La zona d’interesse | Recensione

La zona d’interesse | Recensione.
L’aspetto peggiore, l’orrore della disumanizzazione. Meglio di come l’ha detto il regista Jonathan Glazer ritirando il premio Oscar per il miglior film internazionale (e per il miglior sonoro), non si potrebbe. La zona d’interesse è un film agghiacciante, anche nel senso più autentico della parola poiché gela le anime e i cuori, pur non mostrando l’orrore consegnato alla Storia. La zona d’interesse è quella che circonda il campo di concentramento di Auschwitz, oltre il muro di cinta nel quale vive con la sua famiglia, la moglie Hedwig Hoss e cinque figli, il comandante Rudolf Hoss, orgoglioso di far rendere al massimo il campo, aumentando i forni crematori e il “carico” da eliminare nelle camere a gas. Il “carico”, ecco come vengono chiamati dai gerarchi nazisti i deportati ebrei.
Il film non mostra ciò che avviene al di là del muro che racchiude la villetta accanto agli orrori, che quasi in maniera surreale ospita la piscina, il giardino, i fiori e la vita quotidiana della famiglia Hoss.
Una moglie che reputa quel luogo un Paradiso, il miglior posto dove far crescere i suoi figli: come si può definire una persona del genere? Cieca, sorda, insensibile al mondo reale, gravemente dissociata.
Se l’autore non lo mostra, l’orrore si sente chiaramente e in maniera ancor più incisiva, drammatica e sconcertante, una colonna sonora di morte nata dal gelo delle anime perdute nel nazismo, nelle follie di Hitler e di chi non fece altro che “eseguire gli ordini”. Colpi di fucile, latrati di cani, grida, l’assordante incubo del rumore dei forni crematori incessantemente in azione.
Nel giardino degli Hoss la realtà è altra e quando arriva l’ordine di trasferimento, la signora Hoss s’impunta perché non vuole proprio lasciarlo quell’angolo di Paradiso, quel macabro “mercatino” gratuito che portava in casa abiti e oggetti degli ebrei uccisi con il gas. *
Prese addirittura il nome di Hoss il piano per deportare 700.000 ebrei dall’Ungheria, uccidendone l’80% e lasciandone il 20% da usare per lavori. Il film è raggelante e si segue in assoluto silenzio: l’unico sussulto di umano disgusto è della madre di Hedwig che giunge in visita, che denigra gli ebrei ma che durante la prima notte, quando dalla sua camera capisce cosa accade al di là del muro, se ne va senza dire una parola, lasciando solo un biglietto che la figlia leggerà con rabbioso sdegno.
Nell’involucro di una riunione tra gerarchi tronfi e seriosi nel programmare l’intensificazione e gli ulteriori successi dell’Olocausto, c’è una rappresentazione infernale e banale del Male assoluto, di un mondo schifosamente allucinante e allucinato. dove l’identità umana viene negata e disintegrata, nella follia nazista che azzera il significato della vita.
Se il comandante Rudolf Hoss, che non riesce nemmeno a vomitare quel male folle che è dentro di lui nelle ultime sequenze che lo vedono inoltrarsi nell’oscurità, specchio del mondo che ha alimentato, la banalità della convivenza ottusa e complice con l’orrore del male della moglie Hedwig è forse perfino più colpevole. E ingiustificabile.
E non consola sapere che Rudolph Hoss fu poi impiccato come criminale di guerra, il 16 aprile del 1947, proprio all’ingresso del “suo”campo di Auschwitz.

Rudolph Hoss e il campo di Auschwitz



* Nel campo di Auschwitz in Polonia, il campo del comandante Rudolph Hoss, si condussero esperimenti con il gas Zyklon B in pastiglie (che in precedenza venivano usate per la fumigazione) il quale diventava letale una volta esposto all’aria. Ad Auschwitz, queste pastiglie si dimostrarono il metodo più veloce per uccidere con il gas e furono quindi scelte come mezzo di sterminio; nel momento di maggiore intensità delle deportazioni, il numero di Ebrei uccisi giornalmente raggiunse le 6.000 unità.

