SOCIETA’ La stupidità funzionale in azienda secondo il professor Spicer

Dalla pagina FB di Roberto Gaeta prendo e propongo le riflessioni in merito al fattore stupidità nelle aziende. Il rapporto tra intelligenza e stupidità, anche in questa chiave di lettura, mi sembra interessante.

Il paradosso della stupidità in azienda. Perché non siete incoraggiati a pensare?

Può capitare che la stupidità risulti utile alla gestione di un’azienda
nel breve periodo, ma invariabilmente rappresenta una bomba ad
orologeria pronta ad esplodere nel medio-lungo termine. Perché allora in
molti casi sembra che, al lavoro, le persone intelligenti non vengano
incoraggiate a pensare e riflettere? Alcune organizzazioni accettano
atteggiamenti dubbi, assurdi e del tutto idioti che spaziano dalle mode
passeggere del management al culto della leadership fino all’eccessivo
affidamento su marchio e immagine, mentre per i dipendenti meditare a
fondo sui problemi e porre domande scomode è sconsigliato.
Lo
scienziato comportamentale André Spicer (in foto) della Cass Business School e il
docente di Amministrazione aziendale presso l’università di Lund Mats
Alvesson
hanno approfondito il ruolo della “stupidità funzionale” –
definita come l’incapacità dei dipendenti di mettere in discussione le
convinzioni dominanti, le norme e le aspettative dell’organizzazione
nella quale lavorano – nel loro lavoro “The Stupidity Paradox”, nel
quale non mancano casi di dirigenti più interessati all’effetto delle
presentazioni in Power point che all’analisi sistematica delle dinamiche
aziendali, le aziende tecnologiche più determinate a mantenere un tono
positivo che ad affrontare i veri problemi, e scuole più concentrate
sullo sviluppo di strategie sbalorditive che sull’istruzione degli
studenti.
«Abbiamo iniziato chiedendoci perché aziende importanti
con persone talentuose e intelligenti potevano fare cose così stupide –
spiega Spicer – Abbiamo scoperto che tali organizzazioni spesso
assumono persone intelligenti e poi le incoraggiano a non utilizzare la
propria intelligenza. Le persone intelligenti si pongono istintivamente
delle domande e pensano in maniera autonoma. Ma ciò veniva scoraggiato
in maniere sottili e meno sottili. I dipendenti si sentivano rivolgere
frasi del tipo “non pensarci, fallo e basta” e “non portarci dei
problemi, ma solo soluzioni”. I lavoratori intelligenti imparavano in
fretta a non porsi troppe domande o pensare troppo dato che utilizzare
completamente la propria intelligenza avrebbe suscitato domande
imbarazzanti che avrebbero potuto infastidire superiori e colleghi. La
linea d’azione più semplice spesso era continuare a lavorare. Abbiamo
osservato molti processi che sbalordiscono i dipendenti come per esempio
il fatto che molti leader incoraggino i propri subordinati a non
pensare troppo. Altri esempi includono politiche e processi seguiti
pedissequamente, operazioni aziendali di facciata che hanno più a che
fare con il simbolico che con la sostanza, aziende che imitano in
maniera acritica altre aziende e culture aziendali che intrappolano i
dipendenti in camicie di forza mentali. Generalmente parlando, è normale
pensare che la stupidità sul lavoro sia un problema, ma siamo rimasti
sorpresi di scoprire che talvolta può essere utile (di qui il
“paradosso” del titolo) almeno nel breve termine».
Quando
meditare a fondo sui problemi e porre domande scomode è sconsigliato,
una (posticcia) pace aziendale potrà durare per qualche tempo, favorendo
l’armonia e incoraggiando le persone a proseguire il proprio lavoro, ma
al contrario nel lungo periodo la stupidità funzionale può provocare il
collasso organizzativo, il tracollo finanziario e il disastro tecnico.
Dall’analisi dei due autori si evince che, quando le persone hanno
ignorato i problemi riscontrati in azienda, in alcuni casi ciò non ha
avuto importanza, specialmente se «l’organizzazione in questione era
abbastanza grande da non far rilevare il problema o nasconderlo. Ma
quando i problemi si accumulavano ne conseguiva il disastro. Questo è
quello che è successo nel settore bancario immediatamente prima della
crisi finanziaria: lo stesso – chiosano dalla Cass Business School – è
successo a Nokia quando non è riuscita a stare al passo con l’iPhone
della Apple».

Leandro De Sanctis

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