VOLLEY Zaytsev & C., l’oro maledetto sfugge anche a loro

La medaglia d’oro del’Olimpiade resta una dannata ossessione per il volley azzurro. Il prezzo da pagare, una maledizione che non accenna ad esaurirsi. A caldo penso che questa terza finale olimpica perduta, seconda contro il Brasile (2004  2016) dopo la prima volta con l’Olanda (1996) sia quella che lascia più rimpianti. ma forse è solo perchè la ferita è apertissima ed ogni pensiero, ogni frame, diventa una manciata di sale che procura sofferenze insopportabili per ogni appassionato di pallavolo e tifoso della Nazionale.
La foto in cima a questo post sintetizza bene il rimpianto: la medaglia d’oro è rimasta lassù, attaccata ad un challenge mal giudicato. Lassù qualcuno non ha amato gli azzurri, che da parte loro devono rammaricarsi per non aver espresso il meglio del loro potenziale, per non aver giocato sui livelli che avevano caratterizzato la loro marcia trionfale fino alla finalissima. Insomma, stavolta si poteva fare.
Nei momenti decisivi sono mancate tante piccole grandi cose ad un’Italia protagonista in ogni caso di un’Olimpiade vissuta nel modo migliore fino al penultimo giorno.
Gli azzurri non hanno battuto come sarebbe servito e il muro ha stentato a decollare. Sono mancati gli ace, sono mancate le bordate capaci di rendere più complicato il gioco di Bruno. 
Ci sono mancati i punti al centro, c’è stato qualche errore di troppo, qualche palla caduta che non avrebbe dovuto cadere, al di là dell’impegno che come sempre non è mancato.
Alla fine Zaytsev ha chiuso con un 15 su 23 (ma un solo ace), Juantorena 12 su 20. In attacco è mancato Lanza (4 su 13) e Giannelli non ha giocato la sua miglior partita, al centro meglio Birarelli di Buti, che non ha inciso.

Mi rendo conto che la pallavolo non è il calcio e che nel calcio non se ne può più di veder ridotto tutto ad un errore dell’arbitro, presunto o reale che sia. Ma come si fa a non dannarsi l’anima e mangiarsi quel che resta del fegato ripensando ai due punti due, rubati dagli arbitri nonostante il Challenge. L’arbitro può sbagliare in diretta, col gioco velocissimo. Ma davanti allo schermo il giudice di Challenge ha visto quel che è stato mostrato al telespettatore.  Un punto rovesciato nel secondo set. Un punto decisivo (l’Italia sarebbe andata sul 18-15 e invece si è ritrovata gli artigli del Brasile sulla schiena) nel terzo e decisivo parziale, che avrebbe potuto riaprire la finale. Wallace spinge e tocca le mani protese di Juantorena, toccando poi il nastro. Insomma, il punto non era del Brasile. Ok, nella pallavolo non si recrimina sulla moviola, non si cercano alibi. Ma l’Italia, il popolo che ama il volley e gli azzurri, ha tutto il diritto di maledire l’incapacità di chi non ha saputo o voluto vedere. Tutto ciò, prima di applaudire il Brasile campione, che ha coronato il suo sogno olimpico casalingo, 24 ore dopo il trionfo ai rigori nel calcio di Neymar & C.
L’oro olimpico resta stregato, le lacrime di Juantorena restituiscono il sapore di una grandissima occasione perduta. E ogni volta che si perde una finale olimpica, si condisce sempre con la paura che possa essere stata l’ultima. Per Juantorena, che ha 31 anni, probabilmente sarà così: la sua prima e ultima Olimpiade, che tuttavia deve renderlo orgoglioso del cammino.
Lui come tutti gli azzurri vanno solo elogiati e coccolati in questo pomeriggio amarissimo. Perchè le finali si perdono, ed è ovvio che è decisamente meglio vincerle, ma è importante anche arrivare a giocarle. Un traguardo proibito per tanti altri sport di squadra italiani. Il podio olimpico di Rio 2016 è identico a quello di Atene 2004: Brasile, Italia, Usa, Russia. Onore al Brasile della famiglia de Rezende, Bernardinho in panchina, Bruno in cabina di regia. 
L’Italia per la sesta Olimpiade consecutiva si è piazzata tra le prime quattro, mantenendo alto il blasone del volley azzurro. Non è poco di questi tempi.

Leandro De Sanctis

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