La regina degli scacchi | Recensione

La regina degli scacchi, la serie Tv proposta da Netflix (titolo originale The Queen’s Gambit) è diventata in breve tempo un autentico fenomeno, andando oltre la sua valenza prettamente cinematografica e generando uno straordinario interesse per il gioco degli scacchi.
Indubbiamente la serie ha il suo appeal e sono varie le ragioni del suo successo, nonostante una trama piuttosto elementare e senza sorprese, perfino scontata verrebbe da dire, nel raccontare l’ascesa della ragazzina che in orfanotrofio, a soli nove anni, impara a giocare a scacchi con il custode.
Una bambina che si fa strada nel mondo degli adulti e in un universo prettamente maschile, crescendo tra le sue passioni, tra scacchiere, libri di scacchi e alcolici. La regina degli scacchi nelle sette puntate del racconto porta lo spettatore nella realtà degli orfanotrofi, che imbottivano di psicofarmaci i bambini creando le basi per una successiva dipendenza.
Man mano che la piccola Beth cresce e si fa conoscere per le sue abilità di giocatrice, la sportività con cui il mondo maschile degli scacchi l’accoglie e la gratifica si dimostra perfino avanti con i tempi, dando alla donna una parità che in quasi tutti gli altri campi all’epoca era ancora negata.
I valori che la serie mostra sono sportivi, intrecciando la capacità di fare squadra, sentimenti e talento, l’amicizia che nasce e cresce senza essere soffocata dalla rivalità, nel nome di una qualità riconosciuta e condivisa finché si riesce a tenere il passo.
Tracce della disinvoltura con cui allora un marito poteva abbandonare moglie e famiglia senza rimorsi o conseguenze legali (anche in Roma, il film Oscar di Alfonso Cuaron, succedeva). E abbondanti dosi di quella passione per la scacchiera che quando coglieva, poteva diventare un’autentica ossessione.
Il cast è un valore importante anche per La regina degli scacchi: volti che restano nella memoria, ottimi attori da apprezzare nella versione originale della serie. E una protagonista che diventa regina anche dello schermo: Anya Taylor-Joy, presenza carismatica. La serie è riuscita anche a trasmettere la grande passione che si nutriva per gli scacchi, nei circoli americani ma soprattutto nell’Unione Sovietica in cui le sfide tra i maestri avevano folle di appassionati a seguirle. Ho trovato bellissimo l’epilogo, sulla stradina moscovita, dove decine di persone giocano all’aria aperta, in file di tavolini e sedie. Un’immagine che annulla le differenze tra campione e appassionato, lasciando il posto al puro amore per la scacchiera e alla voglia di giocare
L’effetto immediato della mania per gli scacchi è paragonabile a quanto avviene spesso dopo una grande vittoria sportiva: da quando è apparsa su Netflix questa serie, le domande per iscriversi a corsi on line sono aumentate in Italia del 174,7%, i libri sugli scacchi sono entrati nella top 100 delle classifiche di vendita su Amazon (dalla posizione 8.000 alla 86, come si è letto nel servizio che La Repubblica ha dedicato al fenomeno) e i maestri italiani ricordano che era dall’inizio degli anni ’70, ai tempi della sfida tra lo statunitense Fischer e il sovietico Spasskij (1972) che nel nostro Paese non si registrata un interesse così elevato per gli scacchi.
Inevitabile cercare di sapere anche l’opinione sulla serie di chi conosce gli scacchi, per questo potete leggere sotto il commento di Bruno Roberti, presidente dell’Accademia Scacchistica Romana, che ha seguito per Visto dal basso La Regina degli scacchi,

Roberti, presidente Accademia Scacchistica Romana: “Ricostruzione delle partite perfetta”

