Battiato addio, genio della musica colta e popolare

Battiato addio, genio di una musica senza confini, colta e popolare allo stesso tempo. Franco Battiato, siciliano nativo di Ionia, se n’è andato all’età di 76 anni, a Milo dove viveva. Esploratore del mondo della musica, che ha attraversato partendo dal pop degli anni 60, ma lasciando il segno successivamente, in ogni ambito che ha amato praticare. Avanguardia, sperimentazione, musica etnica, popolare e colta allo stesso tempo. Da Stokhausen al sufismo, dall’elettronica alla lirica, arricchendo la sua arte con la pittura e il cinema. E con i molti incontri che hanno caratterizzato e influenzato la sua musica, stimolandolo anche al ruolo di Pigmalione per giovani talenti. La collaborazione con il filosofo Manlio Sgalambro, il legame artistico intenso con Alice, Milva, le canzoni condivise con il Banco del Mutuo Soccorso (Imago mundi) e la PFM (Bandiera bianca, Impressioni di settembre in una sorta di scambio omaggiante), la partecipazione al capolavoro di Enzo Avitabile, Black Tarantella (il brano No è no).
Franco Battiato è stato una delle figure supreme e imprescindibili della musica italiana, dimostrando come sia possibile unire mirabilmente il colto e il popolare. Ha fatto canticchiare testi impossibili, ha scritto brani dalle parole complicate cantandoli con musiche non semplici ma immediate, leggere per la facilità con cui entravano nella pelle e nella testa del pubblico.
Sarebbe lunghissimo l’elenco delle sue canzoni più celebri del periodo in cui è diventato un musicista anche di enorme successo commerciale, pur senza essere commerciale: il massimo.
La cura è diventato un brano universale, coverizzata da molti, canzone del cuore per il popolo televisivo, ereditando ciò che per decenni era stata Questo piccolo grande amore di Claudio Baglioni. Non è da meno E ti vengo a cercare

Per voi giovani, la radio fece conoscere Pollution e Clic

Come spesso mi accadeva, quando ho iniziato ad ascoltare e apprezzare Battiato, non trovavo amici con cui condividere il mio entusiasmo. Per voi giovani, la storica trasmissione radiofonica della Rai, aveva fatto prendere confidenza con l’album Pollution, uscito a fine 1972. Areknames (il titolo letto alla rovescia dà Semankerà), Pollution, Il silenzio del rumore, Ti sei mai chiesto quale funzione hai?, Plancton divennero il mio fiore all’occhiello di ascoltatore che voleva andare oltre la musica leggera.
Il bullone sul limone spremuto, simbolo dell’inquinamento e di una copertina significativa. Poi l’immagine di un Battiato giovane e occhialuto, quasi una maschera, con il suo volto sulla croce. Suoni che apparivano nuovi, arditi eppure affascinanti, quasi ad anticipare la fusione tra l’elemento difficile e una melodia accattivante. Allora era con l’elettronica, in seguito sarebbe stata un’immersione totale, contaminata e vincente.
Il secondo suo album che presi appena uscito fu Clic, probabilmente da Millerecords, storico negozio romano di dischi in via dei Mille appunto, di fronte alla Banca d’Italia dove anni dopo avrei preso i miei primi stipendi di insegnante, a un centinaio di metri dalla sede del Corriere dello Sport dove avrei vissuto oltre 40 anni di giornalismo.
Una copertina semplicissima, bella: un foglio bianco quadrettato con in testa il titolo dell’album e in basso il suo nome. I cancelli della memoria, No U Turn e Propriedad proibida erano i miei brano prediletti, con i sintetizzatori e i bassi esaltati dall’impianto hi-fi, fino ad estinguersi in Ethika Von Ethica, una sperimentazione della durata di poco meno di quattro minuti, che suonava come la ricerca di stazioni radio AM: voci, suoni, lamenti che sembravano casuali, passaggi appunto di una ricerca radiofonica.

