ATLETICA Bolt re dei re dello sprint, più grande anche di Carl Lewis

Già due anni fa, in occasione dei Mondiali di Mosca, inevitabilmente il paragone tra due miti dello sprint si affacciava inesorabile e tutto sommato abbastanza inutile. Epoche diverse che
abbracciano oltre trent’anni di atletica, dal primo Mondiale di Helsinki nel
segno di Carl Lewis, a quelli di Mosca e Pechino, apertisi con l’ennesimo lampo di
Bolt. Ma se due anni fa in Russia l’oro di Usain era più che atteso, quello strappato con il tutto tempestivo sul traguardo, a beffare Justin Gatlin, è stato accolto come un evento quasi inatteso. Lewis e Bolt, due grandi campioni, simili per la serietà nel modo di intendere
l’atletica, diversi per quasi tutto il resto. E nel tutto ci sono un’infinità di cose.
Carl Lewis,
statunitense di colore nato nell’Alabama all’alba degli Anni Sessanta,
in un periodo ancora caldo della interminabile battaglia per la completa
integrazione con i bianchi. Bolt, nero nato (nel 1986, quando Carl era
già diventato campione olimpico) in un paesino della Giamaica e
cresciuto lontano da certe problematiche politiche.

Carl
ha vinto medaglie spaziando dai 100 al salto in lungo, che iniziò a
praticare fin da piccolo, con 200 e 4×100 ad irrobustire le sue
possibilità di fare incetta di allori. Saltando, si fece notare per la
sua velocità e così si catapultò anche nello sprint. Con un difetto che è
lo stesso di Usain: la non eccelsa abilità nella fase di partenza, per
via delle gambe lunghe (Carl è alto 1,91, solo quattro centimetri meno
di Bolt).
Bolt
ha illuminato molto spesso le sue medaglie con i record. Dopo la sua prima gara dei Mondiali pechinesi, il suo score è arrivato a 11 medaglie mondiali, 9 d’oro e due d’argento, da aggiungere ai sei ori olimpici. Semplicemente stratosferico.
Carl ne ha
firmati quattro (due+due) sui 100 di record e chiuse la sua carriera a 3 centesimi da Mennea
sui 200. Col rammarico di non essere riuscito a succedere al mitico
Beamon. In quella magica notte di Tokyo (30 agosto 1991), quel
mattacchione di Powell atterrò a 8,95 nel lungo rubandogli il suo sogno
prediletto e la medaglia d’oro. Dovette accontentarsi, quell’anno in quei fantastici mondiali, dell’oro con record (9.86) davanti a Leroy Burrell, preceduto di soli due centesimi. Oltre all’annuale primato mondiale con la 4×100.
Carl
Lewis è stato la stella di un atletica che in quegli anni stava vivendo
il periodo di massimo fulgore, sotto la spinta dell’allora presidente
Primo Nebiolo. Ma non era l’unico a brillare. Era il campionissimo
poliedrico e carismatico, l’asso da mettere in copertina, ma dietro di
lui non c’era il deserto. Basta ricordare Sergei Bubka.
A
Bolt invece è stato consegnato lo scettro di salvatore mediatico di
un’atletica non immune dalla crisi, acuita dal dilagare del fenomeno
doping, che esisteva eccome anche ai tempi di Lewis, ma restava spesso
nascosto. Lewis si trovò campione del mondo nell’87 a Roma e poi
olimpico nell’88 a Seul, dopo la positività di Ben Johnson. Lui stesso
però risultò dopato tre volte, ma la sua e altre positività furono
coperte dal Comitato Olimpico statunitense. Bolt è stato chiacchierato
molto, suo malgrado e si spera ingiustamente, per via delle acclarate
positività di molti suoi rivali e connazionali. Fu attaccato dallo
stesso Lewis, forse anche per una forma di gelosia. Ma finora è sempre risultato pulito. Pulito e vincente.

Lewis,
sensibile ai dettami della moda e all’eleganza, fu uno dei primi
campioni a cavalcare gli spot ed a portare il glamour e l’eleganza in pista: la sua pubblicità in tacchi a spillo per
la Pirelli è risultata indimenticabile. Amava la musica e incise un
singolo con la sua band, gli Electric Storm. Girava le piste di tutto il
mondo come un re con la sua corte, il clan gli atleti del Santa Monica.
Dove correva lui, c’erano loro. Usain
è più solitario. Ha però il suo gruppo alle spalle, un entourage di cui
si fida ciecamente: tutta gente che lo conosce da quando era ragazzo.
Ma ciò che ha reso immensamente popolare Bolt è la sua straordinaria
capacità di comunicare. L’aver portato il suo estro da rockstar nei
rigidi canoni dell’atletica. E la gente è impazzita per lui. Fuori dalla
pista è sintonizzato sulle passioni dei ragazzi della sua età: la
musica (si diverte a fare il dj appena può) il ballo, le auto
(distrazioni incluse), a volte ha voglia di marinare gli allenamenti.
Carl Lewis divenne vegano e smise di mangiare carne, Usain Bolt va
ghiotto delle ali di pollo fritte. Anche a tavola (e non solo…) Bolt è
lontano da Lewis. Anche se poi a Pechino, Usain ha confessato di fare attenzione all’alimentazione, indicandola come uno dei modi per mantenersi atleta, magari non quotidianamente ma nella maggior parte del tempo.
Anche Pietro Mennea, sollecitato sull’argomento, si espresse con chiarezza: “Usain Bolt è il più grande sprinter di sempre”. E se l’ha detto Pietro…

@vistodalbasso

 

Leandro De Sanctis

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