Le otto montagne | Recensione film

Le otto montagne | Recensione film. Semplicemente un bel film, tratto fedelmente da un bel romanzo di Paolo Cognetti. Un film da festival, verrebbe da osservare (Premio della Giuria al Festival di Cannes), ma il fatto che sia uscito in sala durante il periodo natalizio è un incoraggiante segnale. Nel momento in cui la pandemia ha fatto conoscere ed estendere l’appeal delle piattaforme in streaming, puntare sulla qualità per portare lo spettatore al cinema è un segnale positivo. Al biglietto del cinema, che a Roma nei festivi e nei serali è salito anche a 9,50 euro, vanno aggiunti i costi non marginali del parcheggio. Insomma, deve valere la pena spostarsi e spendere per un film.
Ecco, Le otto montagne vale la spesa e l’impresa. Alla sorpresa dello schermo in 4:3 ci si abitua in fretta: i registi belgi van Groeningen e Vandermeersch hanno spiegato di voler ricreare la verticalità della montagna, ma anche tra i monti lo sguardo si apre…in 16:9 e non mi è parso sostanziale per godere del film.
Moderno e antico al tempo stesso, semplice ma profondo nel porre interrogativi e riflessioni senza voler dare risposte. Siamo in Val d’Aosta, una famiglia torinese (padre Filippo Timi, madre Elena Lietti: molto bravi) affitta una casa per l’estate in un piccolissimo paese: tra il figlio Pietro e l’unico bambino del paese, Bruno, nasce subito amicizia, un legame di quelli che uniscono il bambino di città con quello di montagna o campagna che sia. Un’amicizia fatta di corse a perdifiato e di scoperte, tra gli animali e i boschi, silenzi e parole. Il film utilizza la loro amicizia, che dopo una lunga pausa tra l’adolescenza e la maturità, torna a crescere salda come nell’infanzia, pur nelle diversità. per offrire riflessioni di varia natura.

La montagna e le scelte di vita

Pietro (Luca Marinelli) e Bruno (Alessandro Borghi), in comune la ribellione al padre che diventa scintilla di scelte esistenziali alla ricerca di se stessi. Famiglia benestante e famiglia povera, l’irrequietezza prende strade diverse tra chi pensa di poter vivere solo in montagna, nel luogo dove è nato e di non saper fare altro (Bruno) e chi cerca le risposte nel mondo, fino in Nepal, fino alle otto montagne del titolo (s’impara di più conoscendole tutte o restando sul monte più alto senza mai muoversi?).
Le otto montagne si avvale di una sceneggiatura essenziale, poche parole ma sguardi e intese mute, condite d’ironia. E poi i suoni della montagna, il chiodo battuto nelle travi, l’acqua che scorre, i passi faticosi nella neve morbida, il latte munto nella stalla, il formaggio e il vino, una sega elettrica che taglia il legno, il fuoco crepitante del caminetto in un rifugio con poca luce, frutto di candele e dell’ingegno del montanaro intelligente.
Alessandro Borghi e Luca Marinelli sono interpreti di qualità, capaci di catturare empaticamente. In una delle scene in cui a dialogare non sono solo i due protagonisti, Bruno corregge energicamente gli amici cittadini di Pietro estasiati dalla bellezza della natura: “La natura non esiste. E’ un concetto astratto, buono per chi vive in città. Per la gente di montagna esistono il bosco, l’albero, il fiume, il sentiero”. Tra le scelte esistenziali dei due amici ritorna la figura del papà di Pietro, alpinista appassionato per una settimana l’anno ma vissuto in città e caratterialmente più vicino a Bruno nei lunghi anni della lontananza dal figlio, al quale potrà lasciare solo un’amara e tardiva eredità colma di rimpianti.
So che il finale fa molto discutere, anche per la scelta di non dare risposte certe alle domande che il romanzo e il film suscitano. Senza voler rivelare nei dettagli, dirò solo che voto per una scelta non accidentale.

Le otto montagne

LE OTTO MONTAGNE – Italia, Francia, Belgio, 2022 Durata 142′. Tratto dal romanzo omonimo di Paolo Cognetti.

Regia: Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeersch.
Interpreti: Luca Marinelli, Alessandro Borghi, Filippo Timi, Elena Lietti.
Musiche: Daniel Norgren.

Leandro De Sanctis

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