VOLLEY La memoria perduta: chiedi chi era Kiraly…

Mi piace pubblicare anche sul mio blog l’interessante intervento di Mario Salvini in merito ad uno scambio di opinioni apparso su Facebook dopo un post di Roberto Santilli, allenatore della Andreoli Latina. Oggi che si vorrebbe un’informazione a senso unico (il proprio) trovo invece stimolante il confronto di opinioni, sempre meglio del più comodo silenzio che consente ad ognuno di farsi gli affari propri senza che ne ne parli, nel disinteresse che copre ogni magagna.

Chiedi chi era Kiraly

Mercoledì sera Latina ha giocato a Ravenna.
Presumibilmente prima della partita, il suo allenatore, Roberto Santilli, su Facebook ha messo le coordinate del Pala de André e ha scritto. “e i miei ragazzi non sanno chi giocava qui negli anni ’90”.
Ne è seguito dibattito.
Qualcuno ha provato a giustificare gli ignari giocatori del Latina: “Non erano neanche nati”, quando lì ci giocava il Messaggero di Kiraly, di Timmons, di Vullo, Gardini, Masciarelli e Margutti”.
Ma è evidente che non può essere solo una questione anagrafica. Leandro De Sanctis del Corriere dello Sport ha risposto: “Oggi i ragazzi ascoltano ancora i Beatles e i Pink Floyd”. Se non sanno nulla del Messaggero di Ricci non può esser solo “perché non erano ancora nati”.
“Si è persa la cultura del sapere chi c’è stato prima
– ha scritto sempre Leandro – Si gioca e basta. Capita anche in altri
sport. Non sottovaluterei l’aspetto che si riflette sugli spazi
mediatici. Non c’è interesse a leggere, nemmeno da parte di chi è protagonista”.
Che è triste e molto probabilmente vero. Ma temo non sia nemmeno tutto.
Da un po’ penso che il fenomeno sia proprio una peculiarità della pallavolo. E non solo perché i giocatori di B-1, B-2, C, Divisioni varie e Csi al palazzetto a veder la serie A non ci sono mai andati. E’ che la pallavolo non ha memoria perché non è mai stata capace di costruirsi quell’aura mitica che invece è molto del successo di altri sport. Del rugby, dei suoi caps e dei suoi racconti, per esempio. Del baseball e delle sue statistiche. Del calcio, quello inglese più degli altri.
Il calcio italiano è da un po’ che la va annacquando, la sua epica: da quando per quasi tutti i media è diventata tutta una questione solo di Juve-Milan-Inter. E Cagliari-Milan è un inutile riempitivo da qui al prossimo derby.
La pallavolo non colloca mai, o quasi mai, i suoi eventi in rapporto con la storia. L’impresa raramente ha termini di paragone nel passato. Può succedere a volte quando si parla di nazionale, anche se la Generazione dei Fenomeni, con tutti i suoi successi, è un confronto troppo arduo.
Sul fronte dei club nulla. E’ già bello se ci ricordiamo quel che è successo quattro o cinque anni fa.
Fa eccezione la Polonia, dove in questi anni hanno
ripetutamente organizzato le finali di Champions, e ogni volta su
giornali e brochure vari c’era la storia del Plomien Milowice di Alexander Skiba, e cioè dell’unica volta che un club polacco ha vinto la Coppa dei Campioni, nel 1978. Per inquadrare la questione, e dare già la dimensione storica dell’impresa auspicata per il Belchatow. E’ anche così che si gasa il pubblico. Che guarda caso in Polonia è il più gasato del mondo.
La colpa è anche di noi che la pallavolo la raccontiamo, quindi.
Anche se poi tutta una serie di fatti contingenti non aiuta. La non continuità dei club, per esempio. Solo Modena resiste negli anni, tutto il resto della serie A-1 è un turnover. Non esistono veri derby. La rivalità più classica forse è Macerata-Cuneo che si gioca da nemmeno 20 anni ed è tale da meno di dieci.
E’ proprio che spesso non esiste un tempo in cui collocare un’impresa: semplicemente perché i club che le compiono non hanno retroterra né riferimenti.
Su scala nazionale il pubblico della pallavolo è più di appassionati che di tifosi.
Nel senso che nelle varie piazze ci sono alcune centinaia di
encomiabili (e spesso ottimi) fedelissimi, qualche migliaio di tifosi e stop. Difficile immaginare tifosi di Trento, Macerata e Cuneo al di fuori di Trento, Macerata e Cuneo. Qualcuno ci sarà, ma sospetto non tanti.
Che ci siano più appassionati che tifosi è anche un bene. E’ una delle ragioni (non l’unica) per cui nei palazzetti del volley non si vedono e non si sentono le schifezze di altri sport, non solo del calcio. Ma un po’ più di passione sarebbe d’aiuto a dare un contorno un po’ più emozionante al tutto. E dunque più memoria.
Poi è persino una questione di marketing: molti club non hanno un vero marchio (che non sia lo stucchevole pallone stilizzato) né un simbolo. Tutti o quasi hanno magliette inguardabili, a cui è francamente impossibile dare alcun valore affettivo. I modenesi hanno la continuità del giallo. Macerata e Piacenza ci stan provando con tazebao biancorossi. Cuneo come per incanto da blu è diventata verde.
Così diventa difficile associare l’emozione di oggi al ricordo di
suggestioni passate. Quel Ravenna là, Parma, Padova, Torino, Catania,
Firenze sono storie totalmente scollegate dal campionato di oggi. E la pallavolo sembra uno sport di smemorati.

Leandro De Sanctis

Torna in alto