ATLETICA Caso Schwazer: due anni dopo, provette blindate nel laboratorio di Colonia

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Caso Schwazer, due anni fa. Poco dopo l’alba del Capodanno, 1 gennaio 2016, gli ispettori della Wada si presentarono a casa del marciatore campione olimpico Alex Schwazer per un prelievo che ha dato origine al più anomalo e controverso caso di doping. Fasullo: secondo chi ha messo sul tavolo e valutato tutto ciò che avvenne prima e dopo quel prelievo. Reale: per tutti gli altri, per chi a prescindere dal suo percorso successivo non ha mai perdonato al marciatore azzurro le bugie e la prima, ammessa, positività scoperta alla vigilia dei Giochi di Londra 2012. E per chi, aspetto non secondario nella vicenda, ancora vede il suo allenatore della rinascita, Sandro Donati, come il nemico. L’uomo che con le sue denunce fece emergere lo scandalo, quello si documentato, del salto allungato di Evangelisti ai Mondiali di atletica di Roma 1987, e del doping che si era infiltrato pesantemente anche nell’atletica italiana. L’uomo che, insieme con uno staff tecnico-sanitario nato per l’occasione (anche per controllarlo in merito al doping, con libertà di controlli a sorpresa senza finestre orarie), ha dimostrato di saper allenare anche un marciatore, portandolo ad andare più forte di quando si dopava.
In seguito alla positività al testosterone che Iaaf e Wada dicono di aver rilevato, con tempistica e dinamiche assolutamente fuori dall’ordinario (così come erano state le modalità di prelievo e consegna, con  i campioni a spasso dall’Italia alla Germania per un giorno e mezzo, in balìa di…tutto).

Schwazer fu poi squalificato per otto anni nell’agosto del 2016, dopo un’udienza al Tas in cui tutto sembrava già scritto con zero volontà di valutare rilievi e osservazioni degli avvocati difensori.

Ma la battaglia e le anomalie non si fermano a quella data. Schwazer è sotto processo per doping presso il Tribunale di Bolzano e il Gip, il giudice Walter Pelino, nella ricerca di una verità che ha evidentemente subodorato poter essere diversa da quella ufficiale, ha disposto una serie di iniziative tese e far luce.

E’ stato chiesto l’esame del dna sui campioni, assegnando il compito al Ris di Parma. Il Giudice ha dovuto ricorrere ad una rogatoria internazionale per cercare di veder eseguita la sua ordinanza. Ad oggi ancora ignorata.

Il triangolo Laboratorio di Colonia-Wada-Iaaf è riuscito a respingere la richiesta di invio delle provette. Ma quando è stato disposto il riesame almeno di una percentuale dei campioni (da agitare prima della riapertura) è proseguito l’atteggiamento ostile, indifferente, quindi sprezzante.

I campioni non sono mai stati inviati ai Carabinieri del Ris di Parma e anzi solo pochi giorni fa, prima di Natale, il direttore del laboratoro ha avuto la faccia tosta di sostenere (solo adesso e non due mesi fa quando gli arrivò la richiesta del giudice Pelino, Tribunale di Bolzano) che la richiesta contenuta nell’ordinanza era troppo vaga per essere accolta. Il tutto, secondo fonti bene informati, dopo che la Iaaf aveva continuato a premere perché a Colonia tenessero il punto, invitando il laboratorio a rendersi conto dell’importanza di non far uscire le provette dal frigorifero.

L’osservazione di un qualunque spettatore neutrale è perfino banale: ma se le urine sono davvero di Alex Schwazer e se quelle urine non sono state manomesse, Iaaf, Wada e laboratorio di Colonia avrebbero tutto l’interesse ad acclarare pubblicamente la fondatezza delle loro accuse e della squalifica conseguente. In un caso che di certo non ha giovato all’immagine di una Iaaf finita nella bufera anche per altri scandali.

L’atteggiamento come minimo discutibile di un organismo sportivo peraltro squassato dalle vicende di corruzione,il muro di gomma perfino nei confronti di un Tribunale italiano, di una rogatoria internazionale, autorizza ogni ipotesi, ogni sospetto.Cosa si vuole ancora nascondere?

Un’idea di cosa si voglia nascondere, molti se la sono fatta.

 

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Leandro De Sanctis

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