Carlo Gobbi, addio al decano gentiluomo

Carlo Gobbi, addio al decano gentiluomo.
Carlo Gobbi ci ha lasciato. Il decano dei giornalisti della pallavolo si è congedato in punta di piedi dalla vita, dai suoi affetti, dal volley e da tutti gli sport che nella sua lunga carriera ha seguito con partecipazione e competenza. Pallavolo, rugby e tanti sport olimpici per la cui dignità mediatica si è sempre battuto.

E’ un momento triste e doloroso, oltre che per il figlio Raimondo e per tutti coloro ch hanno avuto modo di conoscerlo e condividere con lui del tempo nel corso degli anni, in particolar modo per quella famiglia allargata ed eterogenea di colleghi che, avvicinandosi ai “suoi” sport, in molti casi inevitabilmente sono diventati, chi più chi meno, amici e compagni di viaggio.

Carlo Gobbi ha attraversato generazioni di giornalisti, nato in un’epoca in cui il giornalista era un punto di riferimento fondamentale, in particolare lui che scriveva sulla rosea, sulla Gazzetta dello Sport.

Se fino agli anni ‘80 i colleghi erano quasi sempre coetanei, poi con la rivoluzione pallavolistica innescata dalla Nazionale di Velasco e dei sui campioni, Carlo Gobbi ha accolto e abbracciato tanti colleghi più giovani, con simpatia, gentilezza e affetto. E’vero, inevitabilmente, che quando si rende omaggio a qualcuno che se ne va, si ricorre anche al personale, ai ricordi, agli aneddoti che ci hanno legato riportando alla memoria momenti condivisi. Ma è proprio attraverso i ricordi personali di molti che spesso di restituisce un quadro efficace che rende omaggio nel modo migliore.

 Stoccolma 1989, il suo primo abbraccio

Chi lo ha conosciuto sa che non sbaglio se dico che Carlo Gobbi, Carlone tra i colleghi e amici del volley (l’altro Carlo, Lisi, era Carlino, proprio per distinguerli) è stato il gentiliuomo per eccellenza del nostro piccolo mondo pallavolistico (ma anche nel rugby so che era così). Rigore e generosità da alpino, empatia e genuina vicinanza nell’accogliere chi man mano si avvicinava alla sua pallavolo. Lo conobbi in Svezia, a Stoccolma nel 1989, agli Europei che avrebbero regalato il primo storico oro agli azzurri. 

“Sei stato fortunato – mi disse – noi del volley per anni siamo stati in giro per l’Europa dell’Est con piazzamenti deludenti, cibo scadente e nessuna soddisfazione. Tu arrivi e diventiamo campioni d’Europa!“. Non immaginava quante medaglie degli azzurri avremmo raccontato insieme per i rispettivi giornali.

Cominciammo a conoscerci meglio in un Pizza Hut di Stoccolma, dinanzi all’albergo che ci ospitava. La prima di tante occasioni conviviali, prima o dopo il lavoro nei palasport.

  Il decano e le bottiglie di spumante

  Carlone, genuinamente sportivo, non condivideva troppo gli aspetti scaramantici con cui seguivano il volley, per cui all’estero non si curava di nascondere le bottiglie di spumante pronte per…festeggiare una medaglia, o il “berretto” tricolore che poneva accanto alla sua macchina da scrivere (poi diventata un pc). Carlone mi ha fatto sempre sentire a mio agio accogliendomi in un mondo per me nuovo. Simpatia e affetto erano reciproci. 

Quando uscì il libro Il tesoro di Rio, che raccontava quel magico mondiale del 1990, si stupì che avevo ricordato l’episodio dei suoi bagagli perduti sul volo di andata, le magliette e gli effetti personali acquistati in fretta e furia a Brasilia.

 I ricordi che tornano alla mente sono davvero tanti. Dalle tavolate a Patrasso, Salonicco e Atene, con le forchettate condivise se certi piatti ordinati tardavano ad arrivare in tempo per…la fame, ai viaggetti post partite in tram a Vienna, dal Palasport del Prater ai ristoranti accanto a Sweden Platz, con le ordinazioni segnate durante il tragitto per fare prima.

I viaggi in Giappone al seguito della Nazionale furono straordinarie occasioni per far crescere l’amicizia: approfittando del fuso orario che ci regalava notti insonni ma mattinate con qualche ora libera, andammo insieme a visitare dei templi giapponesi. Da decano autorevole, mi aveva ribattezzato Nippon travel affidandomi il compito di pensare alle piccole cose che accompagnavano i nostri spostamenti nelle varie città giapponesi, soprattutto. E quella sera a Kobe, nel 1998, a cena davanti al cuoco fenomeno dopo un viaggio interminabile, o a Chiba per il piatto di spaghetti con cui chiudere la giornata.

Per il Corriere dello Sport-Stadio non giravo l’Italia e il mondo come lui per La Gazzetta dello Sport, ma in Argentina nel 2002 ci fu l’occasione per condividere un lungo e speciale viaggio. L’amata moglie Marisa, poi persa prematuramente (con loro andai a visitare il Partenone ad Atene in occasione di una Coppa dei Campioni), e il figlio Raimondo erano temi ricorrenti. Vedendomi fare incetta di cd musicali tra Santa Fe, Cordoba e Buenos Aires, mi chiese consigli su che musica portare al figlio Raimondo, che “non voleva ascoltare i cori degli alpini ma certa altra musica…“ 

Gli spiegavo che i gusti di Raimondo erano quelli dei ragazzi della sua età e che anche io non ascoltavo le musiche degli alpini…Ci avrei pensato io a scegliere i regali adatti.

Carlone è stato un collega genuino, capace di alzare il telefono e fare i complimenti per un pezzo che gli era piaciuto: un gentiluomo d’altri tempi, che non conosceva invidie, capace di raccogliere i suoi accrediti e di mandarli al figlio di un amico che li collezionava. 

Dopo che Carlone andò in pensione, naturalmente abbiamo avuto meno occasioni di vivere le giornate da inviati, ma ritrovarci era sempre piacevole. Conoscendo il suo amore per le canzoni di Sergio Endrigo, quando venne a Roma per i Mondiali lo sorpresi regalandogli due cd con le più celebri canzoni di Endrigo. E solo pochi mesi fa lo avvisai che stava uscendo un bel cofanetto del suo cantante amato, mandandogli la copertina su what’s app.

Lui mi mandava link di volley, qualche vignetta che magari prendeva in giro la mia Juventus. Mi informava quando qualche personaggio del volley veniva a mancare.

 Perche spesso quando non si frequentano più gli ambienti, anche tra colleghi si finisce per perdersi. Ma con Carlone il contatto non si era mai interrotto.

Avevo saputo che si era allettato e il 7 settembre abbiamo scambiato i nostri ultimi messaggi. Stamane ho saputo.

Mi consola solo sapere che ci abbia lasciato senza soffrire troppo, come ha raccontato Raimondo (al quale porgo sentite e affettuose condoglianze). Gratificato dalla sua stima e da un affetto che mi ha sempre dimostrato e che ho ricambiato, nel ripetere che gli ho voluto davvero bene anch’io, voglio ricordarlo per i suoi sorrisi, per le tante risate con cui sapeva stare con me e con i suoi colleghi amici della pallavolo.

Carlo Gobbi
Carlo Gobbi, 1989, Osaka

Leandro De Sanctis

Torna in alto