I pomodori di Cappadocia

In quel periodo trascorrevo parte delle mie vacanze estive in Abruzzo, a Rosciolo dei Marsi ai piedi del Monte Velino. Quando seppi che Franco Battiato avrebbe tenuto un concerto a Cappadocia, nell’ambito delle feste di paese che tanto andavano allora, con entusiasmo insistetti con i miei genitori per andarci. E così con padre, madre e sorella, andai trepidante a Cappadocia. Il palco era collocato in una piazzetta, da cui si diramavano stradine paesane anche in salita. Iniziò il concerto, cominciò la musica, quella musica così diversa e lontana dai gusti del pubblico locale di Cappadocia. Non ci volle molto perché una parte della folla a dir poco contrariata, per non dire ignorantemente inferocita, cominciò a passarsi voce di andare in casa a rifornirsi di pomodori da tirare sul palco. Battiato era vestito di bianco e un pomodoro gli arrivò addosso lasciando una vistosa macchia rossa. Mentre stava per scatenarsi il burrascoso imprevisto, anche preoccupati per la nostra incolumità, papà e mamma dettarono la ritirata, con mia somma delusione e una tonnellata di improperi che lanciai indignato alla parte così musicalmente ignorante di Cappadocia.

Con il cinghiale bianco verso il successo

Pensare che la sua casa discografica era riottosa a pubblicare L’era del cinghiale bianco fa capire come anche allora nella musica c’era gente che poteva non saper fare il proprio mestiere, era possibile commettere clamorosi errori. Fondamentale l’incontro con Giusto Pio, che gli insegnò a suonare il violino e segnò un periodo importante definendo il suono di Battiato. I primi grandi successi di una discografia che lo ha visto incidere trenta album in studio e otto dal vivo, oltre alle quattro colonne sonore e alle molteplici collaborazioni. Le contaminazioni diventarono così il suo marchio di fabbrica passando dall’Era del cinghiale bianco a Patriots e al vendutissimo La voce del padrone.
Più sofisticato il rapporto col filosofo Manlio Sgalambro, che partorì tra l’altro uno degli album più difficili, L’ombrello e la macchina da cucire, ma poi anche il grande successo de L’imboscata, l’album che conteneva La cura. Non c’è album di Battiato che non meriti, in ogni periodo della sua vita artistica. Nel 2012 il suo Apriti Sesamo, fulminante nei testi e nella musica, colto e bellissimo, come le sue opere migliori.
Talvolta si dice a sproposito, ma la scomparsa di Franco Battiato è davvero una perdita immensa per la musica e per la cultura italiana. Nel momento dell’addio tornano alla mente le parole della sua No u turn: Ho dormito per non morire. Ecco, se Battiato ha iniziato il suo sonno eterno, la sua musica non morirà mai.

La copertina di Pollution
La copertina di Pollution

Il testo di Pollution

  Esemplificativo del coraggio di sperimentatore del Battiato prima maniera, quando abbandonò le velleità pop per tuffarsi nell’avanguardia. Leggendo il testo di Pollution ci si rende conto dell’audacia dirompente che quel Battiato aveva, anche a costo di andare incontro alle reazioni inurbane di quella parte di pubblico che non era pronto alle sue provocazione. Queste parole Battiato le cantava…

 La portata di un condotto
è il volume liquido
Che passa in una sua sezione
Nell’unità di tempo:
E si ottiene moltiplicando
La sezione perpendicolare
Per la velocità che avrai del liquido.
A regime permanente
La portata è costante
Attraverso una sezione del condotto.
Atomi dell’idrogeno
Campi elettrici ioni-isofoto
Radio litio-atomico
Gas magnetico.
Ti sei mai chiesto quale funzione hai?

Pollution, Franco Battiato
Pollution
La copertina di Clic, Franco Battiato
La copertina di Clic, Franco Battiato

No u turn, il testo

Per conoscere
Me e le mie verità
Io ho combattuto
Fantasmi di angosce
Con perdite di io
Per distruggere
Vecchie realtà
Ho galleggiato
Su mari di irrazionalità
Ho dormito per non morire
Buttando i miei miti di carta
Su cieli di schizofrenia

Leandro De Sanctis

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