogo deputato alla finzione, o meglio alla rappresentazione della realtà.
E poi le coppie che scoppiano, male assortite, rette sulle bugie e senza più dialogo e sentimenti, né tra mariti e mogli, né tra genitori e figli. E nemmeno nelle allucinazioni si riesce ad andare d’accordo, a capirsi.
Lo so che non è bello da dirsi, ma fatico a considerare un’attrice di valore la modella Monica Bellucci e la sua apparizione in Siccità non scalfisce il mio modesto giudizio. Così come non capisco chi si confessa estasiato per l’interpretazione di Claudia Pandolfi, ben più brava altrove, accanto a un insipido Marchioni, con Elena Lietti al suo solito personaggio stralunato e clicherizzato, un Tommaso Ragno abbondantemente sopra le righe. Ma la scrittura dei personaggi li penalizza. Ci si chiede anche cosa ha legato un’infermiera traumatizzata da un lontano evento a stare insieme e fare un figlio con un autentico troglodita senza cervello. Piccole e grandi forzature per farci riflettere di come nei momenti di crisi generali, la solidarietà è l’unico modo per salvarsi, sia l’acqua che arriva da Sondrio, sia l’immigrato che allunga i 10 euro al negoziante fallito che non ha capito che il mezzo televisivo è una fiera artefatta che vive in un pianeta tutto suo, indifferente alle persone e alla realtà. Detto questo, non ho mai creduto alla finzione indotta del “ce la faremo”. No, con questa Italia caduta così in basso, individualmente e collettivamente, non ce la faremo.

Siccità

SICCITA’ – Italia, 2022. Durata: 124 minuti.
Regia: Paolo Virzì.
Interpreti: Silvio Orlando, Valerio Mastandrea, Tommaso Ragno, Claudia Pandolfi, Vinicio Marchioni, Elena Lietti, Gianni Di Gregorio, Paola Tiziana Cruciani, Diego Ribon, Max Tortora, Emanuela Fanelli, Gabriel Montesi, Sara Serraiocco, Andrea Renzi, Emma Fasano, Malich Cissè.

Leandro De Sanctis

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