VOLLEY Ciao Adelio, caro “zio” Brontolo ora se mi serve qualcosa non posso più trovarti

La notizia, triste e
dolorosa, prima di tutto, come buona regola giornalistica. Stamane Adelio
Pistelli ha dovuto lasciare il mondo dei suoi amatissimi affetti, la moglie
Silvana, la figlia Roberta, la nipotina Consuelo ed il suo cagnolino jack
russell. Aveva 65 anni, essendo nato ad Ancona il 27 maggio 1950, ed ha vissuto
la sua vita a Falconara, prima nell’Aeronautica, poi come giornalista
specializzato nel suo sport prediletto, la pallavolo. 
E’ stato firma
pallavolistica del Resto del Carlino e del Corriere Adriatico, ultimamente collaboratore del sito di Lorenzo Dallari, Dallarivolley, ma soprattutto
per circa 25 anni collaboratore principe del Corriere dello Sport-Stadio, nel
quale ha militato con un entusiasmo senza eguali raccontando le vicende
pallavolistiche delle squadre marchigiane in particolare, dal glorioso Falconara
alla nuova regina Lube, ma non solo, avendo seguito la Nazionale in Italia e
all’estero, i nostri club nelle competizioni internazionali.

Adelio andava dove lo portava
il cuore, che batteva forte per il volley e per il giornalismo, che
interpretava spesso da tifoso, con i suoi eccessi e i suoi entusiasmi a fatica
imbrigliati. Ma non è stato il cuore e tradirlo, a rubarlo alle sue passioni,
alla sua vita riempita da chilometri macinati su e giù per l’Italia, sempre con
meta un palazzetto dello sport. Un brutto male, una malattia infida e vigliacca
che si è nascosta per lungo tempo facendolo soffrire e rubandolo a tutto ciò
che gli piaceva. Un male che a volte si sconfigge, a volte no, nemmeno ai
vantaggi di un tie-break che si vorrebbe infinito, nemmeno con l’ausilio del
video-check di cui tante volte Adelio ha scritto.
Quando una persona viene a
mancare, è facile dipingere ritratti senza macchie, ma un amico si prende cosi
come è. E quando non c’è più, va ricordato come era, per rendergli giustizia,
con l’affetto che ci ha accomunato per più di 25 anni, tra una battuta e
l’altra, tra una discussione e una chiacchierata, serena o accesa che fosse.
Perché Adelio, per sua stessa definizione, era lo “zio Brontolo” del
giornalismo pallavolistco italiano. Si accalorava guardando le partite o
commentando fatti, per natura gli riusciva difficile mantenere aplomb da
tribuna stampa. Il suo posto ideale era a bordo campo, nel corridoio che
portava dagli spogliatoi al terreno di gioco. Viveva la sua passione per il
volley e le sue storie, i suoi protagonisti, gomito a gomito con giocatori,
dirigenti, arbitri. Dialogare con i giocatori lo gratificava, il saluto, una pacca sulla spalla, erano il suo carburante di entusiasmo. 
Come tutti aveva le sue simpatie e le sue avversioni,
sempre motivate da fatti. E per i suoi “cocchetti” sarebbe andato a piedi in
capo al mondo. Non rivelo segreti se ricordo il suo rapporto di stima,
orgogliosa amicizia viscerale che lo ha legato al suo ideale “figlioccio”
putativo Samuele Papi, il ragazzo diventato campionissimo, nato accanto a casa
sua, a Falconara. Ad Andrea Anastasi, giocatore di quel miracoloso Falconara e
poi campione del mondo, due volte ct della Nazionale italiana, campione d’Europa con la nazionale spagnola. Quindi Alberto
Giuliani, che sponsorizzava ai miei occhi in epoca non sospetta, prima che il
tecnico marchigiano arrivasse a vincere scudetti a Cuneo e Macerata. Non dimenticando l’altro suo pupillo affettivo, Valerio Vermiglio.
Nella sua esperienza di
scrittore, oltre ad un romanzo (“Tre rose per non morire”) aveva raccontato le
carriere di Samuele Papi e di Andrea Anastasi, anche con una edizione polacca
del libro, per via della fama conosciuta dal tecnico mantovano quando approdò
sulla panchina della Polonia. Pur lavorando come freelancer, ovvero pochissimi
soldi, frequenti frustrazioni da mancata pubblicazione, rapporti strettissimi
con il territorio e i suoi protagonisti, Adelio era rimasto uno dei rarissimi
prototipi di giornalisti da campo, testimone diretto delle vicende
pallavolistiche in un’epoca in cui si lavora prevalentemente davanti alla tv,
con il web o al telefono. Per questo lo conoscevano tutti, a prescindere da
cosa facesse o dove scrivesse, per tutti i giocatori di molte generazioni, era
semplicemente il giornalista, Adelio Pistelli. Come disse una volta a tavola la
moglie di un dirigente, rivolgendosi a me e a Simone Monari, valente collega
passato dalla collaborazione con il Corriere dello Sport alla redazione
bolognese della Repubblica: “Ma voi siete giornalisti? Come Pistelli?”.
Servirebbero pagine e pagine
per fare l’elenco di tutti i servizi proposti da Adelio, di tutti i personaggi,
di tutte le “robine” (come le definiva lui) curiose e meritevoli di cui si faceva portavoce e
divulgatore, per portarli alla pubblicazione, scovando vicende e foto e spesso
faticando a convincersi di come certe belle storie di volley, potessero non
interessare i giornali come sarebbe stato giusto.
Quando arrivavano i giorni
del mercato poi, Adelio si sentiva l’ombelico del mondo: trattative, ipotesi,
soffiate sul destino futuro di campioni e riserve, giovani e senatori, dalla A1
alla A2. Telefono bollente da cui estrarre una manciata quotidiana di righe,
finchè è stato possibile trovare gli spazi.

