Mute, film Duncan Jones| Recensione

Il film Mute avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni di Duncan Jones, la sua opera prima. Un thriller ambientato nel 2046, non a caso anno collocato temporalmente vicino al 2049 che accompagnava il sequel di Blade Runner, in un mondo che cita gli ambienti e certe atmosfere dei maggiori film collocati nel futuro. A partire proprio da Blade Runner. Siamo a Berlino. Droni che si infilano nelle case private, macchine che volano, autostrade del cielo che sovrastano il ridotto traffico a terra. Ambienti notturni, strade luccicanti, un mondo molto meccanizzato: sale giochi, fast food che fanno arrivare il cibo con modalità aeree, mercato nero di droghe e falsificazioni, bordelli e night club dove si beve e si sniffa. Ma soprattutto tanta violenza. Utile ricordare che Duncan Jones è il figlio di David Jones, David Bowie, protagonista a suo tempo di un classico della fantascienza come L’uomo che cadde sulla terra. Quando nacque, il padre scrisse per lui la splendida Kooks, pubblicata nell’album Hunky dory, 1971).

Da Moon a Mute

Duncan Jones, che aveva esordito con l’ottimo Moon, opera personalissima di fantascienza con un solo attore (Sam Rockwell, il cui personaggio appare in un rapido cameo, avventore seduto al bancone di un bar), riempie Mute delle sue tematiche di bambino cresciuto lontano dai genitori divorziati. La fantascienza, la famiglia, il sentirsi lontano da casa.
Talvolta però le migliori intenzioni non bastano a confezionare un film riuscito, anche se un bravo analista saprebbe fotografare al meglio le trasposizioni dalla vita vissuta dal piccolo Duncan, le imposizioni subite anche indirettamente dai suoi genitori. Non a caso alla fine appare la sua dedica a tutti quelli che sono e devono essere genitori.
Famiglia Amish, un bambino caduto in acqua e ferito gravemente dall’elica del motore della barca potrebbe essere salvato da un futuro di mutismo, ma la sua famiglia non autorizza l’operazione. Ed ecco che il muto bar tender Leo (Alexander Skarsgaard) lo ritroviamo nel 2046. Ha una donna, Nadiraah (Seyneb Saleh) che ne ha compreso la dolcezza e lo ama, ma prima che possa rivelargli qualcosa di importante di sé, scompare.

Mute, un viaggio crudo e violento

E’ l’inizio di un viaggio, crudo e violento, tra i personaggi della storia: Cactus Bill (Paul Rudd con i baffoni a manubrio e il chewingum perenne), chirurgo disertore dell’esercito americano, Duck Teddington (Justin Theroux, chirurgo plastico tendente alla pedofilia), Luba (Robert Sheehan) prostituto bisex, androgino e transgender, con un look che riporta all’epoca glam paterna. Tutti cercano qualcosa che sfugge: Cactus Bill documenti nuovi per tornare negli Usa con la figlia; Leo la sua innamorata Nadiraah; la bimba una figura paterna da prendere per mano per sentirsi accolta e protetta.
Il film è pervaso da un’atmosfera inquietante e diventa violento da un lato ricalcando i canoni del genere thriller, dall’altro offrendo chiavi di letture psicologiche. La bambina che sembra muta, costretta a subire le scelte paterne, fino alla possibile rinascita, lontana dai genitori. Metaforica la voglia di fuga da Berlino e la capacità invece di adattarsi, coltivando le proprie necessità e i propri vizi.
Ma questa cavalcata, probabilmente psicanalitica, può risultare indigesta e porta lo spettatore altrove, in un film dove si compiono con disarmante cinismo azioni orribili, distruggendo ogni morale, ogni traccia di amore o pietà. Non deve essere stata facile l’infanzia di Duncan Jones

Mute, la scheda

MUTE – 2018, Gran Bretagna/Germania. Regia: Duncan Jones. Interpreti: Paul Rudd, Alexander Skarsgard, Justin Theroux, Seyneb Saleh, Robert Sheehan. Durata 126 minuti. Su Netflix.
*visto in versione originale con sottotitoli.

Mute, il trailer originale

Leandro De Sanctis

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