The Old Oak | Recensione film di Ken Loach

The Old Oak | Recensione film di Ken Loach.
La rassegna Cannes Mopn amour, a Roma ospitata dai cinema Giulio Cesare e Quattro Fontane ha consentito agli appassionati romani (ma anche a Milano, Torino, Bologna e Firenze) di vedere alcuni tra i film presentati nella scorsa primavera alla rassegna francese. Non so quante delle proposte arriveranno poi sugli schermi italiani, quanti dei film che ho visto troveranno distribuzione (Fallen leaves di Aki Kaurismäki, Premio della Giuria; About dry grasses di Nuri Bilge Ceylan, Palma alla Miglior attrice a Merve Dizdar, Perfect days di Wim Wenders, Palma al Miglior attore a Koji Yakusho, May December di Todd Haynes) ma sicuramente ci sarà The Old Oak, l’ultima opera dello straordinario regista inglese Ken Loach, 87 anni e una carriera dedicata a raccontare la vita e i problemi delle classi sociali più povere, di lavoratori sfruttati, delle vittime di ingiustizie varie.
Ken Loach anche in The Old Oak (è il nome del pub, La vecchia quercia, della località mineraria dell’Inghilterra del nord, non lontana da Durham dove c’è la cattedrale mostrata nel film, dove si svolge uno dei momenti più significativi della sceneggiatura magistrale di Paul Laverty. Ce ne sono vari di momenti clou, dialoghi che esprimono il pensiero di Ken Loach e della parte sana del suo Paese, non immune dal razzismo e dai guasti che hanno spaccato la vita e il mondo del lavoro allargando oltre ogni limite morale la forbice tra chi si arricchisce e chi è sfruttato e sottopagato (nel caso riesca a trovare lavoro).
The Old Oak prende spunto dall’arrivo di un gruppo di rifugiati siriani in fuga dalla guerra: donne, bambini, uomini. Il razzismo dei residenti più chiusi e beceri emerge immediatamente e genera ciò che si può facilmente immaginare in quest’epoca di ignoranza populistica e sostanzialmente povera intellettualmente. Il gestore del pub, duramente provato dalla vita, è l’ago umano della bilancia che catalizza la parte sana del luogo, perché nonostante tutto il marcio che vediamo, Ken Loach non rinuncia all’ottimismo (“Metà del Paese è ancora sano”, osserva TJ Ballantyne, il gestore del pub interpretato da un fantastico Dave Turner).
E poi c’è il ruolo fondamentale assegnato alla memoria, alla storia pubblica e privata che s’intreccia e funge da ponte tra il passato e il presente. Memoria espressa dalle fotografie: quelle antiche dei tempi delle miniere, quelle di oggi che scatta la profuga siriana, che conosce e parla la lingua inglese (sempre prezioso potersi esprimere anche una in lingua diversa dalla propria). E proprio l’episodio della macchina fotografica distrutta che apre il film ha un potente valore simbolico: il razzismo e l’ignoranza che con violenza vogliono distruggere radici e sensibilità umana, la possibilità di conservare, preservare e continuare a illustrare volti, vite, sentimenti, situazioni, dalla Siria all’Inghilterra in questo caso.
The Old Oak è un film imperdibile, che andrebbe mostrato nelle scuole per alimentare pensieri migliori. E chi ha scritto che la sceneggiatura è sbilanciata dalla parte degli oppressi rifiutati dall’intera comunità, forse non ha visto il film, perché è vero il contrario. Come dimostra il film, che offre anche un finale significativo ed emozionante. Ed è stato bello vedere una sala cinematografica stracolma per un film in lingua originale, con tanto di applausi scroscianti sui titoli di coda, come davvero si fosse a un Festival.

The Old Oak

THE OLD OAK – 2023 Francia Gran Bretagna Belgio. Durata 113′. Versione originale.
Regia: Ken Loach
Interpreti: Dave Turner, Ebla Mari, Debbie Honeywood, Reuben Bainbridge, Chris Gotts, Rob Kirtley, Andy Dawson, Lloyd Mullings
Sceneggiatura: Paul Laverty.

The Old Oak (La vecchia quercia), il film di Ken Loach. La scena iniziale con l'insegna del pub.
The Old Oak

Leandro De Sanctis

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