Ma soprattutto le ore al
telefono, passate a formulare ipotesi, a scandagliare proposte di servizi e
possibilità, a discutere su questo o quel giocatore, sulla Nazionale che
vinceva e sugli azzurri che perdevano, commentando risultati e retroscena,
allenatori nuovi e vecchi. Spesso quando qualcuno se ne va all’improvviso, al
pianto si aggiunge il rimpianto per il non detto, per qualcosa lasciato in
sospeso a cui non si può più porre rimedio. Ecco, nella tristezza dolorosa del
momento luttuoso, sono sollevato dal non avere questa problematica. Adelio ed
io ci siamo sempre detti tutto, anche fin troppo schiettamente forse, ma
proprio dialogando, battibeccando, discutendo e superando un momento brutto per
entrambi che ci aveva allontanati un po’, abbiamo  alla fine sempre mantenuto un rapporto vivo e
stimolante, intriso di un affetto cementato anche dalle diversità e dalla
capacità di ironizzare su noi stessi. Perché c’era l’Adelio che batteva i pugni
sul desk della postazione stampa del Palasport di Vienna seguendo una finale di
Coppa Campioni, che alzava la voce commentando e criticando errori visti in
campo: lo “zio Brontolo” insomma. Ma c’era anche l’Adelio che stava al gioco
dell’umorismo, che veniva messo in mezzo con la storiella dell’età e del
vecchietto, dei capelli spariti o quasi, da noi giovani colleghi che anno dopo anno siamo diventati anche
noi sempre meno giovani, ma senza perdere la voglia di goliardia e di battute,
il vero sale del gruppo di giornalisti che per tre decenni ha seguito il nostro
volley. E quando l’umorismo nasce dall’affetto, non c’è battuta che possa far
male. E questo Adelio, per quanto fosse permaloso (come me?), l’ha sempre
saputo e l’ha sempre compreso. Mentre cambio fazzoletto, mi viene in mente la
festa ad Ancona, in occasione del suo cinquantesimo compleanno capitato durante
la World League, a  tavola Con Andrea
Anastasi ct e Emanuele Zanini vice ct, con la maglia azzurra con il numero ad
hoc, il 50, regalatagli da Libenzio Conti e Carlo Lisi. O quella sera in cui
dormimmo in camera insieme a Polignano e lui al risveglio di buon’ora (perchè i vecchietti si alzano presto…) mi chiese se mi dava
fastido che si asciugasse i capelli con il phon (“Figurati – gli risposi – tanto
ci metti un attimo anche se li asciughi uno per uno…”). E poi il suo
spazientirsi, nonostante le buone intenzioni, fuori dal negozio durante le mie
interminabili soste nei negozi di musica in Argentina, nel 2002, da Buenos
Aires a Cordoba. La camminata notturna per il centro di Praga, cercando
qualcosa da mangiare ai baracchini degli hot dog dopo che nel pomeriggio aveva
salvato il mio pc dalla furia dei tifosi greci di Salonicco tracimati sul campo.
Grecia chiama Grecia: la sua telefonata concitata quando in una trasferta di
coppa di un secolo fa, Falconara venne aggredita dalla tifoseria avversaria…

