Rifkin’s Festival | Recensione

Rifkin’s Festival | Recensione. Il film girato da Woody Allen nel 2019 arriva sugli schermi con un anno di ritardo, causa pandemia e causa l’ingiusto e ipocrita ostracismo che gli Stati Uniti hanno riservato al regista, accusato ma sempre assolto dalla infamanti accuse che lo hanno accompagnato negli ultimi anni. Chi ha letto la biografia di Allen, mai contestata da nessuno dei personaggi chiamati in causa, conosce bene le menzogne e la storia. E i verdetti dei giudici, non certo compiacenti, sono lì a dimostrarlo.
Rifkin’s Festival non è un film per giovani. Troppo cinematograficamente colto per lo spettatore privo di un consistente bagaglio cinematografico, perché uno dei punti di forza del film è costituito dalle citazioni rivisitate dei suoi registi prediletti. Gli autori di quel cinema europeo che ribaltò gli obbligatori finali edulcorati del cinema hollywoodiano.
Rifkin’s Festival è un film minore di Woody, meno infarcito di battute irresistibili, anche se non mancano, ma ha un suo valore, pur percorrendo sentieri ormai arcinoti per il regista newyorchese. Il malinconico e stanco bilancio di un artista 85enne che rilegge ciò che è stato, la sua carriera e i suoi amori, avviandosi verso l’epilogo della sua avventura con fervida immaginazione e tanti rimpianti. Un po’ lucido e un po’ no.
Il suo alter ego, l’attore Wallace Shawn, si immerge nel suo rapporto con le donne che lo fanno soffrire, vive quasi da surreale spettatore la comica ipocrisia che avvolge ormai il suo matrimonio esaurito. E si lascia irretire come un bambino dalla scintilla follemente senza speranza che lo accende nel momento in cui incontra la dottoressa Rojas (l’attrice Elena Anaya). La seduta psicanalitica che incarta il film, ambientato in Spagna, a San Sebastian, aprendolo e chiudendolo, esplicita la condizione dolente di un uomo ormai maturo e inevitabilmente attratto dalla rilettura anche dolorosa di ciò che ha vissuto. Una situazione in cui è facile modellarsi se si è portati ad andare oltre l’attimo presente, se si cede alla malinconia di un passato ormai immutabile e spesso intriso di rimpianto o rammarico che sia. Ma chi non ha confidenza con queste tematiche, con la psicanalisi e con l’introspezione, può restare alla larga dal Festival di Rifkin, che è una linea definitiva tracciata a sancire la fine delle illusioni. Andando avanti negli anni, Woody invecchia anche insieme con il suo pubblico più affezionato e ripropone il suo cinema aggiornandolo con l’età e una sensibilità che accomuna lo sguardo di chi dirige allo sguardo dello spettatore.

Le citazioni di Woody nei sogni di Mort Rifkin

Gli appassionati di cinema che sono stati giovani taanto tempo fa riconosceranno le citazioni cinematografiche dei maestri amati da Woody Allen. Quanto il protagonista sogna, rigorosamente in bianco e nero, passiamo da Fellini a Truffaut, da Welles a Buñuel Bergman. I film riconoscibili sono , Citizen Kane (Quarto potere in Italia), Jules et Jim, L’angelo sterminatore, Il settimo sigillo, Persona, Il posto delle fragole, le cui scene vengono riproposte passando per i pensieri e le emozioni dell’attempato protagonista. Notevole il frammento che omaggia Il settimo sigillo, con Christoph Waltz nelle vesti nere della morte.

Rifkin’s Festival, la scheda

RIFKIN’S FESTIVAL – Stati Uniti-Spagna-Italia, 2020. Durata 93 minuti. * visto in versione originale con sottotitoli.
Regia: Woody Allen
Interpreti: Wallace Shawn, Gina Gershon, Louis Garrel, Elena Anaya, Sergi Lopez, Christoph Waltz, Steve Guttenberg.

Leandro De Sanctis

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