Avviamento allo sport, considerazioni per la Riforma

Avviamento allo sport, considerazioni per la riforma.

di Attilio Lombardozzi

L’avviamento allo sport rappresenta una fase dell’attività sportiva particolarmente critica, soprattutto per due momenti che la caratterizzano: il reclutamento e l’abbandono precoce dei giovani. Due aspetti dello sport giovanile che nonostante vengano indicati come particolarmente importanti non trovano il conseguente riscontro da parte delle istituzioni che di questi temi devono interessarsi. Il reclutamento, cioè il coinvolgimento dei giovani nell’attività sportiva, può avvenire in tempi e modi diversi: a) iscrizione a un centro sportivo; b) attraverso l’Educazione fisica scolastica; c) pratica spontanea e informale sotto forma ludica in spazi e tempi liberi. Le tre forme possono anche svolgersi interagendo, questo sarebbe addirittura auspicabile, ma purtroppo capita raramente.  L’approccio spontaneo, nonostante sia il meno organizzato, può essere considerato il più efficace soprattutto perché sollecitato da motivazioni intrinseche.
In questo caso infatti i bambini sono liberi di esprimersi come e quando vogliono, le regole le stabiliscono da soli e proprio questo sembra costituire il modo più valido per soddisfare le loro esigenze di moto. Due motivi però si scontrano con questa possibilità, la restrizione sempre più evidente degli spazi liberi per i giochi e l’ostruzionismo dei genitori derivante da inconsapevole negligenza. Non è facile infatti incontrare genitori capaci di comprendere il valore educativo del gioco, visto da molti come tempo sottratto ad attività “serie” o addirittura come fonte di pericoli.

Età d’inizio, obiettivi, metodologie

Quando l’attività motoria dei bambini comincia ad assumere forme organizzate, si pongono quesiti non sempre facili da risolvere: l’età d’inizio, gli obiettivi, le metodologie, ecc. Un aspetto non deve però assolutamente essere messo in discussione: il progetto formativo della personalità di ogni bambino, nessuno escluso. Questo significa che dall’attività sportiva giovanile, indipendentemente dal livello delle prestazioni che ogni giovane sarà capace di fornire, gli atleti e quelli che sceglieranno di praticare attività motoria solo per seguire un sano stile di vita, dovranno aver acquisito i valori propri di una personalità capace di permettergli di affrontare con successo le eventuali difficoltà della vita. In questa prospettiva l’efficacia di un centro sportivo va valutata non dal numero dei campioni che produce (questo dato ovviamente sarebbe di grande soddisfazione) ma dal rapporto tra il numero dei bambini iscritti all’inizio dell’anno e da quello di fine anno. Giustifica questa valutazione il fatto che al momento dell’iscrizione (5 – 6 anni in genere) i bambini  hanno già un vissuto molto significativo che determinerà in gran parte il futuro “successo”, soprattutto se a questo dato si aggiungono ad altre due considerazioni:

a) mancata corrispondenza tra lo stadio di sviluppo dell’organismo e l’età cronologica, per cui i bambini pur avendo la stessa età si possono trovare in un grado di maturazione diverso;

b) asincronia dei processi di sviluppo tra dati somatici, apparato motorio, motivazioni, interessi, aspetti cognitivi.

Il fenomeno del drop out

L’inizio dell’attività deve corrispondere alla prima tappa di una programmazione a lungo termine che dovrebbe concludersi con il raggiungimento delle massime prestazioni possibili per ogni individuo. Nonostante le dovute attenzioni a cui ci si può attenere, è doveroso segnalare che il nefasto fenomeno del drop out è sempre incombente, e scaturisce da una serie di motivi che è opportuno evidenziare:

a) allenamento dei giovani che ricalca quello di atleti evoluti;

b) insegnamento anticipato delle tecniche;

c) specializzazione anticipata;

d) finalità improprie e fuorvianti;

d) enfasi nelle competizioni;

e) tecnici inadeguati.

Con l’iscrizione a un centro sportivo si dà inizio al netto cambiamento di vita dei bambini che si avviano a un processo educativo formale. Prima di questo momento hanno vissuto un periodo di maturazione in cui nessuno può sapere se la particolare predisposizione dell’organismo a recepire gli stimoli proposti dall’ambiente ha consentito di cogliere questa opportunità. 

Le considerazioni esposte tendono a sottolineare che il tecnico che opera nelle prime fasce di età non può essere un allenatore ma un esperto di formazione. Non deve insegnare le tecniche delle varie discipline sportive, ma creare le premesse per il loro apprendimento e soprattutto per la loro utilizzazione (competenze). In altre parole i requisiti di questo personaggio vanno individuati in “comportamenti” che non possono e non devono essere proposti da enti che non siano le facoltà universitarie di scienze motorie. 

Se si vuole fare una vera riforma dello sport si deve partire da questi presupposti!

Leandro De Sanctis

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