CINEMA Come un gatto in tangenziale

COME UN GATTO IN TANGENZIALE Regia: Riccardo Milani. Interpreti: Antonio Albasese, Paola Cortellesi, Sonia Bergamasco, Claudio Amendola, Luca Angeletti, Antonio D’Ausilio, Alice Maselli, Simone de Bianchi.

Come un gatto in tangenziale, il film di Riccardo Milani, 2017

Come un gatto in tangenziale, ovvero, riprendendo il precedente film del trio (Milani-Albanese-Cortellesi) Mamma o papà?, un’altra faccia di genitori. Non una coppia che scoppia ma il viaggio a ritroso, dentro se stessi, di una coppia spaiata che più diversa non si potrebbe. Chi vuole presentare il film con occhio buonista dirà che è un’operina che parla di integrazione multirazziale nella periferia degradata di Roma, l’incontro casuale, fortuito e forzato (il flirt tra i figli tredicenni) tra due persone diversissime per cultura, educazione, sensibilità, intelligenza che a forza di detestarsi, finiranno per mettersi in discussione e venirsi incontro, accettando qualcosa l’uno dell’altro.
Forse le intenzioni erano queste, e dunque interessanti. Peccato che il risultato racconti poi un’altra storia. Come un gatto in tangenziale è un punto di raccolta di banalità viste e riviste, concetti e situazioni trite e ritrite, narrate meglio da altri. La coppia Milani-Cortellesi, regista e attrice e sceneggiatrice, piegano il tutto in funzione della risata da strappare a tutti i costi, con passaggi discutibili e irreali.
Se si vuole fare una commedia di costume, non  si può prescindere dal proporre situazioni attendibili, verosimili. Per eliminare alcuni difetti di credibilità, ad esempio, sarebbe bastato elevare l’età dei fanciulli innamorati. A 13 anni ci vengono presentati figli che fanno tatuaggi (la legge prescrive un’età minima superiore, ma si sa, in borgata si fa tutto e la legge non c’è…). Figli che decidono di andare dove vogliono quando vogliono, alla fine cooptando genitori il cui impiego principale consiste nel pedinarli. Quadretti forzati senza credibilità (a chi non capita di trovare regolarmente un energumeno spanciato che dorme sulle scale?). Battute sugli odori, sui cibi cucinati dalle varie etnie. E poi il clichè della spiaggia per i borgatari cafoni e di quella snob di Capalbio, con frequentatori adeguati.
Con pignoleria, dico che ho trovato assurdo anche che in una famiglia di modesti mezzi economici, senza nessuno in casa che dimostri di amare il calcio, ad un certo punto viene fuori che in tv l’ex carcerato che torna a casa, stravaccato in poltrona guarda una trasmissione calcistica su Sky, pay tv che una famiglia come quella, peraltro, non potrebbe permettersi. Bucce di banana che pochi noteranno. I demeriti del film, che pure offre momenti di divertimento, sono nella superficialità e nell’inattendibilità con cui viene proposta la storia.
Considero Paola Cortellesi una valida attrice, meglio però quando è diretta da chi sa canalizzare la sua esuberanza. Questi due film realizzati in famiglia, la vedono invece scivolare sulla brutta china presa da tanti altri attori italiani quando raggiungono popolarità e consensi. Ripete lo stesso personaggio, accantona la credibilità e spinge il pedale della macchietta, del voler far ridere a tutti i costi fin dal look (magari ci sono davvero donne che vanno in spiaggia con i tacchi alti, non so…) e fin dalla prima inquadratura. Non trova la misura.
Ecco, già lo scontro iniziale, in auto, con una mazza da baseball primattrice in un contesto esagerato che non autorizzava la sua comparsa e quel che segue, può essere considerato il manifesto di un film dalle fondamenta tremule. Dulcis in fundo, l’Amendola galeotto con il vizietto di aprire le pance. Che volete farci, dopo anni di prigione, dimentica che in carcere non c’è Sky e non sa resistere all’impulso…
E pensare che me ne avevano parlato bene! Beh sì, rispetto a Mamma e papà? irrita meno e fa più ridere. Ma per fare un bel film, non basta.

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Leandro De Sanctis

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