CINEMA L’avenir – Le cose che verranno

 

L’AVENIR – Le cose che verranno. Regia: Mia Hansen-Løve. Interpreti:  Isabelle Huppert, Edith Scob, Roman Kolinka, André Marcon, Marion
Ploquin, Sarah Le Picard, Solal Forte 
 Perchè L’avenir alla fine non lascia soddisfatti come si si aspettava ognun lo metterà a fuoco parlandone, rivivendo l’atmosfera globale in cui la storia si svolge. Il titolo italiano, Le cose che verranno, traduce ma non rende ciò che si vede, a meno che non si intenda retrodatare e le cose che verranno erano quelle che ci si aspettava fossero in gioventù, gli ideali che si trasformano in realtà, i pensieri che si adeguano. 
Per certi versi il film ricorda le opere di Rohmer, ma poi nella sostanza non esplica, non dispiega le ali dalla semplicità repressa di personaggi dall’elettrocardiogramma emotivo piatto. Se il film è costruito sull’interpretazione di Isabelle Huppert, a cui ormai si chiede freddezza, implosione, contenimento espressivo e dialettico, penso si corra il forte rischio di manierismo. Il modello è quello di Elle, l’altro film della Huppert attualmente nelle sale italiane, ma quel film aveva ben altra vivacità e spessore, aveva un senso diverso e preciso. Assai più stimolante e articolato, reattivo.
L’avvenire della professoressa Huppert è una serie di perdite, per motivi diversi le sue certezze, le sue consuetudini si dissolvono: i tempi cambiano, le idee mutano, anche i rapporti amorosi peraltro vissuti senza troppa passione, quasi un dovere. E non c’è differenza tra il reclutamento e l’assistenza degli studenti (altro che scioperi per le pensioni…), l’accorrere dalla madre anziana, sola, capricciosa e malata, il preparare pranzi e cene per un marito altrettanto distante, per figli i cui caratteri non lasciano trapelare un vero affetto, preoccuparsi per un gatto a cui dice di essere allergica (ma chissà se è vero?).
La scintilla di passione, comunicata allo spettatore ma soffocata e trasformata nella realtà, è viva solo nel rapporto rimasto con lo studente prediletto, futuro scrittore alternativo, anche nei fatti, nelle scelte di vita. Un interesse composto, soffocato, forse represso, o forse no. Anche lui però si trasformerà in un ideale perduto, la stima di un tempo diventa critica e filosofico disprezzo. 
Ma la professoressa Huppert, che insegna Filosofia, vive tutto come se non la riguardasse, senza palpitazioni, ritrovandosi imprigionata in una claustrofobia sentimentale e non solo, che le impedisce di liberare stati d’animo, delusioni, rancori. 
Marito, casa editrice, madre, figli, studente ammiratore che si trasforma in critico: come si fa a definire libertà l’avvenire che ha accolto la professoressa Huppert? Così algida, così fredda nelle sue manifestazioni emotive: due lacrime, un piantarello soffocato e si riparte. Più libera? Più che altro senza legami e, in apparenza, senza stimoli. Nemmeno uno splendido gatto nero dagli occhi brillanti riesce a scuoterla, come se in realtà restare senza legami non sia sufficiente a donarle la vera libertà.

Leandro De Sanctis

Torna in alto