L’anno scorso a Firenze,
durante la fase finale dela World League, vivemmo gli ultimi spiccioli di
allegra serenità. Rileggemmo insieme la finta recensione che gli dedicai in
occasione del suo libro su Papi: tante risate. Allora gli chiesi se potevo
pubblicarla sul blog, e mi mandò la liberatoria… Se la ritrovo (dannazione, è
sparita dal pc), la pubblico.
 A gennaio, a Bologna, mentre il male stava iniziando
a sferrare subdolamente il suo attacco decisivo, l’ultima occasione di vedere
fianco a fianco una partita di pallavolo, di predire il futuro raccomandandomi
Simone Giannelli: “Quel ragazzo l’ho già visto giocare è formidabile, e ha una
bella testa, diventerà un campione”
L’impietosa malattia dilagante,
dopo mesi e mesi di vane speranze l’ha costretto a letto sul finire dell’estate,
privandolo del piacere dei suoi ultimi Europei. Gli telefonavo almeno una volta
a settimana, spesso la domenica mattina. Avevamo fatto un patto: della malattia
non si parlava, avrei cercato di farlo ridere scherzando come sempre, cogliendo
dal tono e dal timbro della voce segnali del suo stato d’animo, della lotta
contro il male, con qualche punto interrogativo sulla reciproca consapevolezza.
Non dico una sciocchezza se sostengo, realisticamente e senza buonismo dettato
dal momento (Adelio si arrabbierebbe…) che giornalisti come lui non ne
esisteranno più, nel senso che la professione non prevede inviati a tempo pieno
sui campi del volley, raccogliendo notizie e storie anche attorno al tavolino,
sollevando qualche calice, forchetta, coltello e cucchiaio.
Adelio era immerso nella
pallavolo 24 ore al giorno, e ringraziava sempre la pazienza della moglie, la
signora Silvana, parlando con orgoglio della figlia Roberta che ora aveva messo
su una famiglia propria, e della nipotina Consuelo che, maledetto destino, non potrà
tirare i baffi a nonno Adelio, facendolo brontolare e divertire rispondendo
alle sue coccole.
Caro Adelio, come si fa a non
dire che mancherai tanto alla grande famiglia del volley (a cominciare da Massimo Righi), anche a chi magari ti
sopportava e non ti voleva bene come la maggior parte di noi, tutto compreso,
eccessi inclusi. Mancherai tanto anche a me. Mi dicevi sempre chiudendo le
telefonate: Se ti serve qualcosa, sai dove trovarmi. Se ti manca qualcosa…te lo
compri. Ma io ora non potrò più trovarti… 
P.S. Caro Adelio ho una lamentela postuma da rivolgerti. Dopo averti strappato tante risate, fino a quando è stato possibile, non è giusto che tu invece mi abbia costretto a trascorrere in lacrime l’ultimo pomeriggio in tua compagnia.

Leandro De Sanctis

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