Le sequenze in b/n, la ragazza che lascia cibo per i prigionieri


* per chi si è chiesto il significato delle riprese notturne in bianco e nero, con la ragazza che gira per i campi intorno alla casa degli Hoss, ecco la risposta: “Di notte, una ragazza polacca, impiegata come donna di servizio, esce di nascosto dalla casa e nasconde del cibo nei luoghi di lavoro dei prigionieri, ritrovando uno spartito accuratamente nascosto da un detenuto”

La zona d’interesse

LA ZONA D’INTERESSE – Regno Unito, Polonia. 2023. Dal romanzo omonimo di Martin Amis (2014). Durata 105 minuti.
*versione originale in tedesco, polacco, yiddish con sottotitoli
Regia: Jonathan Glazer
Interpreti: Sandra Huller, Christian Friedler

Le parole di Glazer agli Oscar
Condanna del genocidio palestinese

Jonathan Glazer parla del conflitto in medio oriente dopo aver ricevuto l’Oscar. Le sue parole girano intorno al concetto di disumanizzazione e traccia un parallelo con la sua pellicola, incentrata sulla vita tranquilla di una famiglia di tedeschi mentre vivono accanto a un campo di concentramento dove gli ebrei muoiono e soffrono crudeli e disumane atrocità. “Sono ebreo e rifiuto l’occupazione di Gaza”, aveva già detto Glazer in una intervista al Corriere della Sera. Al Dolby Theatre di Los Angeles ha ripetuto il concetto: “Il nostro film mostra l’aspetto peggiore della disumanizzazione. Tante persone innocenti sono vittime, sia del 7 ottobre in Israele che dell’attacco in corso a Gaza.Tutte le nostre scelte sono state fatte per riflettere e confrontarci con il presente, non per dire guardate cosa hanno fatto allora, piuttosto guardate cosa stiamo facendo adesso. Il nostro film mostra dove la disumanizzazione porta al peggio, ha plasmato tutto il nostro passato e il nostro presente. In questo momento ci troviamo qui come uomini che rifiutano che il loro essere ebrei e l’Olocausto vengano strumentalizzati da un’occupazione che ha portato al conflitto tante persone innocenti. Che si tratti delle vittime del 7 ottobre in Israele o dell’attacco in corso a Gaza – di tutte le vittime di questa disumanizzazione – come possiamo resistere?
Le parole di Glazer sono assurdamente e ridicolmente definite da parte del mondo ebraico come fattivamente errate e moralmente riprovevoli, come se un’opinione potesse esserlo. Ma proprio in questo momento storico che vede Israele impegnato con odio cieco al genocidio del popolo palestinese, risulta ancora più importante la presa di posizione, dopo il film, del regista Jonathan Glazer, britannico di origine ebraica.

Le assurde e ridicole accuse di antisemitismo

Il regista ungherese László Nemes, anche lui vincitore dell’Oscar con un film sull’Olocausto (Il figlio di Saul), nel 2015 ha pronunciato parole (riportate da Il Fatto quotidiano) che sanno di delirio.
László Nemes** ha accusato Glazer di aver fatto ricorso ad argomenti diffusi dalla propaganda intesa a sradicare, alla fine, tutta la presenza ebraica dalla Terra. Ed è particolarmente preoccupante che ciò accada in un’epoca in cui stiamo raggiungendo i livelli pre-Olocausto di odio antiebraico – questa volta, in un modo trendy e ‘progressista”. Nemes si arroga il diritto di accusare la scelta artistica (lui il suo film lo ha fatto come voleva, Glazer non poteva scegliere come fare il suo?) di concentrarsi sugli autori dello sterminio piuttosto che sulle vittime: “Tutto forse ha senso, ironicamente: non c’è assolutamente alcuna presenza ebraica sullo schermo in La zona di interesse. Rimaniamo tutti scioccati dall’Olocausto, al sicuro nel passato, e non vediamo come il mondo potrebbe alla fine, un giorno, finire il lavoro di Hitler in nome del progresso e del bene infinito”. Parole deliranti che si commentano da sole. Chissà se c’entra qualcosa l’enorme attenzione e successo che ha ottenuto La zona d’interesse, contrariamente a Il figlio di Saul?
** Pubblicato da Il Fatto quotidiano.it a firma Davide Turrini il 15 marzo 2024.



Leandro De Sanctis

Torna in alto