Agnelli, dai 9 scudetti alle super squalifiche?

Agnelli, dai 9 scudetti all’onta delle super squalifiche e del fallimento di un marchio che più glorioso non si può? Dove per fallimento si intende la cacciata della Juventus e delle altre squadre che hanno aderito al progetto della SuperLeague calcistica europea riservata ai ricchi. O presunti tali. L’ingordigia e il cinismo di chi ormai gestisce le squadre di calcio come aziende puramente commerciali (che però non godono il tifo di nessuno, se non, forse, degli operai e degli impiegati che ci lavorano) non ha limiti né confini. Da tifoso juventino devo dire che purtroppo Andrea Agnelli, presidente della Juventus, è il leader di un progetto antisportivo che contraddice e ripudia l’essenza del calcio e dello sport. Il merito. L’imprevedibilità. Il tutto è possibile, incluse quelle imprese di piccole squadre contro grandi club che non a caso sono passate alla storia dello sport.
La reazione della Uefa (il presidente Ceferin ha dato del bugiardo ad Agnelli, definendo il progetto orribile e avido) e dei governi, della stragrande maggioranza dei tifosi e degli sportivi, è più che legittima. Se Uefa e Fifa minacciano di escludere da ogni competizione internazionale i giocatori che parteciperanno alla SuperLeague, i 12 club promotori del progetto hanno inviato lettere a Infantino (presidente Fifa) e Ceferin (presidente Uefa) dicendosi pronti ad una battaglia legale.
Questo schifoso progetto è un monito per tutti i tifosi che ancora si illudono che una grande squadra di calcio sia degna di passioni che durano una vita, alimentate anche a costo di grandi sacrifici e dolorose rinunce.
Ad Andrea Agnelli, il presidente che ha legato il suo nome al record dei nove scudetti consecutivi juventini, di coppe e scudetti non importa nulla. Avremmo dovuto capirlo osservando le manovre di mercato degli ultimi anni. Parametri zero inadeguati inseguiti con tenacia, cessioni tecnicamente discutibili, l’ingaggio a cifre folli di Cristiano Ronaldo per aumentare il fatturato e la popolarità del brand (chiedo scusa per la parola) senza preoccuparsi di costruirgli attorno una squadra all’altezza. Perfino l’accantonamento del tradizionale stemma della Juventus, a favore di una banale J bianconera. La Juventus è diventata l’unica squadra al mondo, probabilmente, a non esibire sulla maglia il suo stemma. Possibile che sbaglino tutti gli altri a conservarlo?

Non più vittorie ma soldi, ecco l’obiettivo

Ci si è messa poi la pandemia, il crollo degli incassi, lo spettro di un bilancio in profondo rosso che ora si vorrebbe ripianare con gli incassi futuri della SuperLeague, il maxi torneo europeo che soppianterebbe la Champions League e a cui si accede per censo, un giochino per ricchi, con i poveri lasciati fuori dalla porta. E quel paragone con la NBA del basket che trovo sempre assai stonato. Un modello che va bene per il modo di pensare degli americani, per cui viene sempre prima lo spettacolo, ad ogni costo.
Per Andrea Agnelli e la sua Juventus vincere non è più così importante. Tutt’altro. La Juventus è quello che è per via degli scudetti e delle Coppe Italia che hanno alimentato il mito di prima squadra italiana. Cinquantotto trofei italiani, undici tra Europa e Mondo. Potremmo dire che per accogliere le coppe internazionali basterebbe una sala dello J Museum…
Agnelli pensa che una Juventus tradizionalmente incapace di svettare in Champions avrebbe possibilità di vincere la SuperLeague, stretta sballottata sul campo da quelle squadre che a turno le hanno fatto male anno dopo anno in Champions?
Ma sbagliamo a ragionare in termini di successi sportivi, ad Agnelli e alla Juventus interessano solo i soldi, gli incassi che tutte quelle sfide con i grandi club secondo loro procurerebbero. Ma sono sicuri che il popolo bianconero torinese e non solo voglia ancora svenarsi per pagarsi il biglietto allo Stadium per vedere partite che con ogni probabilità non condurranno ad un sogno? Ma soprattutto, se non si gioca puntando a vincere, con la speranza di vincere, che calcio è? Che calcio sarà?

