Amadeus e Sanremo, si spera sia l’ultimo atto

Amadeus e Sanremo, si spera sia l’ultimo atto.
Penso di avere l’atteggiamento giusto nei confronti del Festival di Sanremo, retaggio sentimentale degli anni ’60, quando per un bambino era una delle rare occasioni di ascoltare musica in tv, oltre al Disco per l’estate e a Canzonissima. C’era solo quella musica, perché il pop, il rock poi arricchitosi anche del prog ( salito in testa alla graduatoria dei miei gusti musicali), non erano ancora esplosi compiutamente.
Non coltivo lo snobismo (se non piace non lo guardare. E soprattutto evita di parlarne), perché non è un reato stare sulla notizia, capire una certa Italia anche dal genere di televisione che si confeziona, spesso puro trash anche in occasione del Festival di Sanremo. La principale accusa di tradimento, nei confronti della musica, anche della musica di oggi, è che il Festival di Sanremo è più che altro un grande contenitore televisivo, non più una rassegna musicale, spesso svilita dal contorno e dagli aggettivi sproporzionati e sostanzialmente inutili. Dopo una visione e un ascolto parziale, credo sia possano già trarre indicazioni di giudizio per affermare che sarà cosa buona e giusta se la conduzione di Amadeus si concluderà con questa edizione, dopo cinque anni.


Amadeus e Sanremo | Finalmente l’ultimo atto

Forse nella consapevolezza di essere direttore artistico e conduttore per l’ultima edizione del quinquennio, Amadeus stavolta non si è tenuto, ha reciso i freni inibitori che spesso salvano dal ridicolo e insieme con il suo inseparabile (S)Fiorello ha decisamente tracimato, nella quantità e nel trash. Avesse avuto il senso della misura avrebbe potuto concludere il suo mandato quinquennale vantandosi di aver portato alla ribalta tanti giovani musicalmente sconosciuti, svecchiando sostanzialmente il panorama, nel tentativo o nell’illusione di catturare l’attenzione del pubblico più giovane, sintonizzato più sulla trap che sulla musica definita leggera. Ma in queste prime interminabili serate sanremesi ha toccato il fondo con l’ormai celeberrima e spernacchiatissima ospitata di John Travolta, il fu Saturday night fever e Grease coinvolto nell’imbarazzante Ballo del qua qua (ma senza cappello da papera e con bianchissime scarpe da spot occulto) e preso in giro perfino da Russell Crowe, che almeno ha cantato.
Sono tra coloro che non hanno mai compreso il senso di spendere ricchi ingaggi per attori che col Festival c’entrano come i cavoli a merenda, anche quando si sceglieva la strada dell’intervista, mai profonda e interessante anche a causa della traduzione obbligata, dato che in Italia nemmeno i conduttori sanno parlare e comprendere l’inglese se si va oltre il nice to see you. E soprattutto perché servono giornalisti per fare interviste. Meglio se non televisivi.
Quando poi si mette in scena una trasmissione di circa sette ore e a mezzanotte mancano ancora venti canzoni da far ascoltare, gli ospiti e i siparietti finti come monete da tre euro sembrano decisamente inutile zavorra. Aggiungiamo gli spot dei prossimi programmi di Rai1 veicolati dagli attori e si ha il senso del ridicolo e di rimpianto per il Festival che fu.
Pubblicità a gogò e va bene che fa guadagnare, ma quando si esagera lo spettatore può anche stancarsi. Non bastano gli spot ossessivi in video per far sapere e ricordare ai telespettatori ciò che si vedrà su Rai1? Servono anche le presenze sul palco, dal cast di Mare Fuori a Sabrina Ferilli per Gloria? Il guaio è che tutta questa zavorra va a nocumento delle canzoni, che dovrebbero essere il cuore del Festival.

Atti d’accusa al Festival di Sanremo di Amadeus

Il napoletano da Nino D’Angelo a Geolier. E quel titolo…

p‘ metu p‘ te è il titolo della canzone presentata da Geolier. Fingendo che il Festival sia una cosa seria, va smontata l’affermazione che per far cantare Geolier un brano in napoletano si sia cambiato il regolamento del Festival della Canzone italiana. Sanremo è in effetti il Festival della canzone italiana, ma il dialetto (o la lingua) napoletano è salito già varie volte sul palco, spesso con canzoni dal testo misto, un po’ in napoletano e un po’ in italiano. Perché dire che si è cambiato il regolamento quando non è vero?
Geolier ha portato un testo completamente in napoletano. Fior di artisti napoletani in passato hanno partecipato, sia cantando in dialetto che in italiano: musicisti di spessore come Peppino Di Capri, Enzo Avitabile, Nino D’Angelo (in gara cinque volte: ‘A Storia ‘e nisciuno, Jammo jà, Marì, Vai, Senza giacca e cravatta).
Ma la cosa curiosa è anche un’altra. Il brano di Geolier si intitola p‘ metu p‘ te. Ebbene, sapevate che nel 2001 l’album di Nino D’Angelo intitolato Terra nera conteneva una canzone intitolata Tu pe’ me io pe’ te? Una specie di anagramma del titolo di Geolier…Quando si dice ‘a fantasia…