di Bruno Roberti*
Il mondo sta finalmente (ri)scoprendo gli Scacchi!
Grazie alla bellissima serie trasmessa su Netflix, attraverso il racconto della parabola di vita e agonistica di Beth Harmon, gli Alfieri, le Torri, il pedone in e4, la Difesa Siciliana, la cattura del Cavallo in c6, ecc. , si sono trasformati da argomenti di uno strano linguaggio riservato solo a pochi “iniziati” in frasi e concetti facilmente accessibili a tutti.
Io sono entrato nel mondo dei Tornei di Scacchi solo all’inizio degli anni ’80. Non ho vissuto, quindi, scacchisticamente parlando, il periodo di cui si racconta nel film. La storia si svolge infatti negli anni ’60, anni in cui, nella realtà, il mondo poté assistere ai trionfi del più grande scacchista americano: Bobby Fischer.
Ma la cura dei particolari con cui gli ambienti dei tornei sono stati ricostruiti, i gesti, la postura e gli sguardi dei giocatori, la trascrizione delle mosse, il ticchettio dell’orologio, i libri e le riviste di scacchi, gli importanti Maestri della storia degli scacchi, il mito della Scuola (e della Squadra) Sovietica, l’aggiornamento delle partite con la prossima mossa da giocare chiusa in una busta, ancora negli anni ’80 erano proprio così.
Tanto è vero che film mi ha fatto tornare alla mente perfino gli articoli che uscivano sui quotidiani e che io, all’epoca del Match di Finale del Campionato del Mondo tra Karpov e Kortchnoi del 1981, giocato (incredibilmente!) in Italia, a Merano, ritagliavo e raccoglievo per poi ricostruire sulla mia scacchiera le partite giocate da questi due Grandi Maestri.
Altri tempi!
Oggi, con gli orologi digitali, i computer e i database scacchistici, le partite trasmesse online in tempo reale e perfino con il divieto di fumare nelle sale di gioco, tutto è diverso!
Devo dire che, a parte qualche piccolo errore di scenografia (l’orologio non sempre è collocato alla destra del Nero) o di traduzione (variazione invece di variante o il Cavallo nero che viene sviluppato in ‘f3’ anziché in ‘f6’), anche la ricostruzione delle partite è perfetta. Ma non poteva andare diversamente, dato che gli autori hanno avuto la consulenza di dell’ex Campione del Mondo Garry Kasparov e di un grande esperto di training scacchistico come Bruce Pandolfini.
In una partita che Beth gioca in simultanea contro i suoi amici a New York è stata riprodotta perfino la combinazione di scacco matto della “Partita dell’Opera”, giocata da Morphy nel 1858 a Parigi contro il Duca di Brunswick ed il Conte Isouard de Vauvenargues, poco prima dell’inizio della rappresentazione del Barbiere di Siviglia di Rossini!
Devo dire che la bellissima scena del popolo moscovita che, fuori della sala in cui si svolge il torneo, con tutte quelle persone che seguono la partita tra Borgov e Beth sulle piccole scacchiere portatili, mi ha riportato alla mente il film muto del 1925 “La febbre degli scacchi”, ambientato a Mosca all’epoca del grande torneo internazionale e nel quale recita anche José Raul Capablanca che all’epoca era il Campione del Mondo in carica. Forse gli autori hanno voluto rendere omaggio al capostipite della filmografia scacchistica.
E per concludere, confesso che anch’io, dopo lo stress della finale del torneo, sarei corso nel parco a giocare con tutti quei vecchietti entusiasti e appassionati di quello che è sempre stato e sempre resterà il gioco più bello del mondo!
* presidente dell’Accademia Scacchistica Romana
accademiascacchiroma.it

Beth Harmon bambina in orfanotrofio a 9 anni
Beth Harmon bambina in orfanotrofio a 9 anni

La protagonista Anya Taylor-Joy

Anya Taylor-Joy, attrice e modella, ha 24 anni ed è nata a Miami, in Florida. Sua madre è anglo spagnola, il padre scozzese argentino. Da bambina ha vissuto a Buenos Aires fino all’età di 6 anni, poi si trasferì a Londra. Negli ultimi anni la sua carriera cinematografica è decollata, tra i due film con Shyamalan (Split e soprattutto Glass) e la serie tv Peaky Blinders.

La regina degli scacchi, la scheda

LA REGINA DEGLI SCACCHI – Stati Uniti, 2020. Sette episodi di durata tra i 46 e i 68 minuti. Su Netflix. Dal romanzo omonimo di Walter Tevis, 1983.
Regia e sceneggiatura: Scott Frank.
Interpreti: Anya Taylor Joy, Bill Camp, Moses Ingram, Christiane Seidel, Rebecca Root, Harry Melling, Thomas Brodie Sangster, Marcin Dorocinski
* visto in versione originale con sottotitoli.
 

Leandro De Sanctis

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