L’esempio di Milano nell’Eurolega di basket

E’ vero, c’è l’esperienza dell’Armani Milano di basket: nei primi anni di Eurolega perdeva quasi regolarmente. Bassa posizione in classifica, play off lontani, eppure il Forum si riempiva regolarmente di diecimila spettatori a partita.
Ma il calcio non è il basket. Se il tifoso juventino, abituato fin troppo bene rispetto a quasi tutte le altre tifoserie, sta sclerando e sragionando per questa stagione ricca solo di amarezze, posso immaginare come reagirà all’eventuale serie di risultati negativi dei bianconeri in SuperLeague.
Invece di programmare un futuro con la riduzione di ingaggi ingiustamente stratosferici anche per delle emerite pippe sopravvalutate (sapete tutti chi alla Juve guadagna 7 milioni di euro e come ha giocato e sta giocando), si punta a maggiori introiti con questo giochino per ricchi. Fingendo di non sapere che anche a fronte di maggiori entrate, i club, tutti i club, dovranno alzare e di molto la posta per convincere i giocatori ad esserci, rinunciando alle Nazionali, ai Mondiali, ai tornei continentali, e andando incontro a giuste squalifiche.

Agnelli, l’Atalanta e le autogufate

Andrea Agnelli ha anche attirato una sorta di maleficio sulla sua Juventus, fin da quando tirò in ballo l’Atalanta, chiedendosi con sprezzo del pericolo per la sua reputazione, se fosse giusto che l’Atalanta fosse in Champions League. Come andò a finire lo sanno tutti: Juve fuori con il Lione già negli ottavi, Atalanta eliminata all’ultimo secondo dal PSG nel quarto di finale in gara secca. E non è andata meglio quest’anno: Juve fuori senza onore con il Porto, Atalanta eliminata dal Real Madrid e penalizzata dall’arbitro nella gara di andata. E si, direi al caro Andrea Agnelli. E’ giusto che l’Atalanta sia in Champions, perché pur avendo meno soldi della Juve, corre di più e gioca meglio. Se i grandi club europei avessero detto che prima del 1977 la Juventus non era degna di giocare con le big della Coppa Campioni/Champions, cosa avrebbe detto? La storia un club se non ce l’ha, ha il diritto di potersela costruire. Con raziocinio e acume. Molto meglio che per diritto divino come vorrebbe lei. Aggiungiamo che dopo il fortunoso 1-0 di ieri, l’Atalanta ha scalzato la Juventus dal terzo posto e ora minaccia anche di soffiarle la Coppa Italia.

Alla riscoperta del calcio sui campi cittadini

Può sembrare retorica, ma non è detto che lo sia. Basta leggere commenti sul web o ascoltare pensieri di tifosi disincantati. La SuperLeague e i presidenti come Agnelli, che pensano solo a come ricavare soldi da tv e tifosi, rischiano di allontanare di nuovo gli appassionati del calcio, spingendoli a riscoprire sui campetti delle periferie cittadine o dei paesi il fascino di un calcio anche modestissimo ma ruspante e meno viziato.
Poi magari sbaglio tutto. Sbaglio ad apprezzare un campionato italiano magnifico, come ci ha confermato il pazzesco finale di Cagliari-Parma, con tante squadre in lotta per obiettivi a dispetto di uno scudetto già ampiamente vinto dall’Inter. Come un anno fa, quando pur di mettere in discussione il dominio della Juventus, si ipotizzò la follia dei play off, un’altra americanata antitetica con la tradizione del calcio. Non cambierei con una SuperLeague questa Serie A in cui ogni partita è una battaglia e anche le grandi squadre possono inciampare o franare al cospetto di una provinciale arrembante. E questo Andrea Agnelli dovrebbe averlo imparato in questa amara stagione.

Leandro De Sanctis

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