Amadeus a Sanremo |
Trenta canzoni, oltre 5 ore, e il Festival annoia

Il Festival di Sanremo come la Serie A di calcio: si aggiungono le squadre per avere più partite in tv e maggiori introiti. Dalle 16 squadre fino alle 20 odierne nel campionato di calcio. Ma con Amadeus è accaduta la stessa cosa al Festival di Sanremo. Nel 2018 in gara 20 canzoni, salite a 24 l’anno dopo e mantenute nel 2020, prima edizione con Amadeus direttore artistico. Che nelle edizioni successive è salito a 26, 25 e 28 canzoni del 2023, fino alle 30 di quest’anno. Una gara su cinque serate con trenta canzoni in gara avrebbe dovuto essere snellita a livello di ospiti, perché che senso ha far esibire artisti nelle prime ore del mattino, dopo oltre cinque ore di trasmissione? Se si crede ai dati Auditel c’è una fetta di pubblico che resta incollata alla tv (ma non si sa se sveglia o addormentata) fino alla fine, ma decisamente inferiore a quella che segue fino alla mezzanotte. Inoltre spezzare il ritmo genera noia, specie se ciò che interrompe il flusso della musica è così inutile e così trash. Come se non bastasse, c’è l’occupazione totale con il prima il dopo e il giorno dopo del Festival sulle reti televisive. Chi ama il trash e questo genere di tv, ci sguazza e trova pane per i suoi denti. Una full immersion che ha perfino indotto Netflix a uno spot ironico in cui più o meno si dice: Lo sappiamo che state guardando altro, ma poi tornate da noi.

Amadeus a Sanremo |
La maleducazione ridicola degli occhiali scuri: da proibire

Personalmente sono contro quasi ogni tipo di divieto e soprattutto di censura. Ma vedere in prima seconda e terza serata tv (ma anche nei vari programmi della giornata) artisti indossare occhiali neri che coprono occhi e viso è diventato insopportabile. Si vergognano di farsi vedere? Stessero lontani dal Festival allora… E’ segnale di autentica maleducazione presentarsi a cantare o a parlare con gli occhiali scuri in volto, come fanno Dargen D’Amico e Gazelle, ad esempio. Poi ognuno sfodera le sue motivazioni. Ma non è certo un gradevole spettacolo.

Amadeus a Sanremo |
Regia vorticosa e mal di mare tv

Sono tra coloro che detestano il montaggio iper veloce di certo cinema, di certa pubblicità, di certi video musicali: mi piacerebbe godere di uno o due secondi in più per fissare un’immagine. Nel Festival di Sanremo quei carrelli avanti e indietro e a vortice avvolgente che la regia adotta, mi risultano respingenti, irritanti come un viaggio su un traghetto con mare forza 9. Preferirei poter vedere e non inseguire il frame di un abito, di un dettaglio, di un’espressione.

Amadeus a Sanremo |
Da traguardo a trampolino di lancio

C’era una volta il Festival di Sanremo dove in genere si arrivava quando si era raggiunta una certa notorietà. Ora è tutto diverso, si può arrivare sul palco dell’Ariston da perfetti sconosciuti o quasi e spiccare il volo per una celebrità a volte effimera altre duratura. Spinti dalla case discografiche che decidono chi promuovere. Dai festival che facevano vendere dischi e cd, ai festival di Amadeus e delle visualizzazioni, in anni in cui la musica è diventata liquida e si è gratificati da dischi d’oro e di platino senza quasi aver venduto copie. Senza dimenticare la dittatura delle case discografiche che impongono ciò che vogliono, indipendentemente dalla qualità. Si arriva a Sanremo a volte per bravura, ma spesso anche per altri canali. Contano i soldi, gli agganci. Non ci sono più i discografici a cui si poteva inviare la propria musica per farsi conoscere. Chissà quanti altri giovani non hanno nemmeno la possibilità di essere valutati, anche se fanno rap o trap che Sanremo ha finto di sdoganare.

Amadeus a Sanremo |
Le canzoni in fotocopia e le “SFiorellate”

Ascoltando certe canzoni si ha in alcuni casi l’impressione che si cantino brani in simil copia, con arrangiamenti che ne ricordano altri che hanno avuto un certo riscontro. L’impressione del già sentito è notevole a volte. E non si tratta più della classica canzone sanremese, è altro.
E poi ci sono ancora le “SFiorellate”. Gli interventi di Fiorello che sa essere a volte divertente ma che negli ultimi tempi cade spesso a livelli davvero bassi. Non fa più ridere, anzi annoia. Fa ridere solo Amadeus (e famiglia). Eppure tanta gente stravede ancora per lui, anche se più passa il tempo e più quello che fa convince solo i palati superficialotti che faticano a distinguere la qualità comica dall’esuberanza da animatore di villaggio turistico (detto senza offesa per gli operatori del settore). Ricordando certi suoi spettacoli di varietà, quelli si di qualità, è inevitabile pensare che quando si arriva ad avere un altissima considerazione di se stessi e di tutto cià che si fa, non si riesce più a distinguere il gioiello da un frutto scaduto.

Amadeus, basta con gli straordinari

Sono tra coloro che se ne infischiano dei milioni di copie e di streaming con cui Amadeus introduce quasi ogni ospite o cantante. E soprattutto non si può più sentir definire straordinario ogni artista. La parola dovrebbe essere cancellata dal gobbo e dai cartoncini che Amadeus legge ogni sera. Se tutti sono straordinari, una parola che andrebbe centellinata per conservare valore, forse alla fine nessuno lo è davvero. Ma non ditelo ad Amadeus. A cui piace farsi chiamare Ama, probabilmente ignorando che a Roma l’Ama è l’azienda che si occupa della spazzatura.

Leandro De Sanctis

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